KULT Underground

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Disco Inferno

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Disco Inferno


Burn, baby burn.

Mi ritrovo in un locale, è tutto molto cool, tutto molto figo. A parte io, e un povero cristo occhialuto e frustrato. Il tipo raccoglie bicchieri in giro. Bestemmia e maledice a denti stretti tutti quanti.
Lo uso come apripista, voglio raggiungere il bar, voglio offrire da bere al mio orgoglio, se lo merita. La felicità di questa marmaglia mi intristisce, più della crisi nel medioriente, più dello scioglimento dei ghiacciai al polo, più dell’aumento delle aspettative di vita. Mi sento osservato. Guardo un po’ in giro, c’è una ragazzina che sta a sedere a pizzo sul divanetto con le gambe distese, né bella né brutta: trombabile. Si fuma una sigaretta come se facesse un bocchino ad un cinese, non la aspira, ma se la gusta tutta in bocca. E io mi avvicino.
"Come ti chiami?" chiedo.
"Non mi chiamo mai." risponde.
"C’hai d’accendere?"
"Vaffanculo!".
"Sai, da piccolo ci facevo le fiammate col culo. Ci avvicinavo un cerino e scorreggiavo. Una volta c’ho arrostito un porcellino d’india"
"E che ci facevi con un porcellino d’india intorno al tuo culo?"
"Sono strano, io"
Lei si mette a ridere, scivola giù dal divanetto come se l’avessero presa per i piedi, la sigaretta le cade dalla bocca, finisce chissà dove, divampa un principio d’incendio ma prontamente ci butto sopra il mio Negroni per spegnerlo, esplode un pittoresco flambé. All’improvviso mi sento tirare i pantaloni, è la troia che cerca di aggrapparsi a me per sollevare il suo bel corpicino, noto con stupore che sotto la minigonna che si alza, c’ha un’attaccatura strana. Si drizza, rigida come un manichino.
"Che c’hai, sei paralizzata?" le chiedo.
"Ho una protesi, sono senza una gamba." risponde ansimante dalla fatica.
Penso che non ho mai scopato con un’invalida
"E come l’hai persa?" le faccio.
"Ad Hanoi, quei fottuti Vietkong" poi scoppia a ridere, ha un piccolo conato.
Sta per andarsene con quella andatura zoppicante, strana, mi ricorda quei film di corsari, dove c’è sempre uno senza una gamba, senza mano, un braccio, senza un occhio. Esce dalla mia vita, e io vorrei tanto entrare nella sua fica.
La bracco. "Ti accompagno io, dove stai andando?" grido al suo orecchio per farmi sentire nel frastuono.
"Guarda che ce la faccio, sai? Non sono mica handicappata. Soffoco qui dentro, c’è puzza di merda."
"Ti accompagno!" Cerco di prenderla intorno ai fianchi e intanto le tasto il culetto. Gambadilegno alza il gomito per scansarmi, ma senza convinzione, più per convenzione.
Usciamo.
"Ho la macchina parcheggiata vicino, ci mettimo dentro ascoltiamo un pò di musica"
"’Cazzo di musica ascolti?"
"Tschaikowski, Debussy, Dowland e minchiate varie."
"Oddio, Tschaikowski quello dell’uccello di fuoco?""
"No. Quello era Stravinsky"
" Finiscono tutti eddue per sky è lo stesso"
"Anche il Whisky finisce per sky ma non è la stessa cosa, mi pare"
"Che palle!"
La prendo ancora per i fianchi, me ne strafotto delle cagate che dice, le donne ignoranti, analfabete e ingenue sono le migliori scopate. Non è un paradigma da pedofilo. Lascio scivolare una mano sotto il bordo della gonna, le agguanto una chiappa algida. Le mi guarda, non s’incazza, ma nemmeno è contenta.
Entriamo in auto. Si mette comoda, tiro indietro il sedile altrimenti non c’entra tutta. Attacco la musica.
"Che è sta roba?" mi fa.
"E’ Debussy, l’aprés midi d’un Fauno. Mi rilassa i neuroni, mi si sciolgono tutte le endorfine. Partono da qui vedi, fino giù giù giùgiù"
"Sembrano dei mongoloidi che suonano piffero e pianoforte. Non è che c’hai un po’ di Techno Trance"
Spengo tutto.
"E’ stata dura in Vietnam? Una mina?"
Scoppia a ridere la scema, pensavo di averle detto qualcosa di tenero, tanto per entrare in intimità. Tanto per entrarle.
"Sei sola?"
"Tutti siamo soli"
"E’ vero, essi" aspiro la sua malinconia, la butto fuori con un lento s o s p i r o.
"Volevo dire, c’hai il ragazzo?"
"E’ morto!" la mano mi va subito sui coglioni, ma non mi sembra consono all’atmosfera, la ritiro subito, accennando prurito repentino alle palle.
"Anche lui in Vietnam?" insisto.
"Si è suicidato"
"Mi dispiace" sono tutto contrito. Il pisello mi sviene.
"A me no, era un tale stronzo"
"E perché si è suicidato?"
"Stavo solo fumando una cicca in santa pace, in macchina, con un suo amico, in questo parcheggio del cazzo.
Ma lui ha montato su un casino. Pensava me lo scopassi il suo amico. Era ubriaco, quando mi ha accompagnato a casa me ne ha dette di tutti i colori. Bestemmiava angeli e madonne. Poi siamo finiti contro un camion…non ricordo più bene quello che è successo dopo"
"Porcatroia!"
"Lo hanno trovato una mattina, in quel parco là. Impiccato. Ha sofferto prima di morire"
"Chi te lo ha detto"
"Ricordati, quando ti impiccherai devi usare corde spesse, fai bene il nodo, ungilo con un po’ di grasso"
"Me ne ricorderò"
"Ma quello scemo ha usato un cavo elettrico, poi è rimasto penzoloni per ore e ore, come un coglione, soffocando lentamente, nel buio, nel freddo. Le voci che venivano dalla strada, non poteva neanche chiamare aiuto. Pensava fossi morta in quell’incidente, si sentiva in colpa -Ma ti sembro morta io? – Poi si è pentito, ha pensato che non ne valesse la pena suicidarsi per me, voleva tornare a casa. Ha provato a chiamare aiuto, era troppo tardi, ormai. Soffocava, ma nessuno sentiva niente. Sono arrivati cani randagi, gli rodevano le gambe, gli rosicchiavano le palle, gli rovistavano tra le viscere, e lui era ancora vivo, gridava dal dolore, ma non aveva voce"
"E tu come lo sai?"
"Ero di fronte a lui. Lo guardavo"
"Merda! Senti …. mmmh… non so nemmeno come cazzo ti chiami, torniamo dentro, qui fa freddo"
Faccio per aprire lo sportello.Mi blocca con la sua mano di tenaglia, poi lascia dolcemente la presa.
"Dai non fare il finocchio, non ti piaccio?" mi sussurra in tonalità troiesca.
E’ davanti a me, piegata di lato, la sua bocca si avvicina alla mia, slinguiamo, c’ha la saliva amarognola, un po’ d’alitosi. Ma sono arrapato e mi piace lo stesso. Dischiude le cosce, si tira su la gonna, si sfila le mutandine e mi fa vedere dove finisce la protesi e inizia la carne, dove finisce la carne e inizia il pelo. Sento l’odore della sua fica, sa di miele di tiglio, d’aloe, di piscio che m’avvelena le narici. Mentre si piega su di me apre la patta dei pantaloni, vedo solo la sua massa di capelli blu notte, dovrei avvertire un gran calore all’uccello, ma è come incularsi un tacchino surgelato. La liscio, la accarezzo come un cagnolino. Abbasso il sedile ancora un po’ e me la godo questa puttana, che alza leggermente il mento e mi fa vedere l’uccello che succhia , lo fa sembrare un mozzicone di candela. Da lontano arrivano i rumori sordi della discoteca . Noi siamo avvolti dai suoni della notte, i grilli, le allodole, il lappare vellutato di lei che mi spompina e mi fa le mesch alle palle. Le tengo ferma la testa, voglio schizzarle sull’epiglottide, voglio che la mia sborra le vada di traverso, che le esca come moccio dal naso. E la ghiottona, slurpa, s’ingozza, gorgoglia.
P U M! P U M!
Mi risveglio dall’estasi scopereccia con un – CAZZO E’ ?! – ringhiato.
Il colpo viene dal lunotto posteriore, mi fa voltare di scatto.Vedo una figura, una faccia viola, gli occhi pesti, intrisi di capillari rossi. Sta guardando dentro, vedo che sul collo ha stretta una cordicella blu , sembra un cavo elettrico. Apre la bocca per dire qualcosa di terribile, ma non esce niente da quella bocca nera come un bucio di culo del demonio. Lo fisso impietrito dal terrore.
Mi risveglia la ragazzina che strilla come una gallina stuprata.
"Non è come pensi stavamo solo fumando una cicca! No non andare, ASPETTA. STRONZO!"
Lui si allontana velocemente diventa come un uomo visto al con un binocolo al contrario. Si regge con le mani qualcosa che straborda dalla pancia. Lo insozza di sangue rappreso.
Di scatto cerco di mettere in moto la macchina. Lei non c’è più, ma non può essere uscita dallo sportello: metto sempre la sicura quando imbarco una figa, con tutti i maniaci guardoni froci stupratori, non si sa mai, e la sicura era ancora giù. Guardo lo specchietto retrovisore, niente, è scomparso anche lui.
Siamo rimasti soli. Io e il mio cazzo. Un totem di rabbia. Lui è un duro, anche nelle situazioni difficili tiene alta la testa. Il bambino a cui hanno rubato un giocattolo sotto al naso, vorrebbe tanto scoppiare a piangere. Poi il bagliore sopra la discoteca, un’enorme falò che avvampa nel cielo cremisi. Urla e scintille, anime e fumo, danzano intorno alle fiamme. Mi prendo l’uccello, e penso a quanto sia orribile la vita, a quanto sia terribile la morte, a quanto sia da maleducati lasciare un lavoro a metà.


Radiodiable
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