KULT Underground

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Sotto la bottiglia – Filippo Kalomenìdis

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Boopen (Napoli, 2009)
pag. 129, euro 12.00
 
Chisono i Borrachines? E i sardistani? Intanto: ho fatto molto bene a seguire ilprovvidenziale consiglio di Angelo Petrella: e leggere “Sotto la bottiglia”(romanzo d’esordio d’uno sceneggiatore e scrittore). Penna da cinema, dunque,quella del sassarese, traghettatosi in continente, Filippo Kalomenìdis. Unalingua tutta alcolizzata, rigata dalle scosse alcoliche dell’alcol deglialcolizzati. Con in mezzo il dolore, la desolazione. La marginalità,l’emarginazione e il dolore. La sofferenza cosparsa da quegli oceani di nettarealcolico che insozzano l’intera capitale, inventata?, dall’autore. E iBorrachines, appunto, sono i protagonisti d’una trauma trafficata da azioni aripetizione. Sono Sole & Luna – magnifico nome che arriva direttamente dalpassato sardo del disadattato ex ragazzo-bene sardo – , San Pietro e San Paolo.Quindi il soggetto principale delle vicende, insieme ai due sdentati, questal’immagine anche non confermata dalle righe di nero inciso in pagina, amici ecompà suoi. Che formano un trio dedito al gioco, lavoro, di svaligiare ipossessori istituzionali d’alcol. Dai centri di smistamento ai negozi piùdiffusi, in forma di bottiglie da immettere nel circolo non vizioso ma viziatodel consumo legato al mercato nero di questo pezzo dello sballo abitudinarioe/o occasionale. Kalomenìdis, che si diverte tantissimo a imbrigliare le sferedelle conseguenze temporali dettati dalle date datate, fa innamorare il suosoggetto pulsante non solo delle sue bevute, mai del tutto amate, maspecialmente non d’una ma di due persone, in pratica. Anzi di due ragazzini.Una quindicenne, conosciuta prima. Poi il suo fidanzatino sedicenne. E se conla ragazza certamente in fiato di fisico va più in fondo, Sole & Lunaidealmente – mentalmente – è legato a un sentimento pure / persino colgiovinetto. Però, a parte il rapporto figliare, che il Sole & Luna è unsardistano, quindi venuto dalla Sardegna, d’oltre trent’anni, ai ragazzini il’veliardo’ vuole lasciare un altro regalo. Un dolore al futuro. Un patimentoche si manifesterà col tempo. A snodare nel lascito del “padre” la vitaprossima dei ragazzetti già scopati con petto, cuore, e pelle macchiata. Lostordimento che riceviamo dalla lettura estremamente avvincente dello scrittored’origine sarda, che non è lui stesso Borrachines (ovvero un ubriaconequalsiasi, nell’accezione negativa della ex d’uno dei due santi in terra),deriva dalla birra che ho ingerito ieri. Quindi sappiamo di che parla FilippoKalomenìdis. In un certo senso, per certi aspetti, quello che racconta ilromanzo. In un dispiegarsi che il linguaggio – a tratti volontariamente dotatodi parole brutte per la norma e in special modo per l’etica o la civiltà –spreme tutte le stranezze d’essere al limite, anzi fuori, dalle leggi. Maugualmente nelle leggi della società. Un linguaggio acuminato, perché fornitodi vivacità bella.  Quasi, dannatamente, appagante. Oppure sconveniente percerti. 

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