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“Direttore On Line” e responsabilità penale

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La vera libertà di stampa è dire alla gente
 ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire"
George Orwell
 
Del rapporto non proprio “buono” tra Legislatore italiano e rete Internet (intesa nella sua dimensione planetaria e nel suo stesso concetto di funzionamento), ci siamo occupati a più riprese in questa rubrica[1]. Tuttavia, come il Parlamento ha sempre preteso, illudendosi, di limitare e controllare la rete attraverso gli strumenti ordinari di cui dispone (es. la legge, i cui effetti vincolanti sono necessariamente circoscritti al territorio dello Stato), così la Giurisprudenza[2], almeno quella più autorevole di Cassazione[3], “sembra” essere più consapevole della specifica natura del Web e della stessa “controllabilità” dei testi pubblicati, o meglio “resi disponibili al pubblico”, da parte dei responsabili di siti internet.
Infatti, con la recente sentenza n. 44126 del 28 ottobre 2011 (depositata il 29 novembre 2011[4]), la Corte ribadisce e consolida un orientamento che esclude l’applicabilità della normativa penale (esplicitamente prevista per la stampa), in materia di responsabilità del direttore di testate telematiche. Nel caso di specie, il Direttore della versione online di un noto settimanale “cartaceo” ha proposto ricorso per cassazione contro una sentenza[5] della Corte d'Appello di Bologna, con la quale è stata confermata la condanna nei suoi confronti da parte del Tribunale di Bologna per il reato di cui agli artt. 57 e 57-bis c.p., perché “ometteva il controllo necessario ad impedire la commissione del reato di diffamazione aggravata da parte di S.G. ai danni di P.V. (reato accertato/commesso in Bologna nell'aprile del 2004)[6]”.
È interessante seguire il ragionamento svolto dalla Corte per cogliere quale sia la percezione dei Giudici Supremi dello strumento Web e dello spazio pubblico “sito internet”, cominciando proprio dal principale motivo mosso contro la sentenza di Appello da parte della difesa che riguarda il profilo della violazione di legge, giacché si è lamentata l'erronea interpretazione dell'art. 57 codice penale, laddove è stato ritenuto applicabile anche al Direttore di un periodico on-line, mentre sarebbe riferibile solo ai periodici "cartacei"[7].
Ulteriore “dato di fatto” di cui la Corte ha preso atto e tenuto conto è che, il rappresentante della Pubblica Accusa, il Procuratore Generale, ha concluso per l'accoglimento del ricorso, in quanto “la pubblicazione on-line non consente un controllo preventivo e non è comunque assimilabile alla stampa periodica "tradizionale”; per questi motivi ha chiesto l'annullamento senza rinvio (senza necessità, cioè, che la Corte d’Appello si pronunciasse nuovamente sul caso).
La difesa del Direttore (Direttrice in questo caso), ha rilevato che il contenuto diffamatorio che ha prodotto la denuncia, non era costituito da un “commento giornalistico”, bensì da un “post” inviato alla rivista, cioè un contributo di un lettore automaticamente pubblicato, senza alcun filtro preventivo; consapevoli di questo sviluppo cronologico dei fatti, i Giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello), hanno addebitato alla Direttrice non l'omesso controllo ma l'omessa rimozione del commento, così non solo badando a un'inammissibile analogia in mala parte (cioè, come detto, ai danni dell’imputata), vietata in materia penale, ma altresì “stravolgendo” la norma incriminatrice, che punisce il mancato impedimento della pubblicazione, e non invece l'omissione di controllo successivo.
Le norme giuridiche contemplate dalla Corte sono, innanzitutto l'art. 57 c.p., che punisce i reati commessi col mezzo della stampa periodica, e sanziona penalmente il Direttore o il Vice-direttore responsabile, il quale “omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto, il controllo necessario a impedire che, col mezzo della pubblicazione, siano commessi reati”.[8].
L'art. 1 della l. 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), riporta la definizione di stampa: "Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipo grafiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione", e ciò premesso, la Corte si domanda se il Direttore di un periodico online risponda del reato di cui all'art. 57 c.p., per omesso controllo sui contenuti pubblicati. Tra i diversi precedenti già disponibili la stessa Corte ricorda immediatamente una recente pronuncia (della stessa sezione V), su un caso molto simile, che escludeva la responsabilità del Direttore di un giornale online e che, ovviamente, il Collegio ritiene di condividere (sent. n. 35511 del 16 luglio 2010 caso Claudio Brambilla e MerateOnline[9]); in primo luogo i Giudici ribadiscono che ai sensi della legge sulla stampa sono considerate stampe o stampati “le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”. Dunque, perché possa parlarsi di stampa in senso giuridico (ai sensi della l. n. 47 del 1948), occorrono due condizioni:
a) che vi sia una riproduzione tipografica,
b) che il prodotto di tale attività sia destinato alla pubblicazione attraverso una effettiva distribuzione tra il pubblico.
Ecco che la Corte afferma che le pubblicazioni diffuse mediante la rete difettano di entrambi i requisiti, in quanto non consistono in molteplici riproduzioni su più supporti fisici di uno stesso testo redatto in originale, al fine della distribuzione presso il pubblico; il testo pubblicato su Internet esiste – quale luogo di divulgazione della notizia – solamente nella pagina di pubblicazione, anche se può essere visualizzato sugli schermi di un numero indefinito di dispositivi hardware. La diffusione del contenuto del periodico online avviene dunque non mediante la distribuzione del supporto fisico in cui è inserito (che richiederebbe comunque la mediazione di un apparato di lettura -PC/Tablet o altro lettore- mentre la stampa tipografica è immediatamente fruibile), quanto piuttosto attraverso la visualizzazione del suo contenuto attraverso i terminali collegati alla rete, non diversamente, da quanto avviene per le notizie trasmesse dai telegiornali, che vengono visualizzate sugli apparati privati dei telespettatori. E la Giurisprudenza della Corte ha negato (con alcune significative eccezioni N.d.A.), che al Direttore della testata televisiva sia applicabile la normativa di cui all'art. 57 c.p., proprio per la “diversità strutturale” tra i due mezzi di comunicazione.
In altre parole, per la Corte sono evidenti le differenze nelle modalità tecniche di trasmissione del messaggio a seconda del mezzo utilizzato: nel caso della stampa vi è la consegna materiale dello stampato e la sua lettura diretta ed immediata da parte del destinatario; nelle trasmissioni radiotelevisive classiche vi è la irradiazione nell'etere e la percezione audiovisiva da parte di chi si sintonizza sulla frequenza di trasmissione.
Nel caso di pubblicazione in internet la trasmissione avviene telematicamente tramite un internet provider, sfruttando la rete telefonica fissa o cellulare[10]. Pertanto, per le pubblicazioni a mezzo della rete informatica, quantomeno per quelle che, come nel caso di specie, vengono "postate" direttamente dall'utenza, senza alcuna possibilità di controllo preventivo da parte del Direttore della testata, “deve essere svolto un discorso analogo a quello operato in materia radiotelevisiva”[11].
D'altronde, non vi è solamente una diversità strutturale tra i due mezzi di comunicazione (carta stampata e Internet), ma altresì la impossibilità per il Direttore della testata (on-line) di impedire la pubblicazione di commenti diffamatori, il che rende evidente che la norma contenuta nell'art. 57 c.p. “non è stata pensata per queste situazioni”, perché costringerebbe il Direttore ad una attività impossibile, ovvero lo punirebbe automaticamente ed oggettivamente, senza dargli la possibilità di “tenere una condotta lecita[12]”.
Dunque, l'inapplicabilità dell'art. 57 c.p. al direttore delle riviste online discende sia dalla impossibilità di ricomprendere quest'ultima attività nel concetto di stampa periodica, sia per l'oggettiva impossibilità del Direttore responsabile di rispettare il precetto normativo, il che comporterebbe la sua punizione a titolo di “responsabilità oggettiva”, poiché verrebbe meno il necessario collegamento psichico (dolo o colpa), tra la condotta del soggetto e l'evento (reato) verificatosi.
La sentenza di primo grado (Tribunale), inoltre, aveva richiamato la Legge n. 62 del 2001[13] per sostenere la assimilabilità dell'editoria elettronica alla stampa periodica; l'art. 1 di questa legge, infatti, afferma espressamente che si applicano all'editoria elettronica le disposizioni contenute nell'art. 2 (relative alle indicazioni obbligatorie sugli stampati) e, a certe condizioni, anche quelle dell'articolo 5 (sull'obbligo di registrazione) della legge sulle stampa (l. 8 febbraio 1948, n. 47)[14]. In realtà la legge 62/2001 opera un rinvio specifico e limitato alla legge sulla stampa, dimostrando così, esattamente il contrario di quanto sostenuto dal giudice del Tribunale e cioè che la normativa sulla stampa non è direttamente e automaticamente applicabile, essendo comunque necessario un richiamo “espresso” di singoli articoli. E’ stato, inoltre, osservato in dottrina che la nozione di “prodotto editoriale” non possiede nel nostro ordinamento un valore generale tale da ricondurre ad un unico sistema la carta stampata ed i nuovi mezzi telematici, e ciò è confermato anche dal decreto legislativo n. 70/2003[15], il cui art. 7 comma 3 precisa che “la registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2011 n. 62[16].
La circostanza, poi, che il contenuto del periodico possa essere copiato e riprodotto, ovvero stampato dai lettori, non muta i termini della questione, dato che la riproduzione su un supporto fisico per poter essere considerata stampa ai sensi della legislazione speciale dell'art. 57 c.p. deve precedere la distribuzione ed essere a questa finalizzata, oltre che realizzata da un Editore; pertanto, nessun rilievo ha la riproduzione fisica su carta, non solo perché meramente eventuale (ed in alcuni casi anche impossibile; si pensi ai contenuti Internet multimediali come filmati o registrazioni audio), ma anche perché non finalizzata alla distribuzione[17].
In conclusione, la Corte ritiene che il periodico on-line non possa essere considerato "stampa" ai sensi dell'art. 57 c.p., interpretato assai rigorosamente, e che pertanto la condotta contestata al Direttore, di non aver impedito la commissione del reato di diffamazione, “non sia prevista dalla legge come reato”. A questo proposito, in particolare, la Corte ha escluso che la norma dell'articolo 57 c.p. possa essere interpretata nel senso che l'omesso controllo successivo costituisca “condotta tipica della fattispecie in esame” la quale, invece, punisce il mancato impedimento della pubblicazione.
La decisione della Corte, in conclusione, costituisce un importante esempio di applicazione del principio di stretta legalità in una materia, quale quella del diritto della rete, in cui le giuste osservazioni di chi vuole impedire che il web si trasformi in una terra senza regole potrebbero determinare pericolose derive verso forme di esasperato controllo o di responsabilità oggettiva non riconosciute dal nostro ordinamento.
Tuttavia, in questo quadro disegnato dalla Cassazione, ci pare di dover condividere la riflessione di Fulvio Sarzana di S. Ippolito[18], riferita alla già citata sentenza 35511 del 2010, per cui da queste pronunce sembrerebbe che i Direttori responsabili dei giornali online godano di una tutela più ampia dei colleghi della carta stampata, in virtù “della interattività del mezzo telematico” che impedirebbe un reale controllo preventivo.
Approfondendo, infatti, emerge un fatto che non è stato posto adeguatamente in rilievo dagli organi di informazione che hanno riportato la notizia; il Direttore, infatti, non è stato assolto dal reato di omesso controllo su quanto scritto sul sito da un giornalista nel contesto dell’attività editoriale, ma solo dall’omesso controllo (e si suppone) censura nei confronti di un lettore che aveva mandato una lettera alla testata, lettera poi pubblicata e che avrebbe avuto carattere diffamatorio[19]. Quindi, “non assenza di responsabilità del Direttore” ma incapacità di controllare quanto scritto da un cittadino con una lettera inviata alla testata online (e occorre dire che la Giurisprudenza della Cassazione, in genere, ritiene responsabile il Direttore di una testata tradizionale in caso di diffamazione compiuta da un privato cittadino nei confronti di un altro soggetto, ed attuata tramite dell’invio di una lettera al giornale).
Dunque, dovremmo ritenere che vi sia una discriminazione, una ingiustificata disparità di trattamento tra i Direttori web e quelli tradizionali sulle lettere inviate dai lettori, perché mentre il Direttore del giornale telematico non dovrebbe rispondere del reato di omesso controllo quello tradizionale risponderebbe senz’altro e ciò a causa della “interattività del mezzo”. La Suprema Corte si è, forse, soffermata in modo troppo superficiale sul mondo internet (a differenza della interpretazione, direi, più dinamica ed evoluta dei Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello), ritenendo che vi fosse un “vuoto” legislativo (nell’art.57 c.p.), laddove tale vuoto non c’è; infatti una cosa sono i blogger, i titolari di forum e i provider, ed un’altra i Direttori di testate telematiche registrate che si devono considerare a tutti gli effetti (come del resto i Tribunali hanno da diverso tempo rilevato), Direttori di testate vere e proprie. La Cassazione, indubbiamente, ha preso atto delle difficoltà di esercitare un controllo continuo su contenuti web (che possono variare anche più volte in breve tempo), ma tale “difficoltà”, anche a parere di chi scrive, non dovrebbe mai significare “impossibilità assoluta” (e quindi “irresponsabilità”), di intervenire sui contenuti presenti nel proprio spazio web (per di più provenienti da privati cittadini), per impedire, sia pur con intervento “temporalmente” successivo, che si continui a “diffamare” per mezzo di un testo che permane sul sito internet di cui si è Direttore responsabile.
“Così deciso in Roma il 28 ottobre 2011”.
 
Non mi interessa essere capito,
mi interessa essere,
 capito?!
Caparezza
 

[1] Cfr. tra i contributi più diretti sul tema “Diritto Penale e Internet” di Alberto Monari, in KU n.56, rubrica Diritto, settembre 1999, “Pubblicazione Underground” di Marco Giorgini, in KU n.70, Editoriale, dicembre 2000, “Pubblicazione Underground?” di Alberto Monari, in KU n.71, rubrica Diritto, gennaio 2001, “Pubblicazione Underground-parte II” di Alberto Monari, in KU n.73, rubrica Diritto, marzo 2001.

[2] In senso oggettivo la Giurisprudenza è costituita dall’insieme delle pronunce emesse dagli organi cui è demandato l’esercizio del potere giurisdizionale.

[3] Sulla natura dell’organo giurisdizionale e sulla incidenza nell’ordinamento dei suoi provvedimenti, cfr. “C.S.C. (Corte Suprema di Cassazione)” di Alberto Monari, in KU n. 177, rubrica Diritto, aprile 2010.

[4] Corte di cassazione, Sezione V penale, Sentenza 28 ottobre 2011, n. 44126. Tra i vari testi della sentenza rinvenibili in rete in questa sede ci si è riferiti a quello apparso in: www.eius.it.

[5] N.10062/11

[6] Codice Penale, LIBRO PRIMO – Dei reati in generale, Titolo III – Del reato (Artt. 39-84), Capo I – Del reato consumato e tentato. Art.57- Reati commessi col mezzo della stampa periodica, Art.57bis- Reati commessi col mezzo della stampa non periodica.

[7] Né sarebbe applicabile l'art. 57 per analogia, dato che tale interpretazione comporterebbe effetti sfavorevoli per l'imputato. L’analogia è il procedimento per il quale vengono risolti i casi non previsti dalla legge, estendendo ad essi la disciplina prevista per i casi simili, o se il caso resta ancora dubbio, ricorrendo ai principi generali del diritto. Tuttavia le norme penali “non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati” (art.14 Disposizioni sulla legge in generale, “preleggi” al Codice Civile).

[8] Dunque, questa norma generale rimanda alle singole fattispecie contemplate dal Codice Penale per la quantificazione della pena comminata per lo specifico reato. Il caso più frequente è quello della Diffamazione, punita ai sensi dell’art.595 Codice Penale con la pena base della reclusione fino a 1 anno o con la multa fino a 1032,00 euro, e nel caso specifico della diffamazione a mezzo stampa con reclusione da sei mesi a tre anni o multa non inferiore a 516 euro. Nel caso sia coinvolto Direttore o Vice-direttore l’ultima parte dell’art.57 dispone “…è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo.

[9] Nel caso specifico, l'imputato era stato chiamato in giudizio nella sua qualità di Direttore di un periodico telematico, sul quale risultava pubblicata una lettera ritenuta diffamatoria nei confronti dell’allora Ministro della Giustizia e di un suo consulente. Si era dunque invocata l'applicazione dell'art. 57 del Codice penale.

[10] La Corte ha quindi sottolineato l'assoluta "eterogeneità” della telematica rispetto agli altri media, sinora conosciuti e, per quel che qui interessa, rispetto alla stampa.

[11] Sul punto è utile rilevare che per orientamento della stessa Corte di Cassazione (es. sentenza Sez.II, n. 34717/2008), l'articolo 57 c.p. è dettato “esclusivamente per i reati commessi col mezzo della stampa periodica e non può intendersi riferito anche alle trasmissioni radiofoniche e televisive”.

[12] E di questo si rende conto anche la sentenza d’Appello, laddove afferma che – non essendo possibile una censura preventiva, e dunque, non potendo "… imputarsi al direttore responsabile l'omesso controllo di ciò che, fino a quel momento, non poteva sapere venisse pubblicato…" – la Direttrice avrebbe dovuto svolgere una verifica successiva delle inserzioni già avvenute, eliminando quelle a contenuto diffamatorio. Così facendo, però, il Giudice di Appello ha indebitamente modificato la fattispecie normativa prevista dall'art. 57 c.p., sanzionando una condotta diversa da quella tipizzata (descritta) dal legislatore.
[13] LEGGE 7 marzo 2001, n. 62 Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416. (GU n.67 del 21-3-2001). L'articolo 1 definisce il prodotto editoriale come “il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico
[14] In particolare, il Tribunale ha sostenuto che “anche il giornale on-line ha un suo direttore responsabile ed un editore che devono essere riportati sul sito web” e che “ragionando in questi termini, nel caso di diffamazione commessa con il mezzo di un giornale telematico, non possono non richiamarsi le norme del codice penale in materia di stampa…”.

[15] Di attuazione della Direttiva comunitaria 2000/31/CE sul “commercio elettronico”.

[16] Cfr. “Commento alla sentenza della Cassazione sulla responsabilità penale del direttore responsabile di periodico on-line” di Giovanni Fiorino in: http://www.consulenti-ict.it/.

[17] Una eventuale distribuzione successiva alla pubblicazione in Internet, operata da soggetti terzi, potrebbe comportare esclusivamente una responsabilità di questi ultimi, sfuggendo tale condotta a qualsiasi controllo da parte dell'editore e del direttore responsabile della rivista (e d'altronde verrebbe totalmente meno, in questo caso, il nesso causale).

[18] Studio Legale Sarzana & Associati, Roma. www.fulviosarzana.it

[19] Ed in questo senso la Cassazione ha equiparato il Direttore della testata ad un blogger o al moderatore di un forum che non interviene sui commenti postati da terzi e non può esserne considerato responsabile. Così come non sono “responsabili dei reati commessi in rete gli access provider, i service provider e gli hosting provider – hanno spiegato i supremi Giudici – a meno che non fossero al corrente del contenuto criminoso del messaggio diramato.

 

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