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Barlo

24 min read

Barlo

“Barlo” è il nome d’arte di Marco Barluzzi, di Belluno. Chitarrista, tastierista, cantante, autore di musiche e canzoni molto originali, stravaganti, divertenti, in italiano con qualche spruzzata poliglotta di inglese e tedesco. Ha in passato suonato in duo come “Cloroformio” e nel gruppo di rock demenziale “Alluci Pelosi”.

Per scaricare free download:

http://stage.vitaminic.it/main/alluci_pelosi/all_tracks/

http://stage.vitaminic.it/main/cloroformio3/all_tracks/

Ma, soprattutto, consiglio i brani del Barlo da solo.

http://stage.vitaminic.it/main/barlo/all_tracks/

checché lui m’abbia già detto: “A titolo informativo ti avviso che i brani che hai ascoltato probabilmente sono cose vecchie, registrate in maniera decisamente improvvisata, che comunque non rinnego di certo, anzi… volevo semplicemente precisare che dopo di quelle cose ne ho fatte diverse altre, sempre a livello amatoriale, ma un po’ più curate dal punto di vista della qualità del suono… Chi l’avrebbe mai detto che qualcuno avrebbe ripescato quei vecchi brani che feci alle mie prime esperienze al computer… avrò avuto 18 anni, se non ricordo male”. E bene fa a non rinnegarle, perché sono davvero geniali, pur con i limiti di registrazione in casa magari alle prime armi allora col computer, laddove in Italia le cose più interessanti sono proprio quelle amatoriali, perché possono finalmente esistere ed esprimersi liberamente senza bisogno che i loro creatori disperdano il proprio estro in riconoscibili canoni popolari e senza trovarsi a dover sperdere la propria originalità e a rinunciarvi a causa di biechi, ottusi industriali e bottegai della musica strasentita.

Barlo è una strana, surreale, direi quasi inedita mistura di elettronica orecchiabile e melodica fatta al computer e testi cantati e recitati, ironici, divertenti e beffardi, zappiani (nel senso di certo Frank Zappa da dissacrante operetta rock, quello di “We’re only in it for the money” per es.)… Musicalmente Barlo fa buone cose, con varietà di tempi, suoni, incisi e mood. C’è poi anche un Barlo solo elettronico strumentale, come in “Plan 9 from outer space”.

Bella “Uomo senza senso”, che mi ha ricordato quel gioiellino di “Piccolo pub” di Battiato, con frasi finali di chitarra tex mex. Divertente “Watson e Crick”, scopritori della doppia elica del DNA, musica alla Residents di Freak Show. “Anche tu vittima dell’ironia della propria masturbazione” è un po’ So Erba e un po’ Elio, c’è un uso molto divertente del reverse e del pitch sulle voci. Intro arabeggiante e mandolinato alla sequenza di basso elettrodisco di “Battle of Spitfire”, quindi sonorità alla Badalamenti dei suoni di synth che si fa psichedelia tardo-beatlesiana di arpeggi di chitarra acustica, spolverate di dark nelle voci e nei cori, nell’organo… un reverse finale beffardamente satanico… Bella anche Ich liebe dich inizia con intrecci arpeggiasti di chitarre acustiche, voci soul, organo alla Hammond, poi si apre ad una musicalità raffinata affine agli Air… Ogni canzone sembra una piccola “operetta” spiritosa con tante cose serie dentro ben amalgamate.

E questo vale per tutto ciò che al momento di Marco Barluzzi si può scaricare da Internet…

Le sue ultime produzioni, da solista, 2003-2005, con gli Hapax (Marco Barluzzi – voce, synth, chitara / Francesco Battiato, chitarra elettrica / Massimo Dell’Andrea, basso) o con la voce di Selene Bortot… Vale quanto detto ed anche molto di più. Marco Barluzzi, da quelle registrazioni ad oggi, è maturato in continuità e ce n’è abbastanza da mettere in pensione tutti i direttori artistici e gli addetti alla cultura che imbattendosi nelle nuove canzoni di Barlo rispondano d’ora in avanti picche.

A Strumentali come “Bolle di sapone” o la bellissima “Senilità” (piccolo gioiello ambient alla Brian Eno, musica da “end titles” per un film come si deve), alla “eliana storia tesa” di “Io sofista”, ai momenti duri o a quelli “catartico-psicotici” alla Nine Inch Nails (Ricordi di un nichilista passivo / Sono in piena crisi), all’atmosfera Orbital di “Digestione sofferta”, al medievale canto a capella de “I nostri antenati ci parlano”, alle reminiscenze new wave anni Ottanta (Torna ciò che sei), al progressive dagli echi rinascimentali di “Amor d’altri tempi”, alla deridente “Spazzatura (chi ce l’ha non se ne cura)” … a tutto questo, non si può restare indifferenti. Musicalmente, nel bellunese (per quanto Barlo ne dica sconsolato), se per intanto lui c’è, non c’è lo zero assoluto.

Intervista

Davide

Ciao Marco… Per iniziare, vuoi fare una sintesi delle tue esperienze musicali fino ad oggi?

Marco

Intorno ai dieci anni ho cominciato, da autodidatta, a suonare la chitarra e la tastiera. Poi ho studiato per quattro anni pianoforte. A quattordici, assieme ai miei amici, ho formato il mio primo gruppo musicale, gli “Alluci Pelosi”, in cui suonavo la chitarra elettrica e cantavo. Grazie a quella prima esperienza “ufficiale” ho imparato anche alcune nozioni fondamentali di basso e batteria, che misi in pratica suonando occasionalmente con altri gruppi. Avevo circa diciotto anni quando vincemmo un piccolo concorso il cui premio era la registrazione in studio di un “demo” (in realtà ci diedero una quota tale da permetterci al massimo di offrire un giro di birra per tutti); proprio in quel periodo, mentre registravamo il “demo” (ripeto, ci tengo a diffamare quel concorso, pagando di tasca nostra) incominciai a prendere lezioni di canto, ma ci andai solo per un anno.

Ispirato dall’esperienza appena vissuta in studio di registrazione, cominciai a registrare in casa, con mezzi improvvisati, i brani di cui parli tu nell’introduzione: nacque così “la mente che cancella” di Barlo (da sempre il mio soprannome tra amici).

Dopo un anno circa registrai, sempre in casa, un cd assieme ad un amico: “Virus” dei Cloroformio. All’inizio dell’università sciolsi gli Alluci Pelosi e formai gli Hapax, con i quali ho registrato “Silenzio!”. Spedimmo il cd ad alcune etichette discografiche: una di queste ci contattò pure, però poi non se ne fece più nulla. Di recente ho sciolto il gruppo e sono tornato a registrare per conto mio, anche se nulla di definitivo, per ora.

Davide

Alluci Pelosi e Cloroformio sono ancora due progetti a cui partecipi? Ce ne parli un po’, anche se in retrospettiva, qualora non fossero più attivi. Cosa spinge al rock demenziale (divertente per altro “Il signore degli anelli di totano”)? Di quelle esperienze “socializzate”, cosa ne porti a casa nel bagaglio di Barlo “solista”?

Marco

Come ho detto prima, Alluci Pelosi e Cloroformio sono due progetti ormai conclusi. L’esperienza degli Alluci è stata la più duratura e quella che più di ogni altra mi ha permesso di suonare dal vivo, suppongo per l’immediatezza della nostra musica. Per quanto riguarda Cloroformio, si è trattato di un divertente esperimento, nel quale ho potuto dare libero sfogo alla mia innata demenzialità, senza dovermi preoccupare del giudizio del pubblico, perché in effetti quei brani non nacquero per essere suonati dal vivo (come del resto quelli del Barlo). In conclusione, l’esperienza con gli Alluci Pelosi in particolare mi è servita ad acquisire quelle nozioni basilari che mi hanno permesso successivamente di comporre ed eseguire musica da solista.

Dimenticavo: cosa spinge al rock demenziale? La risposta è una sola: la demenzialità insita in tutti noi… certo non è da tutti saperla scovare e farne buon uso. Un grande pregio della demenzialità è la sua capacità di ricordare costantemente, al musicista in questo caso, di non prendersi troppo sul serio; l’importante è non prendere troppo sul serio nemmeno la demenzialità, cosa che purtroppo fanno in molti. La demenzialità è, per quanto mi riguarda, un’efficace e salutare valvola di sfogo. Comunque, ora come ora, credo non sia più corretto definire la mia musica come “demenziale”, forse solo qualche pezzo. Certo, salvo rari casi, l’ironia è un aspetto da cui difficilmente mi discosto totalmente, è più forte di me. Spesso, anche quando non sembra esserci, è lì, nascosta da qualche parte.

Davide

Come va la musica nel bellunese? Ci segnali qualcosa di buono? Gruppi, solisti, etichette, locali… Che so?

Marco

Qualcosa di buono? Ma stiamo scherzando?! ZERO ASSOLUTO, buio totale. È pressoché impensabile suonare dal vivo in un locale bellunese qualcosa che esca, anche solo minimamente, dagli schemi musicali dettati dai media. La sola logica contemplata da costoro sembra essere quella del profitto. Il “mercato” richiede solamente cover band di Vasco, Ligabue et similia: con tutto il rispetto per questi gentili signori, ma a forza di ascoltare esclusivamente loro emuli mi viene quasi la nausea solo a sentirli nominare. Ripeto, con tutto il rispetto…

Se esistano o meno gruppi musicali originali a Belluno è difficile dirlo, data l’indecente situazione attuale in cui è letteralmente impossibile esibirsi in pubblico, se non si corrisponde agli schemi sopra citati. Quei pochi bar che permettevano a cani e porci di suonare (e per fortuna che c’erano!) sono stati pressoché obbligati, o per motivi finanziari o a causa dei soliti vicini rompiballe, a rinunciare alla musica dal vivo. Devo ringraziare soprattutto la “scena musicale” bellunese se sono musicalmente relegato in casa da anni, senza la possibilità di esibirmi dal vivo suonando la musica che mi piace. Che tristezza infinita…

Davide

Un tuo brano si intitola “La mente che cancella”… C’entra, ne sono certo, con “Eraserhead” di David Lynch (io adoro Lynch e credo anche tu). Allora ti chiedo: come ti ha parlato quell’incredibile film, cosa ne hai ricavato tu da quel crogiuolo dai continui onirici allucinati nonsense e, in quanto onirici, manifestazioni di profondo inconscio a cui attingere, ciascuno secondo se stesso? Voglio dire: prova a scrivere in poche righe, non necessariamente sensate, come lo riassumeresti? E perché lo hai trasposto in quei termini nel tuo brano, come cioè il tuo lavoro vi si riferisce?

Marco

Anche io adoro Lynch, e “la mente che cancella” è evidentemente una citazione del suo geniale film d’esordio. Premetto che trovo assolutamente futile qualsiasi esplicazione di “Eraserhead”, ciò nonostante posso individuare alcuni elementi che mi hanno colpito particolarmente: innanzitutto lo scenario industriale; in ogni singolo fotogramma Lynch, a mio parere, sembra sottolineare l’immenso squallore dell’uomo moderno, mostro nato dalle viscere della società industriale. A sostegno della mia “tesi” ricordo che Tsukamoto, con il suo “Tetsuo” (che definirei, senza troppi indugi, l'”Eraserhead” orientale), si è concentrato esclusivamente, o prevalentemente, sull’aspetto industriale del film di Lynch, il quale costituisce, evidentemente, lo spunto principale dal quale il regista giapponese ha attinto nel realizzare il mitico “Tetsuo – the iron man”. Se dovessi dire in parole povere cosa narra “Eraserhead”, deturpandolo ovviamente di tutta la sua carica visionaria, direi che molto probabilmente, tra le altre cose, illustra cinematograficamente l’incubo di un uomo comune, moderno, industrializzato, che ha ingravidato la sua ragazza e che è terrorizzato un po’ dal fatto di avere un figlio indesiderato, un po’ dal fatto di averlo in questo mondo. Certo è che si tratta di un vero e proprio incubo, ne ha tutte le caratteristiche; inoltre basti pensare ad altri film di Lynch, quali “Lost Highway” o “Mulholland Drive”, per rendersi conto di quanto la dimensione onirica sia fondamentale nel suo cinema. Comunque, ripeto, le mie sono semplici opinioni su un film che sfugge ad ogni rigida schematizzazione concettuale.

Per quanto riguarda invece il brano “la mente che cancella”, in realtà si trattò di una scelta istintiva, un po’ per citare un film che mi piace particolarmente, un po’ perché trovai che quel brano fosse quello giusto per concludere l’omonimo disco: pensai subito al sogno nel sogno del film, nel quale dalla testa mozzata di Henry viene prelevata la massa cerebrale per fabbricare (con un macchinario industriale!) un’infinità di gomme per matite; successivamente, dopo aver testato la gomma, i rimasugli vengono soffiati e assistiamo finalmente alla famosa immagine che fa inoltre da copertina al film (ne ho una maglietta che sfoggio “orgogliosamente” nel “booklet” del cd degli Hapax). Ecco, il brano finale del disco, “la mente che cancella” appunto, doveva avere semplicemente la funzione di “cancellare” tutto ciò che era stato precedentemente ascoltato dall’inizio del disco. E, come se non bastasse, anche di cancellare la distanza, racchiusa nella nostra mente, che ci divide dal nostro “tempo perduto”. In “copertina”, se così si può chiamare, non a caso vi misi una mia immagine da piccolo, risalente ai tempi in cui ancora sorridevo spontaneamente alla vita. Infatti il brano è per gran parte costruito su “reverse”. Col senno di poi, dal momento che allora ancora non conoscevo il disco che citerò tra poco, me la sentirei di paragonare l’intento del finale di quell’umile “album” che produssi diversi anni fa, “la mente che cancella”, con l’immenso finale del primo disco omonimo dei Faust, che si conclude con queste parole: «And at the end, realize that nobody knows if it really happened».

Davide

Mi ha divertito molto il testo di Watson e Crick… Ti va di scrivercelo?

Marco

Certo, anche se hai scelto proprio il più lungo! Ricordo che lo scrissi in classe, durante l’ora di biologia, insieme al mio amico e compagno di banco Mario. Il testo risale ad un paio di anni prima della sua effettiva realizzazione: lo trovai sepolto tra le cartacce, in un cassetto, e decisi di registrare “Watson & Crick”. Molte delle frasi che cito nel brano sono state estrapolate da un discorso di Crick, se non erro, riportato nel mio vecchio libro di biologia.

WATSON & CRICK: « “Hi Watson! Hi Crick! Perché non scopriamo la struttura del DNA? Ok”. Gli ancor giovanissimi Watson & Crick intrapresero l’ardua via che li portò alla scoperta, alla scoperta di una cosa più o meno importante, il modello a doppia elica di Watson & Crick. D-N-A, D-N-A… ok! James and Francis rimasero ben presto intrappolati dall’intrinseca bellezza della doppia elica del DNA, e per questa rinunciarono ai piaceri della vita. Watson & Crick, grazie ai raggi X forniti dal King’s College, scoprirono una cosa dagli effetti che Crick stesso dubitava potessero essere paragonabili a quelli della scoperta dell’America, ma comunque importanti, se non altro interessanti. D-N-A, D-N-A… ok! Grazie “Cavendish Laboratory” per averli fatti incontrare, grazie ancora! ‘C’è poi il problema di cosa sarebbe successo se Watson ed io non avessimo chiarito la struttura del DNA’, confessò Crick, ‘se Watson fosse stato ucciso da una pallina da tennis, da solo non sarei riuscito a risolvere l’annoso problema della struttura; ma chi l’avrebbe risolto? Forse Rosalind Franklin, che però lasciò il King’s College e il DNA per cominciare a lavorare invece sul TMV, il virus del mosaico del tabacco’. ‘Qualora noi due non fossimo stati gli scopritori della struttura, questa, invece di rivelarsi come lo sbocciare di un fiore, sarebbe trapelata attraverso uno stillicidio di dati e avrabbe avuto un impatto decisamente minore’. ‘Piuttosto che pensare che Watson e Crick abbiano creato la struttura del DNA, io direi che la struttura ha creato Watson e Crick’. Scienziato e poeta. La modestia di quest’uomo è ammirabile… ti ammiro Francis Crick; anche se probabilmente ora lavori da McDonald’s e non hai il becco di un quattrino, non ti disperare… fatti dedicare il Crick menù. Watson & Crick…».

Spero di non aver tralasciato nulla.

Davide

E’ molto divertente… Mi diverte ascoltare testi che non abbiano la struttura della forma canzone… So che sei un “patito” di Nine Inch Nails. Altri amori musicali?

Marco

Non è che ora non sia più un patito dei NIN, anzi, ma ormai sono un “patito” di così tanti artisti che non mi posso più definire un patito di nessuno. Innanzitutto ci tengo a sottolineare il fatto che condivido pienamente i riferimenti che hai fatto ad altri artisti nella presentazione di alcuni dei miei brani; non solo, ti ringrazio pure, dato che mi hai paragonato ad alcuni dei miei artisti preferiti. La cosa divertente è che, quando composi e registrai quei brani, ancora non avevo ascoltato assolutamente nulla dei Residents e neanche un disco intero di Zappa (sicuramente non il mitico “We’re only in it for the money”). Ho praticamente citato “ante litteram” le mie future passioni musicali. Per quanto riguarda Zappa avevo l’influenza indiretta degli Elio e le storie tese, ma per quanto riguarda i Residents… non sapevo neanche chi fossero.

Comunque, se me lo concedi, preferirei semplicemente citare alcuni dei dischi che più amo, altrimenti qua non si finisce più! In ordine sparso: tutti i primi di Zappa con i Mothers of invention, “Meet the residents” e “Not available” dei Residents (ma, in generale, tutti i Residents degli anni settanta), The Velvet Underground and Nico, “Spiderland” degli Slint, “Safe as milk” di Beefheart, “Slow, deep and hard” e “Bloody Kisses” dei Type O Negative (adoro Peter Steele e il suo senso dell’ironia), “Hole” e “Nail” di Foetus, “The downward spiral dei Nine Inch Nails (ma mi piace bene o male tutto ciò che ha fatto finora Trent Reznor, salvo alcune eccezioni), “Rock bottom” di Robert Wyatt, “Tago Mago” dei Can, il primo omonimo dei Suicide, “Starsailor” di Tim Buckley, “The divine punishment” di Diamanda Galas, “Dolmen music” di Meredith Monk, “The Record” dei Fear, “Geek the girl” di Lisa Germano, “Good” dei Morphine, “Fetus” e “Pollution” di Battiato (anche se almeno “studio collection”, per quanto riguarda il periodo successivo, è d’obbligo), “Affinità-divergenze…” dei CCCP (anche se dei CCCP mi piace praticamente tutto; dei CSI preferisco “linea gotica”, seguito da “ko de mondo”), “Arbeit macht frei” degli Area, “Fontanelle” delle Babes in Toyland, “Tommy” degli Who, “Down colorful hill” dei Red House Painters, “The parable of arable land” dei Red Crayola, il primo omonimo dei Doors, “Surfer rosa” dei Pixies, “The ascension” di Glenn Branca, “Music for airports” di Brian Eno ecc. La lista “completa” sarebbe infinita (in ogni senso: lunghissima e mai finita)…

Per quanto riguarda invece la musica classica, in questo momento amo in particolar modo le seguenti opere (ma i miei gusti sono in continua oscillazione): la nona sinfonia (“dal nuovo mondo”) di Dvořák, il concerto per orchestra di Bartók, il requiem di Verdi, la quarta sinfonia di Brahms, la messa glagolitica di Janáček, il concerto per violino di Čajkovskij, la nona sinfonia di Beethoven, i preludi di Debussy, una notte sul Monte Calvo di Musorgskij e la Sagra della primavera di Stravinsky. Ho sempre amato, inoltre, i notturni di Chopin (in particolare sono affezionato al primo, che considero sublime) e ultimamente ho scoperto le opere di Varese, che trovo estremamente originali ed interessanti. Comunque, in generale, mi piace molto la musica sinfonica. Le preferenze sopra citate sono da intendersi a livello strettamente indicativo.

Ultimamente non ascolto spesso jazz, però posso affermare che, per ora, il mio jazzista preferito è Charles Mingus (“Pithecanthropus erectus” a suo tempo mi segnò parecchio, immettendomi nel genere), seguito da Monk. Mi piace molto inoltre il classico “Kind of blue” di Miles Davis. Direi però che mi sono dilungato abbastanza al riguardo, inutilmente forse.

Davide

Tutti ottimi dischi… Ottimissimi, anzi. Mi hai detto che raramente suoni in gruppo e… che, insomma, questa è una storia lunga… Sarà lunga, ma qui abbiamo tutto lo spazio che vogliamo. Ce la racconti?

Marco

Cercherò di essere breve: innanzitutto sono estremamente introverso, non amo la mondanità e soprattutto tollero sempre meno l’idea di piegarmi in maniera ignobile alle leggi del mercato musicale. Insomma, se uno vuol fare musica leggera, che la faccia pure, ma in maniera personale. Quando parlo di musica commerciale non intendo la musica “facile”, ma semplicemente la musica che nasce esclusivamente per essere immessa nel mercato, e che quindi sottostà in toto a leggi estrinseche alla volontà dell’artista, le leggi del mercato musicale, appunto.

Detto ciò, piuttosto che dover continuare ad affrontare discussioni del tipo «quali cover dobbiamo fare per essere fichi?», oppure «oh, ragazzi, qua bisogna tirar su gente» e simili aberrazioni… piuttosto che dover continuare a sopportare tutto ciò, dicevo, preferisco rimanermene a casa e coltivare da solo la mia passione musicale. Ricordiamo sempre, affinché i lettori non si spaventino, che vivo nel bellunese, zona culturalmente morta per eccellenza. In ogni caso la mia passione per la musica non è a tal punta “malata” da indurmi, pur di suonare dal vivo, a suonare musica che considero assolutamente non stimolante; non ho intenzione, non per ora, di perdere il mio tempo a commercializzare me stesso e la mia musica per il semplice vezzo di continuare ad apparire in pubblico.

Perché suono raramente in gruppo? Anche perché difficilmente trovo qualcuno disposto a suonare quello che mi piace (per molti versi démodé), ma non è esattamente questo il problema: in effetti il mio proposito è sempre stato quello di creare da zero qualcosa di nuovo con chi suono, purtroppo però qui a Belluno è davvero difficile, se non impossibile, incontrare qualcuno che abbia intenzione di fare la musica che ho in mente io. In che senso? Nel senso che l’unica regola indiscutibile per me, quando faccio musica, è che non vi debbano essere regole, e quindi vincoli dovuti all’adesione ad un genere specifico, ad una moda, ad un’esigenza commerciale. Lo so, lo so, quasi tutti a parole la pensano come me, ma nei fatti poi…

Anche il mio avvicinamento all’elettronica è stata più una necessità che una vera e propria scelta: grazie a questa tecnologia infernale, che ancora oggi parzialmente detesto, posso creare mille suoni, sovrainciderli, torturarli ecc. Insomma, le possibilità sono infinite.

Per concludere, le prospettive che mi si presentano sono tre: o avere un’orchestra a mia disposizione (sì, come no), o rimanere chiuso in casa e registrare da me (difficilmente però potrò riprodurre dal vivo quel che farò), o invece trovare in futuro un gruppo con il quale fare musica solo per il gusto di comporla e farla ascoltare (però, finché rimarrò a Belluno, difficilmente potrò realizzare questa possibilità, in quanto, ancor più difficile che trovare la gente giusta, è trovare un locale disposto a farti suonare la tua musica). Per ora, date le premesse, credo che per alcuni anni, finché rimarrò a Belluno, mi troverò costretto a segregarmi in casa. In futuro si vedrà. Spero vivamente che le cose cambino.

Davide

Mi hai detto che ti piace far musica, ma la povertà di aiuti e mezzi (di qualsiasi tipo) ti impedisce di dedicartici quanto vorresti… Io credo che i vincoli siano un ottimo stimolo per la propria creatività. Pensi che, disponendo, di qualunque cosa tu voglia ad ogni preciso momento, mezzi, collaboratori, investimenti, possa in realtà aiutare ad esprimersi al meglio, o non piuttosto il contrario?

Marco

Per cominciare, credo che si faccia spesso confusione tra megaproduzione a fine commerciale, come spesso avviene, e megaproduzione a fine artistico, cosa rara ma possibile, in cui il fine ultimo è l’opera stessa e la suo massima realizzazione. Un esempio eclatante, tanto per essere chiari, è un’eccelsa registrazione di una grande opera sinfonica, eseguita da una bravissima orchestra con una formidabile strumentazione e condotta da un “maestro della bacchetta”. Sarebbe possibile realizzare tutto ciò senza i mezzi necessari? Devo ammettere che, anche se apprezzo molto alcuni dischi del genere, non sono un cultore del cosiddetto “lo-fi“; credo non si possa negare che anche quella dell’artigianato a bassa qualità è diventata in molti casi una moda, nella quale si nascondono gruppi privi di idee ma assetati di visibilità nel circuito “underground”. La stessa etichetta “indie“, per quanto esprima un concetto a me caro, è ormai diventata letteralmente ridicola, pretendendo di essere un vero e proprio genere musicale. Si sentono in giro spesso cose del tipo: «che musica fai tu?», «io suono musica indie». Ma fatemi il piacere!

In ogni caso, per tornare a me, quello che cerco non è la lampada magica della musica. Semplicemente, quando mi lamentavo della mancanza di aiuti e mezzi, mi riferivo al fatto che ho una strumentazione scadente e mezza rotta; non ho un mio personal computer (e quello che ho non ha la ram sufficiente per reggere Cubase, per esempio); non conosco nessuno che sia disposto a farmi suonare dal vivo e a diffondere eventuali miei dischi; non trovo collaboratori di alcun tipo e soprattutto non so dove cercarli; mi mancano diversi strumenti necessari alle mie registrazioni; non ho ancora dimora fissa e quindi non saprei dove costruire il mio piccolo studio di registrazione; ma soprattutto non ho ancora un lavoro (studio filosofia a Padova) e quindi entrate costanti. Sono ormai più di dieci anni che vado avanti a registrare, prima con le cassette poi con il PC, in condizioni a dir poco stressanti. Davvero ho bisogno di rinnovare l’armamentario. Si pensi che negli ultimi brani che ho registrato, per esempio, per inserire la voce ho dovuto campionarla, tagliare i silenzi col waveditor della scheda audio, sincronizzarla con il synth ecc.; e tutto ciò per ogni traccia audio, che, trattandosi di campionamenti, non poteva durare più di un tot, altrimenti mi scoppiava il computer. Ditemi voi se questo non è tempo perso! Ti diverte la prima volta, forse anche la seconda… ma già alla terza non ne puoi più. Da questo punto di vista la mancanza di mezzi, più che uno stimolo mi sembra un ostacolo. Ciò non toglie che sono d’accordo con il fatto che, soprattutto in mani non particolarmente esperte, il troppo storpia.

Davide

Mi accennavi circa il fatto che dalle tue parti al massimo organizzano spettacolini al bar all’angolo a base di Vasco, Ligabue e birra (ma questo capita un po’ ovunque) e della tanta frustrazione che ne consegue per musicisti come te. Posso capire. E quindi di suonar fuori, nella tua zona per lo meno, vi hai rinunciato. Io credo invece che insistere, portare dal vivo cose proprie, nuove, come i vecchi musicanti, cercando i luoghi adatti, sia sempre un modo, anche se davanti a soltanto due attenti spettatori per volta, proprio di combattere questa orrenda piega e piaga della musica nostrana dal vivo divenuta solo mero contorno di cover nelle serate a base di cerchia d’amici, birra e patatine con la ketchup, e delle cattive, pigre abitudini del “fruitore” nostrano, sempre più disattento e diseducato alla musica. Lo credo più utile del mettere musica su Internet, dove capiteranno a scaricare e ascoltare solo rari navigatori occasionali. Potrebbe essere altresì utile cercare (e girando, “on the road” è anche più facile trovarne) musicisti affini coi quali intraprendere vari progetti che introducano volta per volta nuovi fotogrammi nel “cortometraggio” dell’eterno film-loop italico-provinciale. Ma poi, so anche che a volte la realtà è veramente spietata e deprimente, e rinunciare può essere la più sana reazione. Insomma, com’è andata o come va da questo punto di vista?

Marco

Sono in totale accordo con quanto dici, però sottolineo nuovamente il fatto che la realtà bellunese non solo incarna alla perfezione questi problemi, ma ne è un’esasperazione. Senza entrare nel merito di un’indagine pseudosociologica – non mi sembra proprio il caso –, posso comunque assicurare che il disinteressamento nei confronti di un qualsiasi tipo di musica svincolato da certi canoni da queste parti è davvero all’apice. Per questo, fino a quando non mi deciderò a cambiare ambiente, la soluzione più salutare, e sottolineo SALUTARE, mi sembra essere semplicemente una, senza via di scampo: non pretendere di suonare in pubblico a tutti i costi (dato il prezzo, a mio parere troppo alto, da pagare). Non perché il pubblico sia poco partecipe, non perché sia poco numeroso, no… il problema principale è che in generale, all’infuori di una ristretta cerchia di amici, se ti va bene, la gente (ma per primi i gestori di locali) sembra volerti far capire in ogni modo che ti fa un favore a sopportarti, ad ascoltare qualcosa che non solo non li interessa, ma fa loro perdere tempo (e «il tempo è denaro»). Insomma, per quanto mi riguarda, una situazione penosa.

Certo è che, lo ripeto, non sarà l’ottusità musicale della maggior parte dei proprietari di locali (o organizzatori di feste e simili, senza entrare nel merito degli ascoltatori, questione assai complicata) ad uccidere il mio rapporto con la musica. Sicuramente non è d’aiuto. Altrettanto sicuramente non perderò una sola occasione, che non intralci eccessivamente con i miei studi, per fare musica e proporla ad un pubblico che sia perlomeno curioso. Ma mi rendo perfettamente conto che anche il resto d’Italia, per non dire del mondo, ha da tempo abbracciato la stessa “filosofia” della maggior parte dei locali bellunesi, nonostante lo si faccia spesso, per fortuna, con meno ottusità o, se non altro, altrove il fenomeno mi sembra meno assolutizzato.

Senza finire con un’invettiva al “sistema” in generale, perché è là che vado sempre a parare ogni volta che si tocca quest’argomento, concludo dicendo che la mia speranza di avere la possibilità di pubblicare dischi (perché è questo in fondo che desidero) non è morta, ma parecchio disillusa. Io intanto, mentre attendo un fantomatico illuminato “mecenate” che mai verrà, continuo a suonare e registrare per conto mio (o per chi vorrà ascoltarmi), ma soprattutto continuo a criticare. Un conto è rifiutarsi di scendere a compromessi e far finta di niente, un conto è rifiutare mettendo le cose in chiaro ad ogni occasione. La critica è un’arma potente e difficile da estirpare; credo che lo spirito critico sia una delle poche risorse umane capaci oggi di cambiare le cose, parlo in generale, e la gente, purtroppo, tende a dimenticarlo… sto divagando un po’ troppo forse. Spero di essermi spiegato.

Davide

Hai trovato un produttore, ti mette sotto contratto per un disco e ti chiede di compilargli una lista di musicisti e collaboratori. Potrà procurarteli tutti, perché è uno che può.

Marco

Mi chiedi chi vorrei? Sicuramente non sarei in grado di scegliere qualcuno in particolare, ma probabilmente direi una cosa del genere: «non importa chi, l’importante è che il progetto lo incuriosisca». Insomma, il massimo sarebbe avere intorno musicisti realmente interessati a ciò che ho da proporre, a prescindere dalla loro fama e relativamente anche dalla tecnica: per capirci, preferirei un brocco con una gran passione per la musica in generale, che, viceversa, un esperto dell’esecuzione, un eccelso tecnico, che però concepisce la musica come un semplice mestiere o qualche aberrazione simile.

Se però mi trovassi costretto a fare qualche nome preciso direi sicuramente Trent Reznor (sì, buonanotte, figuriamoci…), Franco Battiato e… no, davvero, solo nominarli mi fa sentire piccolo, soffocato, schiacciato. Meglio non fare nomi. Buona la prima.

Davide

Progetti in corso e quelli a venire?

Marco

Progetti “concreti” zero, però, ora come ora, sto studiando per conto mio un po’ di armonia, contrappunto e composizione. Da un bel po’ sentivo quest’esigenza e, data la situazione deprimente che ho descritto finora, ho finalmente trovato il tempo e la voglia di cominciare. È da diversi mesi ormai che ho cominciato e mi sembra stia andando bene, vedremo.

Poi, ovviamente, nel futuro prossimo intendo tornare a comporre nuova musica e registrarla, ma mi piacerebbe che si trattasse di qualcosa di veramente nuovo nel mio repertorio. Non vorrei rischiare di ripetermi all’infinito (cosa che credo, o meglio spero, di non aver fatto finora). Ecco, il mio vero proposito, quello che sta alla base di tutto, è di non finire come molti musicisti, condannati a ripetersi all’infinito in una sorta di agghiacciante ed insulso “eterno ritorno dell’uguale”. È verso questo obiettivo principale che sono rivolte le mie energie.

Davide

Grazie per la disponibilità, Marco, e buona fortuna. Quel che non ti ho chiesto?

Marco

Innanzitutto grazie a te per l’opportunità! Quel che non mi hai chiesto? Facciamo che ti dico semplicemente quel che non ti ho detto, ma che avrei voluto dirti. Concludo tirando in ballo un problema che credo c’entri inoltre con quanto abbiamo detto finora. Si tratta di un problema in gran parte personale, ma non solo. Il fatto è che quando ci si interessa, come nel mio caso, alla musica in generale, in tutti i suoi “generi” e in tutte le sue forme d’espressione (quindi anche strumentazione e affini), le risorse richieste per poter realizzare ciò che si ha in mente diventano davvero sproporzionate. In che senso? Nel senso che più ascolto musica, più le mie “vedute” si ampliano, più mi interesso a nuove sonorità, a nuove tecnologie ecc. Più, insomma, diventa per me impossibile scegliere un genere definitivo e quindi una strumentazione definitiva. Davvero, so che non ci potrei riuscire, oggi meno di ieri, e suppongo domani meno di oggi. Da ciò nasce la mia esigenza, sopra menzionata, di mezzi e aiuti.

Certo, sarebbe “sufficiente” un cambio di rotta globale, un mondo in cui gli strumenti non costino migliaia di euro l’uno, gli studi di registrazione siano aperti al “pubblico”, la riproduzione e divulgazione di dischi sia semplice e alla portata di tutti… sì, insomma, ci siamo capiti. A me un mondo del genere non farebbe affatto schifo, anzi, però non sono sicuramente in grado di dire se sia esso realizzabile, o anche solo possibile. Certo è pensabile, e questo mi basta per continuare a sognare. La mia, in fondo, non è un’esigenza poi così assurda. O meglio, lo è, ma solo in questo triste mondo che ci siamo costruiti.

Mi si perdoni l’ingenuità, ma ciò che volevo dire, in poche parole, è esattamente l’ingenuità che segue: fare musica non è un mestiere; non dovrebbe far circolare denaro, arricchire nessuno; dalla musica non si dovrebbe pretendere nulla, ma lasciarla accadere. Non riuscirò mai, anche se un giorno dovessi entrare a farne parte, a capire il “mercato della musica”; lo si dà per scontato, se non in toto, perlomeno nelle sue linee essenziali. Io però, chiamatemi ingenuo, sono condannato a non capirlo. E dubito di riuscirci, un giorno. Trovo ancora oggi assurdo che si debba pagare per fare musica e pagare per ascoltarla; trovo assurdo che un “artista” pretenda una ricompensa in denaro per il suo “lavoro”; trovo assurdo tutto ciò. La più grande ricompensa, per quanto mi riguarda, sarebbe poter registrare ciò che voglio e diffonderlo. Questo è tutto ciò che chiedo.

Mi scuso se sono risultato pesante e pedante, ma l’argomento mi tocca parecchio in profondità. Spesso le cose sembrano più semplici di quel che sono, ma meno di quel che dovrebbero essere. Grazie ancora e, in quanto alla fortuna, ne avrò sicuramente bisogno. Già il fatto di essere stato preso in considerazione per questa intervista, comunque, l’ho considerato un gran colpo di fortuna. «Mandiamoli in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura» (Up patriots to arms, Franco Battiato).

Davide Riccio

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