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Broken Flowers

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BROKEN FLOWERS

 

 

Questi fiori rotti, strappati, hanno un sapore amaro, amarissimo. Carico dell’odore degli anni passati, del tempo che se ne è andato, della solitudine e di un vuoto che è diventato compagno di vita.

Don (Bill Murray) si ritrova così, nella sua maturità, a fare i conti con l’ennesima donna che l’abbandona, con l’ennesima giornata passata a vegetare sul divano mentre sullo schermo della televisione passano le immagini di un film su Dongiovanni.

Poi l’arrivo improvviso di una lettera. Una lettera rosa scritta con inchiostro rosso. Leggendola, Don, viene a sapere di avere un figlio di diciannove anni. Ma la lettera non è firmata, quindi potrebbe essere stata spedita da ciascuna delle donne con cui Don è stato.

Questo è il pretesto o la scusa attraverso la quale Don decide di mettersi in viaggio. Un viaggio che lo porterà a rincontrare alcune delle donne della sua vita. E quasi con tutte l’incontro porterà alla luce aspetti malinconici e amari. Ogni incontro è carico del sapore del tempo passato e che uccide le aspettative delle persone. O che semplicemente le cambia, trasformandole. Don, che inseguendo la sua carriera, non ha mai trovato il tempo di amare costantemente una sola donna, forse nel suo intimo le ha amate tutte. E la sua passione per le donne, ormai quasi sopita e appassita anch’essa, germoglia di nuovo in uno sgurado sulle gambe accavallate di una hostess o di una segretaria, come se quello che si è stati per tutta una vita, anche volendo, è difficile da dimenticare.

Un viaggio di ricordi e bilanci, accompagnato da un’ottima colonna sonora, che esce direttamente dallo sterero di Don. Anche se sembra spinto dall’amico di colore con passioni da detective (oltre che per l’erba, la Rete e la musica) Don vuole fare questo viaggio. Per mettere un pò di chiarezza nella propria vita, per incontrare volti scomparsi, per scoprire se veramente un figlio è nato da una delle sue storie.

Jim Jarmush si prende il suo tempo, non si mette fretta, si sofferma sui piccoli gesti, sull’imbarazzo, sul volto perennemente malconcio e impassibile di Bill Murray. Un volto che sembra rinunciare alle emozioni e a quello che queste comportano. Un volto appassito.

E poi la trovata stilistica del rosa. Il colore diventa elemento portante della narrazione, valore simbolico aggiunto a quello delle immagini. Lo scopriamo negli oggetti, nelle foto, nei vestiti, nei bigliettini di presentazione. Questo colore che da unico indizio, poi, piano piano, diventa portatore di una confusione ancora maggiore, invece che di una chiarezza.

E Don tornando a casa e non avendo trovato niente di quello che cercava perchè le sue donne, dopotutto, lo hanno dimenticato e lo guardano con un misto di compassione e risentimento e indifferenza, si avvicina ad un ragazzo che aveva visto all’aereoporto. E anche questo ragazzo ha un nastrino rosa che la madre gli ha regalato e quando Don gli chiede del padre questo non risponde e tutti vorremmo che quello fosse il figlio che Don stava cercando e che ci fosse un lieto fine e una riconciliazione.

Ma Jim Jarmush ha il coraggio di negare questa facile conclusione e allora non rimane altro che Don fermo in mezzo alla strada con la macchina da presa che gli gira intorno.

Fragile egosimo, fragile mente che pensa che il mondo giri tutto intorno a se stessa. E l’amara fine di un modo di vita di questo tipo non è altro che  la solitudine e l’abbandono.

Stupendo film carico di significati e malinconia.

Fiori rotti, fiori spezzati.

Quelli che rimangono del nostro amore e della nostra vita.

Fiori che nessuno ormai vuol annusare e ammirare.

Fiori che rimangono ad appassire dentro un vaso.

Fiori rotti, fiori spezzati.

Quelli che muoiono se nessuno ha più il coraggio e la voglia di prendersene cura.

 

Emiliano Bertocchi

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