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Torino, la città più cantata [#7]

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Napoli, Roma, Firenze, Venezia, Bologna, Genova? O forse è Torino la città più cantata d’Italia? Ed è proprio questo il punto di vista che adotterò principalmente:  guardare Torino in musica da molte città, regioni e nazioni diverse, ma anche dall’interno, dai torinesi o dai piemontesi stessi. Poco per volta, dacché c’è proprio tanto da dire. Da un paio di anni ho iniziato le mie ricerche e ho già raccolto centinaia di canzoni e di brani musicali dedicati o variamente titolati e ambientati a Torino, in numero cospicuo anche dall’estero, perfino da luoghi remoti come il Mozambico, l’Australia, il Brasile e molto altro.

 
Questo è il settimo articolo.
 
 
 
 
Questo capitolo ho deciso che non seguirà un tema preciso come gli altri sei che lo precedono, ma sarà fatto di associazioni, diciamo “random” e divertissement del tutto personali. Vi ho già parlato di certi giochi di associazione che faccio camminando per la mia città. Sarà una sorta di cartolina generica da Torino. Quindi, a introduzione, è venuto finalmente il momento di svelarvi chi dal Mozambico abbia dedicato una canzone a Torino. È  João Tamura con Postais de Torino.
 

Por favor olha para o chão
Já só tenho estas rosas, não aguento a decepção
Murchas… Como a vida num ecrã
Balões em cada mão para fugir ao amanhã
Ainda te lembras de mim?
Espera, eu pinto a cara para não veres que envelheci
Calma… Por favor não fujas
As asas estão rasgadas, o meu coração tem ferrugem
Querida, hoje não janto, vou construir um baloiço
E a vida foi-se em Outonos no meu rosto 
Tudo… Para além desta janela 
Quero ver o mundo nesta velha bicicleta
Mas não hoje… Por isso escrevo, eu preciso
De contar estas histórias para alguém se lembrar de mim 
Armado em Murakami nestes postais de Torino

Per favore guarda giù
Io ho solo queste rose, non sopporto delusioni
Appassite … come in uno schermo
Palloncini  nelle mani per fuggire all’indomani
Ti ricordi ancora di me?
Aspetta… Per favore non fuggire
Le ali sono strappate, il mio cuore è arrugginito
Cara, stasera non ceno, vado a costruire un’altalena
E la vita se nè andata via in autunni sul mio viso
Tutto … oltre questa finestra
Voglio vedere il mondo su questa vecchia bicicletta
Ma non oggi. Per questo scrivo, ho bisogno
Di raccontare queste storie affinchè qualcuno si ricordi di me
Armato in  Murakami  in queste cartoline di Torino

http://www.myspace.com/joaotamura/music/songs/03-postais-de-torino-67356376

Sabato 29 settembre, ore 9.12. Ritorno a scrivere di Torino città cantata. Guardo la mia stazione meteo elettronica al muro: l’ora è radiocontrollata da un segnale sui 77,5 khz in onde lunghe della stazione DCF77 di Mainflingen-Francoforte e relativo orologio atomico. Questo mi ricorda che da Torino parte un altro segnale: quello radiofonico e televisivo dell’ora esatta italiana, regolata dall’orologio atomico di Torino presso l’Inrim in strada della Cacce 91. L'Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM) è un ente pubblico nazionale che svolge attività di ricerca scientifica nel settore della metrologia, la scienza delle misure. L'INRIM rappresenta l'Italia negli organismi metrologici internazionali ed è nato nel 2006 dalla fusione dell’Istituto elettrotecnico nazionale "Galileo Ferraris" con l’Istituto di metrologia "Gustavo Colonnetti" del CNR. Prima del 2006 l'Istituto elettrotecnico nazionale "Galileo Ferraris" (IEN) di Torino, istituto di ricerca elettrotecnica fondato nel 1934, era appunto noto in tutta Italia per il segnale orario ufficiale fornito alla RAI. L’Istituto doveva il suo nome all'ingegnere e fisico Galileo Ferraris, uno dei molti illustri scienziati di Torino.

Galileo Ferraris è stato uno dei più importanti fisici italiani e il padre dell’elettrotecnica Italiana. Il suo contributo fondamentale fu la scoperta del Campo Magnetico Rotante, che portò, nel 1885, all’invenzione del motore con induzione a campo rotante col quale fu risolto il problema di come portare energia e forza motrice a distanza. I nuovi sviluppi dell’elettrotecnica nati da queste intuizioni favorirono anche la diffusione dell’illuminazione elettrica e Galileo Ferraris ebbe una parte determinante anche nell’adozione dell’illuminazione pubblica di molte città italiane. Torino è stata la prima città italiana a dotarsi di illuminazione pubblica elettrica, nel 1884, a Porta Nuova, piazza Carlo felice. Questo anche grazie all’invenzione di Alessandro Cruto (Piossasco, 24 maggio 1847 – Torino, 15 dicembre 1908), un filamento di grafite adatto per le lampade elettriche a incandescenza. Cruto fondò nel 1885, ad Alpignano, la prima fabbrica italiana di lampadine elettriche.
 
Dei molti grandi e illustri scienziati di Torino, ve ne cito degli altri: Luigi Lagrange, fisico e matematico nominato senatore e conte dell’Impero, sepolto nel Panthéon parigino; il fisico e chimico Amedeo Carlo Avogadro (quello della “legge di Avogadro”, introdusse lui nel Regno il sistema metrico decimale); Giulio Bizzozzero, scopritore delle piastrine, ritenuto il padre dell’istologia italiana e a cui si devono l’istituzione del Laboratorio di Igiene, l’ospedale Amedeo di Savoia per le malattie infettive e l’apertura dei bagni pubblici; Ascanio Sobrero, medico e segretario dell’Accademia delle Scienze che inventò la nitroglicerina (se Alfred Nobel divenne ricco fu grazie alla sua invenzione, che stabilizzò nella dinamite; tant’è vero che riconobbe a Sobrero un vitalizio come ringraziamento)… E quindi, se esiste il Premio Nobel, lo dobbiamo anche e ancor prima a un torinese. E poi ancora Francesco Faà di Bruno (1825 – 1888), matematico e sacerdote…
Fàa Di Bruno fu dapprima ufficiale e cartografo, si laureò in seguito in scienze matematiche alla Sorbona di Parigi per poter essere sufficientemente preparato al compito assegnatogli da Vittorio Emanuele II di precettore dei figli. Insegnò all'Università di Torino Matematica e Astronomia. Nel 1859 pubblicò a Parigi, in francese, la Théorie générale de l'élimination, in cui viene fornita la formula, che da lui prende il nome, della derivata n-esima di una funzione composta. Il suo nome in matematica è però legato soprattutto al trattato sulla teoria delle forme binarie. Si  dedicò anche all'ingegneria e fu inventore. Sono in pochi a sapere che presso la chiesa di Nostra Signora del Suffragio, in via San Donato, c’è un museo che raccoglie le sue invenzioni, una ricca biblioteca scientifica e una raccolta di paramenti sacri fra i quali un calice donato da papa Pio IX in occasione dell'ordinazione sacerdotale di Francesco Faà di Bruno.
Fra le altre cose, l’eclettico Faà di Bruno eseguì i calcoli costruttivi e seguì la realizzazione del campanile della chiesa di Nostra Signora del Suffragio, a Torino, conosciuta come chiesa di Santa Zita, il secondo edificio in muratura più alto della città dopo la Mole: oltre 80 metri. Fondò una casa di preservazione per ragazze madri, all’epoca sfruttate ed emarginate (l’Opera di Santa Zita). 
Ma quel che ancora meno persone sanno è che Francesco Faà Di Bruno, proclamato beato nel 1988, fu anche musicista. Fondò e pubblicò la rivista di musica sacra “La lira cattolica” e fondò scuole di canto domenicali. Le sue composizioni di melodie sacre furono apprezzate da Franz Liszt e, nonostante ciò, mi pare che non esista alcuna sua musica che si possa riprodurre e ascoltare. Musica infinita, la missione religiosa e sociale della musica nell'opera di Francesco Faà di Bruno è stato il titolo di una rarissima serata di musica dal vivo nel 2011 con un programma di  musiche del Faà di Bruno eseguite dall’assieme cameristico di Alba Music Festival (soprano Miyuki Hayakawa e Simone Sarno al pianoforte). Francesco Faà di Bruno e la musica vissuta come missione religiosa e sociale nella Torino dell'Ottocento è il titolo di un libro di Giuseppe Parisi, docente presso l’Istituto Tecnico Francesco Faà di Bruno di Torino. La presentazione di questo libro ci dice in bella sintesi che Faà di Bruno  considerava la musica come la più profonda delle arti, adatta a comunicare emozioni e sentimenti al di là delle differenze di lingua e di cultura, sorella della poesia, eco dell'armonia dell'intero universo. Fu il paladino del canto gregoriano, che definì canto autentico della chiesa, ma fu anche l'inventore del canto popolare liturgico, che aveva lo scopo di rendere l'assemblea più partecipe alle funzioni religiose ed anticipò di un secolo il Concilio Vaticano II, avvicinando alla musica, cui riconosceva uno straordinario potere di elevazione, le classi meno abbienti e meno colte.
Il campanile della chiesa di N. S. del Suffragio o Santa Zita, progettato dal beato Francesco Faà di Bruno, ospita 11 campane fuse da Pasquale Mazzola nel 1879. Altri carillon e altre campane famose fanno “musica” a Torino. La cella campanaria del Santuario della Consolata, dove all’interno è sepolto San Giuseppe Cafasso, contiene un concerto di nove campane. La campana maggiore emette la nota SOL 2 ed è stata fusa nel 1940 dalla fonderia "Achille Mazzola" di Valduggia; è la campana più grande del Piemonte insieme a quella della basilica di San Gaudenzio a Novara ed è una delle più grandi campane d'Italia. La Conslà com’è detto in piemontese, è uno dei luoghi di culto più antichi di Torino ed è dedicato a Maria, invocata con il titolo di "Maria Consolatrice", co-patrona, insieme a San Giovanni Battista della città (si dice che un tempo la mandibola del Battista fosse conservata nel Duomo di Torino).
La grande devozione che lega la città a questo santuario ha origine da un quadro raffigurante la Madonna, di cui si conserva tuttora copia nella cripta del santuario. La storia narra che l'icona, durante i vari rimaneggiamenti della chiesa andò perduta. Un cieco, il cui nome corrisponderebbe a Giovanni Ravacchio, proveniente da Briançon, giunse a Torino in pellegrinaggio sostenendo di aver ricevuto in sogno dalla Madonna precise indicazioni riguardo al recupero di quest'immagine sacra. Quando, dopo alcune insistenze presso le autorità vescovili, fu ritrovata, pare che l'uomo recuperasse la vista: era il 20 giugno 1104. A seguito di questo evento miracoloso, la chiesa venne elevata al grado di basilica e l'icona collocata solennemente al suo interno. Un bellissimo canto polifonico a cappella del sedicesimo secolo, opera di Paolo Papini, è stato recuperato e interpretato dal Progetto Musica diretto da Guido Monaco (Nuove Laudi Ariose): A S. Maria della Consolata di Torino per l'intera salute della città e total liberazione della Provincia dalla peste. Nello stesso disco è presente un’altra preziosa composizione vocale di Fulvio Novelli: A Santa Maria del monte di Turino à Capuccini.
 
Il Monte dei Cappuccini è una collina che sorge a ridosso della città di Torino in prossimità del ponte di piazza Vittorio Veneto. Nei suoi sotterranei esistono dei laboratori di fisica astronomica per lo studio, in collaborazione con i laboratori del Monte Bianco, della Testa Grigia (Plateau Rosà) e del Gran Sasso, dei raggi cosmici e delle interazioni di altissima energia…
http://www.torinoscienza.it/accademia/dossier/gli_sviluppi_dell_astronomia_torinese_nel_novecento_3737 per chi volesse approfondire gli sviluppi dell’astronomia torinese tra Ottocento e Novecento.
Sul monte si erge il piccolo convento di Santa Maria al Monte, affidato ai frati cappuccini, luogo che ebbe grande importanza per la spiritualità torinese. Durante il l’assedio di Torino del 1640, francesi cercarono di appropriarsi strategicamente del Monte. Quando i soldati francesi entrarono nella chiesa per saccheggiarla, come tramandano le cronache, una lingua di fuoco si levò dal tabernacolo per proteggere le ostie consacrate.  Ricorda padre Pier Maria da Cambiano: Una lingua di fuoco uscita dal Santo Ciborio andò a cogliere in pieno petto l'audace e sacrilego francese da bruciargli gli abiti e la faccia. Di che spaventato gittandosi a terra gridava: "Mon Dieu! Mon Dieu!". Tosto la chiesa fu empita di denso fumo e fra il comune stupore cessò il vandalismo.
I francesi desistettero così dalla spoliazione del luogo sacro. L'episodio, tuttora molto caro ai torinesi, è ricordato da un quadro esposto nell'atrio della chiesa. Si dice che siano ancora visibili i colpi della baionetta e i segni del fuoco sul tabernacolo, ma io non sono riuscito ancora a scorgerli. Tra le altre stranezze di questo luogo, in una Torino già nota come “magica” e “misteriosa”, si narra che il fantasma di Filippo San Martino D’Agliè, il cui corpo è sepolto nella chiesa, si aggiri di notte nel piazzale antistante la chiesa per incontrare l’antica amante Madama Reale. Filippo San Martino d’Agliè fu nobile, politico, letterato, musicista, coreografo alla corte della regina Cristina. Diresse tra l’altro molti lavori, inclusi quelli del Castello del Valentino. Quando la Madama Reale morì a Torino nel 1667 fu invitato dai Savoia a ritirarsi dalla Corte. Negli ultimi anni frequentò sempre più assiduamente il convento del Monte dei Cappuccini, esprimendo il desiderio, nel suo testamento, di essere sepolto "nel più abbietto et vile sito del convento". Il 31 luglio 1989 il suo scheletro venne casualmente ritrovato durante dei lavori di scavo eseguiti nell'orto del monte dei Cappuccini. Secondo alcuni occultisti sul Monte vagherebbe ancora il suo fantasma. L'ultima apparizione risalirebbe all'agosto 1978.
A Torino, Piemonte, già patria di grandi Santi Sociali, proprio al monte dei Cappuccini è legata la figura di sant'Ignazio da Santhià, al secolo Lorenzo Maurizio Belvisotti, proclamato santo da papa Giovanni Paolo II nel 2002. Questo frate cappuccino, che visse anche in altri conventi del Piemonte, terminò la sua vita a Santa Maria del Monte il 22 settembre 1770, dopo essere diventato una figura amata da molti in Torino per i suoi servizi verso i poveri e per la sua carità. I resti del padre sono tumulati proprio al Monte dei Cappuccini.
Oltre ad essere sede di un convento, Santa Maria al Monte ospita il Museo Nazionale della Montagna e la sede del Club Alpino Italiano di Torino, la più antica e vasta associazione di alpinisti e appassionati di montagna in Italia nata nella mente di Quintino Sella nel 1863 e fondata nel 1874. A proposito ancora di misteri… Nel Museo della Montagna vi si trova una copia della mummia del Similaun (nota anche come Uomo venuto dal ghiaccio o, generalmente, Ötzi o Frozen Fritz). La mummia, quella vera, fu esposta a Torino presso il Museo di Scienze Naturali nel 2007. È un reperto antropologico scoperto nel 1991 sulle Alpi Venoste, ai piedi del monte omonimo (ghiacciaio del Similaun) al confine fra l’Italia e l'Austria (le Alpi Ötztaler nel Tirolo). È il corpo di un essere umano di sesso maschile, risalente ad un'epoca compresa tra il 3300 e il 3200 a.C. (età del rame), conservatosi all'interno del ghiacciaio. Ötzi, attualmente conservato al Museo Archeologico dell'Alto Adige di Bolzano, è considerato il primo essere umano tatuato di cui si abbia conoscenza: ha sul suo corpo ben 57 tatuaggi ed è diventato molto famoso tra i tatuatori di tutto il mondo. Alcuni studiosi hanno proposto che i tatuaggi fossero i punti di pressione per la pratica dell'agopuntura, quindi con funzione mnemonica. Come già era successo per il ritrovamento della mummia di Tutankhamon, alcuni hanno voluto vedere una maledizione legata anche ai ritrovamenti di Ötzi e questo a causa di una  sequenza di disgrazie che ha colpito chi ci ha lavorato.
 
Il Monte dei Cappuccini, un tempo meta preferita dei torinesi per la merenda di Pasquetta, prima e forse unica pista di sci "urbana" non artificiale in Italia, fu un tempo servito da una famosa linea funicolare costruita nel 1885. La trazione era assicurata da un motore a gas in grado di far salire la vettura su 120 metri di binari a una pendenza media del 36%. La tratta era illuminata nelle ore serali da alcuni lampioni elettrici. La funicolare del Monte dei Cappuccini, tra le prime in Italia (quella di Superga, una tranvia a dentiera unica nel suo genere inaugurata nel 1884 fu la seconda dopo la regina di tutte le funicolari, quella sul Vesuvio, completata nel 1879 e per la quale fu scritta una delle più celebri canzoni italiane nel mondo… Funiculì funiculà), si fermò per sempre nel 1942 a causa della guerra e fu smantellata completamente nel 1961. All'arrivo di quella funicolare oggi c'è il contrafforte con la statua della Madonna. Nel 1979 Michele Straniero (Cantacronache) pubblica l'album La Madonna della Fiat: la canzone di Straniero che dà il titolo al disco si riferisce (ovviamente in modo ironico) alla statua della Madonna voluta dalla direzione della Fiat e installata a Torino sul Monte dei Cappuccini nel 1960. Oggi pochi se ne ricordano, ma quella Madonna fu chiamata "La Madonna dei lavoratori".
 
Bene, ho divagato più del solito e mi restano ancora centinaia di canzoni dedicate a Torino di cui ancora non ho scritto. Tornando dunque alle campane di Torino… Sapevate che Joseph Truscott di Reigate, UK, è l’autore di un brano strumentale intitolato “Bells of Torino”?
Una campana famosa nel mondo è la Savoyarde della basilica del Sacré-Cœur di Montmartre a Parigi, la più grande di Francia (Do diesis 2, 18.835 kg di peso). La grande campana è stato soprannominata “Savoyarde” in quanto proviene appunto dalla Savoia e precisamente da Annecy, luogo in cui venne creata nel 1895. Ora, domanderete, che c’entra la Savoia con Torino? Va bene, adesso non più; però sappiamo che la Savoia è stata nostra fino al 1860, quando la regione fu ceduta ai francesi da Casa Savoia per l’aiuto militare ricevuto nella seconda guerra d’indipendenza. Annecy (nome originario sabaudo Ennèsia) è dunque la graziosa cittadina in cui nacquero o si formarono il filosofo Jean-Jacques Rousseau, l’ingegnere Germain Sommeiller (fu il creatore della perforatrice all’origine del Traforo ferroviario del Frejus inaugurato nel 1861) e il vescovo santo Francesco di Sales, ispiratore della Famiglia Salesiana fondata da San Giovanni Bosco e dove, oltre alla notissima fabbrica di lamette Gilette, da più di due secoli ha sede ancora oggi, la fonderie de cloches Paccard in cui fu appunto realizzata la più famosa campana di Francia, la “Savoyarde”.
 
A proposito… Jean-Jacques Rousseau narra nelle sue “Confessioni” che giunse a Torino a 16 anni. Nato da un'umile famiglia calvinista ginevrina di origine francese, ebbe una gioventù difficile. Visse, studiò e lavorò per un periodo a Torino. E a Torino svolse anche le professioni di di copista di testi musicali e di istitutore. La conversione al cattolicesimo di Rousseau avvenne alla chiesa dello Spirito Santo di Torino. Solo e senza denaro entrò nell'ospizio dei catecumeni di Santo Spirito per abiurare il calvinismo. Avendo soltanto 20 franchi, prese dimora in via Po, presso una donna che affittava nella sua soffitta un letto in una stanza comune a un soldo al giorno. Trovò impiego alla bottega di Madama Basile come incisore di vasellame, ma venne presto cacciato perchè essendosi inamorato della donna le aveva baciato la mano. Riuscì allora a diventare segretario della contessa de Vercellis e poi del conte Solaro di Govone. Qui però si innamorò della figlia del conte Solaro di Govone e in un momento di emozione le versò del vino addosso. Cacciato nuovamente tornò in Savoia da cui ebbe inizio il suo brillante futuro di filosofo ed enciclopedista. Ma per riprendere il fil rouge della musica, c’è un libro di Amalia Collisani che si intitola “La musica di Jean Jacques Rousseau”. Rousseau fu anche uno studioso di musica, musicista e compositore (consiglio l’ascolto de Les Muses Galantes e Le Devin de Village). Abitò tra l’altro in Via Porta Palatina 11, in una casa ancora oggi esistente.
 
Basta. Prima che si possa obiettare che di canzoni su Torino ne ho dette ben poche, recupero subito… Già che siamo finiti a parlare di Savoia, ecco una lista di brani che riguardino, nel bene e nel male, la dinastia più antica d’Europa. Si tratta di una scelta tra un’infinità di antichi canti e meno antichi. Canti e fanfare di guerra e di soldati, canti che raccontano di precisi personaggi o vicende, canti antisavoia, canti anarchici, canti del Risorgimento e contro il dopo-Risorgimento… Alcuni tra i più famosi, diciamo. Suggerisco le esecuzioni ove mi è possibile.
Queste sono due raccolte su cd che mi sono fatto tra le tante (sia chiaro, non sono un filomonarchico, ma – e lo dico anzi da persona incline all’anarchia, ché non mi piace il termine anarcoide –  fino a un certo punto casa Savoia ha avuto anche senso e meriti):
 
1. Giuseppe Gabetti – Marcia Reale Italiana, scritta da Giuseppe Gabetti nel 1831 su incarico di Carlo Alberto di Savoia, inno di casa Savoia e italiano fino all’avvento della repubblica.
2. Camerata Corale La Grangia – La marcia del Principe Tommaso
3. Camerata Corale La Grangia – L’assedi ‘d Turin
(in alternativa la versione di Ezio Girardi – L’assedi d’Turin)
5. Laura Conti & Ombra Gaja – La ville de Turin (Le siège de Turin)
6.– Prinz Eugen Marsch
7. Coro ANA di Torino – A Torino piazza San Carlo (Angelo Brofferio)
8. Banda dell’Arma dei Carabinieri – Marcia del Reggimento Cacciatori di Sardegna (1934)
9. Banda dell’Arma dei Carabinieri – Marcia della brigata Guardie dell’esercito Sardo
10. Banda dell’Arma dei Carabinieri – Marcia del XIV Reggimento Brigata Pinerolo
11. Banda dell’Arma dei Carabinieri – Marcia del Principe Eugenio (Prinz Eugen Marsch, Andreas Leonhardt)
12. Gino Cervi – Piemonte (Giosuè Carducci)
13. Roberto Cognazzo – Marcia Reale (Turin ch’a sona)
14. Edoardo Bennato – C’era un Re
15. Ligabue – Ai cuddos (Francesco Ignazio Mannu)
16. Valerio Minicillo – La questione meridionale
17. Mimmo Cavallo – Fora Savoia
18. Sconosciuto – Vittorio Emanuele figlio di un assassino (canto anarchico)
19. Ascanio Celestini – La casa del ladro (a Gaetano Bresci)
20. Gruppo Padano di Piàdena – A morte la casa Savoia
21. Cantacronache – La Badoglieide
22. I Gufi – Non spingete scappiamo anche noi
23. 99 Posse – Italia spa
24. Cantovivo – A Torino piazza San Carlo / Scaramouche
25. Ezio Girardi – La ballata di Pietro Micca
 
E poiché sono un collezionista ecumenico anche un po’ ironico, perdonate, mi sono messo… Luca Canonici, Pupo ed Emanuele Filiberto (Italia amore mio)…
 
E ancora…
Banda Brisca – Cavour
Laura Conti, Maurizio Verna, Roberto Bongianino – Cavour l’ha due donne (Cavour baica n’po)
Goffredo Mameli e Michele Novaro – Inno Nazionale (Orchestra e Coro dell’Accademia di Santa Cecilia, direttore Armando Trovajoli, maestro del coro Filippo Maria Bressan), la miglior versione… Sennò, per discotecari incalliti, quella di Fabrizio Moramarco (2006, Abarth remix).
Luca Carboni – Inno Nazionale
Teresa De Sio – Inno Nazionale (reinterpretazione della canzone di Luca Carboni)
Edoardo Bennato – Italiani
 
Parliamone più in dettaglio… Ma continuando poi in un successivo capitolo, perché la materia si fa densa. En passant, qualche esecuzione della Fanfara dell’Arma dei Carabinieri è imprescindibile in un percorso storico e musicale su torino. L'istituzione del corpo fu ideata a Cagliari nel 1814 da Vittorio Emanuele I di Savoia, re di Sardegna, con lo scopo di fornire al Regno un corpo di polizia simile a quello francese della Gendarmerie. Il loro nome deriva dall'arma che ogni carabiniere aveva in dotazione: la carabina. I colori del pennacchio (lo scarlatto e il turchino) sono stati scelti nel 1833 dal re Carlo Alberto. Pennacchi famosi da De Andrè nei versi di “Bocca di Rosa”…
 
E arrivarono quattro gendarmi
con i pennacchi con i pennacchi
e arrivarono quattro gendarmi
con i pennacchi e con le armi.
 
Spesso gli sbirri e i carabinieri
al proprio dovere vengono meno
ma non quando sono in alta uniforme
e l'accompagnarono al primo treno…
 
La marcia del Principe Tommaso è ambientata nella guerra dei 30 anni tra “principisti” e “madamisti”. I principisti filo-spagnoli e i madamisti filo-francesi furono le due fazioni che si contesero il potere sul ducato di Savoia dopo la morte del duca Vittorio Amedeo I nel 1637. Siamo nel 1640, il principe Tommaso di Savoia-Carignano dalla Lombardia entra in Piemonte alla testa di un esercito spagnolo. Bene accolto dalla popolazione occupa Torino senza colpo ferire e scaccia la cognata Maria Cristina, figlia del re di Francia e reggente del ducato di Savoia. Le sue mire infine falliscono, perché un esercito francese mandato dal cardinale Richelieu lo assedierà in Torino stessa.
 
Trascr. Costantino Nigra, La marcia dël Prinsi Tomà
 
Prinsi Tomà, ven da Milan
con na brigada de scaossacan!
Scaossa da si, scaossa da là.
Viva i soldati del prinsi Tomà! .
 
Prinsi Tomà, ven da Versèj
con na brigada dë spaciafornej.
Spacia da si, spacia da là.
Viva i soldàti del prinsi Tomà!
 
Prinsi Tomà, ven da Civas
con na brigada dë s-ciapasass.
S-ciapa da si, s-ciapa da là.
Viva i soldati del prinsi Tomà!
 
Prinsi Tomà riva a Turin,
con na brigada de birichin…
Birichin 'd sa, birichin 'd là.
Viva i soldati del prinsi Tomà!
 
II principe Tommaso vien da Milano
con una brigata di scalzacani !
Scalza di qua, scalza di là.
Viva i soldati del principe Tommaso!
 
Principe Tommaso viene da Vercelli
con una brigata di spazzacamini !
Spazza di qua, spazza di là.
Viva i soldati del principe Tommaso!
 
Principe Tommaso viene da Chivasso
con una brigata di spaccapietre.
Spacca di qua, spacca di là.
Viva i soldati del principe Tommaso!
 
Principe Tommaso, giunge a Torino,
con una brigata di birichini …
Birichini di qua, birichini di là.
Viva i soldati del principe Tommaso!
 

 

Costantino Nigra (1828 – 1907), filologo, poeta, diplomatico, illustre politico  e senatore del Regno d'Italia, compì una importantissima opera di raccolta di canti popolari piemontesi. Consiglio Costantino Nigra – Canti popolari del Piemonte. Con 2 CD Audio, Editore Einaudi, 2009. E la pregevolissima raccolta di dischi in 12 volumi opera del Centro Etnologico Canavesano di Bajo Dora.
 
An Turin j’é un bel giardin,
Re di Fransa a-j veul gran bin.
S’a podèissa mai aveilo,
An pagand ij sò dené,
Votra esse re di Fransa,
Re di Fransa giardiné.
(…)
La Fojada, guardé bin,
I lassroma pa pié Turin.
Con le vòstre canonade
Fei pa por a le masnà.
Batì pur la sitadela
Che Turin as guarnerà.
(L’assedi ‘d Turin)
 
A Torino, grazie al lavoro del colonnello Guido Amoretti, inaugurato in occasione delle celebrazioni per l’Unità d’Italia del 1961, si può oggi visitare il Museo Pietro Micca e dell’assedio di Torino del 1706. Il museo, con le sue gallerie di contromina, documenti, plastici e reperti, è dedicato appunto all'assedio di Torino che ebbe luogo nel maggio 1706 durante la guerra per la successione al trono di Spagna. L'assedio durò centodiciassette giorni, 10.000 soldati sabaudi combatterono strenuamente contro i 44.000 francesi fino all’arrivo dell'esercito a difesa della città comandato dal Principe Eugenio e dal duca Vittorio Amedeo II, il quale costrinse i nemici a una precipitosa ritirata.  La guerra si concluse con la firma del Trattato di Utrecht del 1713 e Rastadt del 1714, in seguito alla quale Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, divenne il primo re della sua dinastia.
Torino fu una delle pochissime capitali d'Europa cui fosse mai stato posto un assedio scientificamente studiato e di tali proporzioni, cosicché il fatto ebbe grande risonanza internazionale. A questa guerra risale l’eroico gesto di Pietro Micca. La tradizione narra che i francesi stavano per penetrare le mura della Cittadella attraverso le gallerie di contromina scavate dai torinesi e due soldati decisero così di far scoppiare un barilotto di polvere da sparo allo scopo di provocare il crollo della galleria e non consentire il passaggio alle truppe nemiche. Non potendo utilizzare una miccia lunga perché avrebbe impiegato troppo tempo per far esplodere le polveri, Micca decise di impiegare una miccia corta, conscio del rischio che avrebbe corso. Istintivamente, quindi, allontanò il compagno con una frase che sarebbe diventata storica: «Alzati, che sei più lungo d'una giornata senza pane», e senza esitare diede fuoco alle polveri, cercando poi di mettersi in salvo correndo lungo la scala che portava al cunicolo sottostante. Micca morì travolto dall'esplosione e il suo corpo fu scaraventato a una decina di metri di distanza. Fu sepolto in una fosse comune. La figura di Pietro Micca, nel corso del diciannovesimo secolo fu sempre più ammirata ed esaltata a cominciare da un elogio, scritto dal conte Durando di Villa nel 1781, e con la novella L'amor della patria di Francesco Soave, del 1782. Secondo il conte Giuseppe Maria Solaro della Margherita, all'epoca comandante della guarnigione di Torino, la morte di Micca è però da addebitarsi più a un errore di calcolo della lunghezza della miccia che ad una deliberata volontà di sacrificare la propria vita. Nel suo Journal historique du siège de Turin, del 1708, non sono presenti i dettagli dell'azione di Pietro Micca, che sono il risultato di un'elaborazione successiva (Fonte Wikipedia).
Nel 1871 fu rappresentato a Roma, al Teatro Apollo, il Pietro Micca, ballo in otto quadri, di Luigi Manzotti, con musiche di Giovanni Chiti, cui seguirono repliche in altre città, tra le quali quella alla Scala nel 1875. Altra opera dedicata a Pietro Micca (perché cantare di Torino vuol dire anche cantarne i suoi personaggi) è l’evocazione musicale di Fulvio CreuxPietro Micca (L'assedio di Torino del 1706)” (Edizioni Accademia 2008), che si può ascoltare su YouTube nell’esecuzione della Banda dell'Esercito Italiano diretta dallo stesso Fulvio Creux.
 
Non spingete, scappiamo anche noi!
Alla pelle teniam come voi.
Meglio esser becchi e figli di boia
che far l'eroe per casa Savoia…
 
E Pietro Micca è saltato in aria,
per salvare la Fiat di Torino:
io invece sono all'Alfa ma non sono cretino
e i salti miei li faccio su un letto insieme a te.
Oh sì sì, Maria, Mari
dagli occhi azzurri e dai capelli neri
vo' vivere con te senza pensieri
e bim e bum e bom
senza il rombo del cannon.
 
(I Gufi – Non Spingete Scappiamo Anche Noi)
 
Le siège de Turin” nota anche come “La Ville de Turin” è un’altra canzone popolare savoiarda e risale al tempo dell’assedio di Verrua nel diciottesimo secolo. Bellissima la versione di Laura Conti & Ombra Gaja.
 
La ville de Turin, grand Dieu, qu’elle est jolie!
Elle est jolì, parfaite assurément!
O vous, Français, entrez dedans…
 
(Da “Le siège de Turin”, canzone popolare savoiarda, XVIII sec.)
 
Una variante da Charles Guillon, Chansons populaires de l’Ain, Parigi, 1883):
La ville de Turin n’est-elle pas bien jolie
L’en jolie, parfaite en tout temps,
Le roi la veit absolument.
 
Ma dei Savoia si cantò anche la crudeltà delle condanne a morte. La canzone “A Torino, piazza San Carlo” ricorda la repressione dei moti carbonari del 1820-1821 operata da re Carlo Felice ("il Feroce"). In Piazza San Carlo venivano esposte le sentenze di morte emanate dal Re. L’autore del canto è Angelo Brofferio che probabilmente la scrisse nel 1831, all’epoca della sua adesione alla carboneria dei Franchi Muratori. E la canzone racconta dei moti carbonari di Santorre di Santarosa, traditi dal principe Carlo Alberto di Savoia, il “re tentenna” che in un primo momento aveva appoggiato i rivoluzionari, e quindi repressi nel sangue dagli austriaci chiamati dal fratello Carlo Felice…. In Piemonte i ribelli non avevano l’obiettivo di ribaltare la monarchia sabauda, ma chiedevano al re di unificare l'Italia. Sconfitti, furono eseguite alcune condanne a morte, e in molti furono costretti a fuggire.
 
A TORINO, PIAZZA SAN CARLO
Anno 1831
(Angelo Brofferio)
 
A Torino, piazza San Carlo
là ci sta scritta una gran sentenza
Cara Rosina, porta pazienza
se alla morte mi tocca andar.
 
E alla morte io me ne vado
io me ne vado nocentemente
Che cosa mai dirà la gente?
Dirà che barbaro, che crudeltà!
 
O mare mia, o mia Rosina
non aspettate inutilmente.
Nessun difendere dell’innocente,
nessun difendere, nessun saprà.
 
Nessun difendere, nessun potrà,
contro il tiranno la Libertà.
 
Oltre alla piazza San Carlo, a Torino diversi altri luoghi servirono all’esecuzione delle condanne a morte, a cominciare dal più antico e “sinistro”, dove oggi sorge  piazza Statuto. Piazza Statuto è considerata dagli esoteristi il cuore della magia nera.  La città è stata costruita sul 45° parallelo, quindi esattamente a metà emisfero boreale, ed è considerata uno dei tre vertici del triangolo della magia bianca con Praga e Lione e della magia nera con Londra e San Francisco. Il segreto di tanta magia sarebbero le linee sincroniche, un reticolo misterioso di percorsi e nodi radianti energetici che avvolgerebbero tutto il pianeta Terra. A Torino scorrerebbero almeno due di questi grandi fiumi di energia magnetica, sottile o chissà cosa: il primo in direzione nord-sud, che passa sopra Superga, la Gran Madre, via Po, Piazza Castello fino in piazza Solferino (Fontana Angelica); il secondo in direzione ovest-est, dal Musinè a Rivoli, dal corso Francia a scendere poi verso Moncalieri… A Torino sarebbero inoltre presenti alcune grotte alchemiche, cavità naturali note un tempo agli alchimisti e altri esoteristi (che vennero numerosi a Torino, tra cui Paracelso, Cagliostro, John Dee, il conte di Saint-Germain, Nostradamus, che abitò nella Domus Morozzo nell’attuale parco della Pellerina, Fulcanelli…). In queste grotte le linee si incrocerebbero creando dei punti di grande concentrazione di energia. Una di queste grotte si troverebbe per altro proprio in piazza Statuto e sarebbe stata frequentata da Apollonio di Tyana, filosofo e taumaturgo vissuto dal 2 al 98 dopo Cristo. Si attribuiscono a lui molti miracoli  affini a quelli compiuti da Gesù. Si dice che a Torino, durante il suo viaggio per l’Europa, vi abbia nascosto un potente talismano.
"Uno dei miracoli di Apollonio fu l'arte occulta di preparare talismani, cioè di imprigionare negli oggetti delle influenze spirituali che avevano il potere di agire indipendentemente dal tempo e dallo spazio. Filostrato riferisce che l'iniziato pose di questi in alcuni luoghi, durante i suoi viaggi, probabilmente in santuari già carichi di correnti magnetiche. Questi talismani erano perciò oggetti sacri, generalmente gioielli o pietre preziose, depositati in luoghi appropriati e destinati a produrre un dato effetto nel futuro … Cadreno, storico dell'undicesimo secolo, ci tramandò la relazione del grande Anastasio, vescovo di Antiochia: "A tutt'oggi i talismani depositati da Apollonio in determinati luoghi sono attivi: gli uni impediscono danni pericolosi agli uomini, altri trattengono lo straripamento dei fiumi in piena, altri annullano forze dannose all'uomo". (da K. Chodkiewicz – Il centro occulto di Cracovia).
Mah… ad ogni modo, il viaggio attraverso i misteri magici di Torino inizia proprio da piazza Statuto, definito il “cuore nero” della città perché si trova ad occidente e quindi, secondo i romani della Julia Augusta Taurinorum, in posizione infausta per il tramonto del sole, confine tra luce e oscurità, tra il Bene e il Male. In epoca romana questa parte della città, fuori dalla Porta Segusina, verso il pendìo che attualmente porta a confluire con Corso Regina Margherita, venivano crocefissi i condannati e tumulati i defunti. Questa zona fu nominata appunto Vallis occisorum (ma anche Occidanum, da cui il nome del quartiere Valdocco), e divenne una vasta necropoli che andava dall'attuale Corso Francia fino alle attuali Via Cibrario e Corso Principe Eugenio.
Vicina è la piazza rinominata Rondò della Forca. Il nome deriva dal fatto che sino al 1863 vi si tennero le pubbliche impiccagioni. Qui nel 1960 è stato inaugurato un monumento a San Giuseppe Cafasso, il “prete della forca” in virtù della sua assistenza spirituale ai carcerati e ai condannati a morte. Cafasso nel 1948 è stato dichiarato patrono delle carceri italiane. Nella notte tra il 2 e il 3 maggio del 1945 al Rondò della forca ci fu l’ultima esecuzione: la sedicenne Marilena Grill, ausiliaria della Repubblica di Salò, dichiarata colpevole di spionaggio, venne fucilata dai partigiani.
Affronterò in un altro capitolo le canzoni su Torino a partire dalla toponomastica. 196 Rondò Forca Ovest è per intanto il titolo di un brano de The Absolute End of the World (Luca Maugeri e Marco Perucca).
 
Come scrive e ricorda Maurizio Ternavasio in un articolo su La Stampa del 22/5/2009, vicino alla Piazza Statuto, al numero 2 di via Bonelli abitava Piero Pantoni, l’ultimo boia di Torino, 150 esecuzioni sul groppone e una moglie che per la vergogna non usciva mai di casa. La vicina chiesa di Sant’Agostino era detta la “chiesa del boia”, in quanto nei suoi pressi vi venivano sepolti i condannati a morte e i detenuti defunti in carcere: qui il boia cittadino si era guadagnato il diritto ad avere un banco tutto per sé e ad essere sepolto sotto il campanile. Cambia la zona, ma non la considerazione popolare per il mestiere di boia. In alcuni negozi, per ricevere i suoi soldi, gli veniva passata una scodella che serviva a lavare il denaro proveniente dal suo ruolo istituzionalizzato di assassino. E alle mogli dei boia i panettieri porgevano il pane al contrario: allorché un’ordinanza lo vietò perchè atto foriero di sventure, i più intraprendenti di loro si misero a cuocerlo a forma di mattone, in modo che fosse sempre girato a testa in giù. Da qui, secondo la leggenda, la nascita del pan carrè, quello oggi utilizzato per i toast.
 
 
In epoca napoleonica in piazza Carlina funzionava invece la ghigliottina (la “Beatissima”), mentre roghi e squartamenti avvennero nell’attuale piazza Castello.
Tra i tanti primati di Torino c’è purtroppo anche quello dell’ultima condanna a morte irrogata in Italia. Nell'immediato dopoguerra, la pena capitale era ancora in  vigore e fu inflitta ai tre autori di una strage a scopo di rapina avvenuta nel 1945 in una cascina di Villarbasse: dieci persone furono da loro massacrate a bastonate e gettate ancora vive in una cisterna. L'allora capo dello Stato Enrico De Nicola respinse la grazia e il 4 marzo 1947 alle 7:45 venne eseguita l'ultima fucilazione in Italia alle Basse di Stura a Torino. I nomi dei condannati erano: Francesco La Barbera, Giovanni Puleo, Giovanni D'Ignoti. L'abolizione definitiva della pena di morte fu sancita il primo gennaio 1948 dalla Costituzione Italiana, salvo che nei casi previsti dalle leggi militari di guerra fino alla Legge costituzionale 2 ottobre 2007, n. 1, che ha eliminato la pena di morte anche dalle leggi militari di guerra.
 
Ahinoi, i boia di Torino dovevano godere di una certa reputazione “professionale” internazionale, se è vero quel che dice una canzone popolare dedicata a Sante Caserio, l’anarchico italiano che a Lione nel 1894 uccise a pugnalate il presidente della Repubblica francese Marie François Sadi Carnot; ciò per vendicare l’anarchico Auguste Vaillant a cui il presidente aveva negato la grazia. Di canti anarchici in memoria di Caserio ne sono stati scritti molti. Uno ha titolo “Caserio passeggiava per la Francia” e ci dice che il boia di Caserio provenne da Torino.
 
Caserio passeggiava per la Francia
 
Caserio passeggiava per la Francia
incontrò la carrozza del Presidente
monta sulla carrozza col mazzolino rosso
«È questo il pugnale che ti darà la morte".
 
Il presidente interrogò Caserio:
«E dimmi Caserio chi sono i tuoi compagni».
«I miei compagni sono dell'anarchia
ed io faccio il fornaio e non la spia».
 
Il presidente interrogava Caserio:
«E dimmi Caserio chi credi d'esser davanti».
Caserio gli risponde con poca soggezione:
«Io so che sono davanti a un palandrone».
 
Quando Caserio vide la ghigliottina
con una mano lui si levò il cappello
saluta i compagni suoi e andò al macello.*
 
La madre di Caserio forte piangeva
vedendo il suo figlio alla tortura.
«Se sei una vera anarchica non devi aver paura
se anche il figlio tuo è alla tortura».
 
« Boia dammi da bere che tengo sete
e dammi della marsala del vermut buono
e dammi del vino rosso quello che io langue
E quando mi taglierai la testa boia darò più sangue».
 
Quando il Boia viene da Torino
e chiede dove è andato l'assassino
Caserio gli risponde con voce lesta
«Mi salterà via la testa ma il pensiero resta».
 
Cambiamo argomento e torniamo al Risorgimento. Tra le canzoni messe nella mia lista di prima c’è una ballata particolarmente bella che ha per titolo “Cavour” o anche “Cavour l’ha due donne” o anche “Le due tombe” (Nigra). Come in certe stampe d’epoca, ci presenta il conte di Cavour fra due donne, Venezia e Roma in sembianze di dame. Infine sulle tombe delle due amanti crescono due alberi i quali, crescendo, fanno ombra a tre città (Alessandria, Valenza e Casale, oppure Valenza, Firenze e Torino).
 
E Cavour l’à due donne
Bun bun bun
E Cavour l’à due donne
Trallalà
E Cavour l’à due donne
Üna dza e l’auta ‘t là.
La Venesia è la più bella
E Cavour sa i fa l’amur
La Venesia l’è malada
E Cavour l’è muribund
Dove l’àn seppellì Venesia
Sa i è nà trei pum granà.
Custi pum l’à ‘l föie larghe
Ca i fan umbra a la città.
 
E Cavour ha due donne/ una di qua e l’altra di là/ La Venezia è la più bella/ e Cavour le fa l’amore/ la Venezia è malata / e Cavour è moribondo / Dove hanno seppellito Venezia / Sono nati tre melograni / Questi melograni hanno foglie larghe/ che fanno ombra alla città.
 
Una parentesi aneddotica che riguarda i Savoia e la musica. Nel febbraio del 1818 al Teatro Carignano di Torino Niccolò Paganini eseguì uno dei suoi rinomati e stupefacenti concerti. Tra il pubblico era presente Carlo Felice che chiede di ripetere quel brano. Paganini, che molto improvvisava, talvolta spettacolarizzando il suo virtuosismo fino a lesionarsi i polpastrelli e a rompere alcune corde dello strumento, decise di recare questo messaggio al futuro re di Savoia: "Paganini non ripete!" Ne seguì uno spiacevole incidente diplomatico per il quale a Paganini fu tolto il permesso di eseguire il terzo concerto previsto nella sua tournée in città. Offeso Paganini annullò i concerti programmati a Vercelli e ad Alessandria. All'amico avvocato Germi scrive: "La mia costellazione in questo cielo è contraria. Per non aver potuto replicare a richiesta le variazioni della seconda Accademia, il Sig. Governatore ha creduto bene sospendermi la terza”. E poi ancora: “In questo regno, il mio violino spero di non farlo più sentire". Paganini tornerà però a Torino nel 1836 e ringrazierà Carlo Alberto per la concessione di legittimazione del figlio Achille.
 
Due parole ancora sull’Inno d’Italia o di Mameli, del quale consiglio l’esegesi di Roberto Benigni fatta al Festival di Sanremo del 2011. Il “Canto degli Italiani” sostituì infine la Marcia Reale Italiana o d’Ordinanza composta da Giuseppe Gabetti (ne consiglio l’esecuzione al pianoforte di Roberto Cognazzo (Turin ch’a sona).
Dobbiamo alle città di Genova e di Torino l’inno d’Italia. I versi furono scritti nel 1847 dal ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, e musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro. Nel 1847 Novaro si trovava a Torino con un contratto di secondo tenore e maestro dei cori dei Teatri Regio e Carignano quando ebbe modo di leggere entusiasta i versi di Mameli e di musicarli d’impeto. Anton Giulio Barrili, patriota e poeta, amico e biografo di Mameli racconta così: "Colà (a Torino), in una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva musica e politica insieme. Infatti, per mandarle d'accordo, si leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in quell'anno per ogni terra d'Italia, da quello del Meucci, di Roma, musicato dal Magazzari – Del nuovo anno già l'alba primiera – al recentissimo del piemontese Bertoldi – Coll'azzurra coccarda sul petto – musicata dal Rossi. In quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l'egregio pittore che tutti i miei genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: – To' gli disse; te lo manda Goffredo. – Il Novaro apre il foglietto, legge, si commuove. Gli chiedono tutti cos'è; gli fan ressa d'attorno. – Una cosa stupenda! – esclama il maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio. – Io sentii – mi diceva il Maestro nell'aprile del '75, avendogli io chiesto notizie dell'Inno, per una commemorazione che dovevo tenere del Mameli – io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo. Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all'inno, mettendo giù frasi melodiche, l'un sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po' in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era rimedio, presi congedo e corsi a casa. Là, senza neppure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'inno Fratelli d'Italia." 
Lasciamo stare tutte le polemiche che sono state sollevate negli anni contro il nostro inno, arrivando a proporre alternative a volte davvero bislacche (non parlo di “Và pensiero”, ma di canzoni come Il Piave mormorò, O Sole mio o più moderne  come Nel blu dipinto di blu, Azzurro, Acqua Azzurra Acqua Chiara… Strano (ma in verità non è così strano) che nessuno abbia pensato a “Povera Patria” di Battiato… Nel mezzo di queste polemiche c’è anche chi, come Luca Carboni, ha composto una moderna ed efficace visione dell’Inno Nazionale, ottimamente ripreso nel 2011 anche da Teresa De Sio nell’album “Tutto cambia”.
 
Io son troppo bolognese
tu sei troppo napoletano
egli è troppo torinese
e voi siete troppo di Bari
sì noi siamo troppo orgogliosi
loro son troppo veneziani
e che dentro la stessa città 
siamo sempre troppo lontani…
 
Continuerà…
 
 
 

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