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Romanzo Criminale

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Romanzo criminale

Ho rimandato la lettura del romanzo fino a quando non è uscito il film e così, da buon spettatore… sono andato al cinema! Di “Romanzo criminale” mi interessevano diverse cose: il tema, la cosiddetta “Banda della Magliana” che a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 imperversava a Roma e dintorni, la sceneggiatura scritta, tra gli altri, dallo stesso Di Cataldo autore del libro, il cast, composto da alcuni tra i più bravi e conosciuti attori italiani del momento (l’arcinoto accorsi, Claudio Santamaria, Jasmine Trinca, Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart) e soprattutto il regista, Michele Placido.

Di quest’ultimo ho un opinione piuttosto alta. Nonostante la sua carriera di attore e di regista, cinematografico e televisivo, abbia avuto qualche brutta caduta (“La Piovra” stiracchiata fino all’ennesima serie per pure esigenze di incassi o qualche film non proprio azzeccato come il recente “Ovunque sei”), Michele Placido ha affrontato in trent’anni di carriera ruoli e sceneggiature scomode e coraggiose. Dall’amore della Aleramo, al romanzo di Parise (L’odore del sangue), da “Mery per sempre” a “Del perduto amore”, Placido non ha mai avuto paura di confrontarsi con l’Italia, con i suoi abitanti, coi suoi umori, con le sue ambizioni, con le sue piccole rivoluzioni. E l’ha interpretata o raccontata magari senza particolare originalità ma sempre con sincerità, con conoscenza di causa.

Con “Romanzo criminale” Placido prende in carico un romanzo molto conosciuto e aprrezzato, edito nella collana “blockbuster” di Einaudi, la “Stile libero”. Il romanzo di Giancarlo de Cataldo (scrittore sì, ma anche ex magistrato) si ispira, in maniera molto attinente e realistica, alla Banda della Magliana, un gruppetto di comuni delinquenti che decide di fare il salto di qualità e di “prendersi” Roma, riuscendoci. Ambientato esattamente tra il ’77 e il ’92, il romanzo parla di un gruppo di ragazzi che con pochi calcoli e molte ambizioni prende il controllo del traffico di droga, della prostituzione e del racket a Roma, ma non solo. Tollerati dalla mafia siciliana e anche dallo stato (un irriconoscibile Tognazzi impersona un cane sciolto che lavora “per lo stato”), che tramite oscuri personaggi se ne serve per contrastare il più conosciuto e sovversivo pericolo rosso dei terroristi di sinistra, la banda ha campo libero e trova nel solo commissario Scialoja (Accorsi) e nelle inevitabili lotte intestine, la propria fine, inevitabile quando il gioco è durato troppo e certi “agganci” vengono a meno.

Il film è ben suddiviso in tre capitoli, ognuno dei quali intitolato ai tre componenti principali della banda: “Il Libano”, Pierfrancesco Favino, il più spontaneo, colui che da ragazzino ha sacrificato una gamba per i suoi compagni, “Il Freddo”, Kim Rossi Stuart, chiamato così perché silenzioso e riflessivo, poco incline ai traffici più attento ai rapporti tra persone. Infine “Il Dandi”, Claudio Santamaria, scaltro anche se sottovalutato. Tra loro due donne, diversissime: Roberta (Jasmine Trinca) è la brava ragazza che fa perdere la testa al Freddo, è pura e ingenua, crede all’uomo che c’è dentro, non al criminale che dorme con lei, poi Patrizia (Anna Mouglalis), una prostituta triste e affascinante che fa andare le cose come vuole lei.

Il film, più di due ore che scorrono senza accorgersene, è veloce, accattivante. Durante la prima parte, che narra dell’ascesa della banda, ci si schiera dalla loro parte, non si può non restare affascinati dai cinque ragazzi di strada che si fanno luce tra loschi figuri, tra banditi della “vecchia” generazione. La stessa ammirazione deve averla provata Scialoja, vedendoli bere, ridere, scopare e sgommare con macchine da sogno, lui, piccolo commissario che ha intuito il pericolo nascente ma non ha capito assolutamente che qualcuno più in alto di lui lo sta permettendo. Poi il registro cambia e Placido (o de Cataldo, fate voi) abbandona il montaggio rapido e i botti della prima parte per passare a scene più silenziose, a primi piani, a sguardi. Il film si concenrra, bene e giustamente, sul rapporto di amicizia virile che esiste tra i componenti della banda, sia pure tra le inevitabili differenze caratteriali che compongono il gruppo.

“Romanzo criminale” è un film solido, godibile, un prodotto finalmente internazionale: robusta la trama, filante la narrazione, bel cast, dettagliato e credibile senza essere inutilmente didascalico. Bravo Placido.

Michele Benatti

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