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Kyoto Protocol

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Kyoto Protocol1
“Non è perchè le cose sono difficili che non osiamo,
ma è perchè non osiamo che sono difficili”
Seneca

Quasi 10.000 persone, delegati di 181 Nazioni e Organizzazioni Internazionali, osservatori e giornalisti parteciparono ad un importantissimo evento, celebrato nella città giapponese, dal 1 al 11 dicembre 1997.
Si teneva, infatti, la terza riunione della “Conferenza delle
Parti2 contraenti alla Convenzione3 quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici“, lo strumento pensato a livello internazionale per contrastare e ridurre al minimo gli effetti negativi dei cambiamenti del clima sul nostro pianeta. I cambiamenti climatici riguardano l’aumento, in intensità e frequenza, dei fenomeni estremi (uragani, temporali, inondazioni, siccità, ecc…), l’aumento del livello dei mari, la desertificazione, la perdita di biodiversità.
La comunità scientifica internazionale ha dibattuto a lungo (e ancora dibatte) sulle cause e sull’aumento sia dell’effetto serra, che dei cambiamenti climatici. Oggi, ormai, l’evidenza scientifica del legame delle alterazioni del clima con le attività umane gode di largo consenso fra gli scienziati, anche se non vi è unanimità, nel senso che alcuni autorevoli scienziati, di diverse nazionalità, affermano che saremmo in una fase preglaciale di naturali modificazioni ambientali, solo in parte dovuti alle emissioni antropiche. Non altrettanto concorde è anche l’opinione sul metodo migliore per contrastare tale tendenza, tanto che gli studiosi di questa corrente minoritaria concludono che la scelta di Kyoto è connessa più a ragioni di sostenibilità economica dei futuri processi industriali, e della qualità della vita umana in relazione all’inquinamento atmosferico, che all’emergenza dei mutamenti climatici.
Dunque, al termine della sessione si approvò, per
consenso4, una decisione (1/CP.3) per l’adozione di un Protocollo5 secondo il quale i paesi industrializzati (e quelli ad economia in transizione verso il libero mercato) si impegnavano a ridurre, per il periodo 2008-2012, il totale delle emissioni di gas ad effetto serra6, almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990, sulla base del principio di “comuni, ma differenziate responsabilità” (nel senso che maggiori sforzi sono richiesti a quei Paesi che emettono maggiori volumi di inquinanti7).
Questi impegni, giuridicamente
vincolanti8, dovranno produrre una inversione storica della tendenza crescente delle emissioni che, detti paesi, hanno da circa 150 anni. I Paesi soggetti a vincolo di emissione sono 39 ed includono, fondamentalmente, i paesi europei (inclusi quelli dell’est), il Giappone, la Russia, gli Stati Uniti9, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda. Gli obiettivi specifici di riduzione delle emissioni sono stati quantificati per il periodo 2008-2012. Per i periodi oltre il 2012, saranno negoziati nuovi obiettivi che potrebbero includere un numero maggiore di paesi10.
Il Protocollo di Kyoto è stato aperto alla firma il 16 marzo 1998, e dopo sette anni di confronti, negoziati ed un faticosissimo processo di ratifica, è entrato in vigore il 16 febbraio 2005 dopo il raggiungimento della soglia minima di
ratifiche11.
Il Protocollo propone una serie di provvedimenti volti a rafforzare o istituire politiche nazionali di riduzione delle
emissioni12 (miglioramento dell’efficienza energetica, promozione di forme di agricoltura sostenibili, sviluppo di fonti di energia rinnovabili, ecc.); esso punta, inoltre, a rafforzare la cooperazione tra le parti contraenti (scambi di esperienze e/o informazioni, coordinamento delle politiche nazionali, compravendita di diritti di emissione, ecc.) in un’ottica veramente globale, come l’inquinamento che non rispetta i confini nazionali o le barriere doganali.
L’Italia ha assunto l’impegno, con la
ratifica13 del Protocollo, di ridurre le emissioni nazionali di gas serra del 6,5% rispetto al 1990. Il “Piano Nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra14” prevede la possibilità di fare ricorso a “meccanismi flessibili” previsti dal Protocollo, come la Joint Implementation15 e il Clean Development Mechanism16.
Ma la missione appare, in pratica, molto più impegnativa. Nello scorso decennio, infatti, le emissioni inquinanti del sistema industriale italiano sono aumentate del 10% anziché diminuire. La Gran Bretagna, invece, ha già superato l’obiettivo per il 2008, con un taglio delle emissioni del 14,5% rispetto ai livelli del 199017, mentre la Germania, che doveva centrare un obiettivo molto difficile (-21%), è già arrivata ad un taglio del 18,6%.
In Italia, quindi, la riduzione effettiva da garantire sarà ben maggiore del 6,5%: tenendo conto dei dati registrati nel 1990, la quantità di emissioni assegnate all’Italia non potrà eccedere nel periodo 2008-2012 il valore di 487,1 Milioni di Tonnellate CO2 eq. (valore obiettivo per l’Italia).
Ai fini di una chiara comprensione dello sforzo di riduzione dell’Italia, per raggiungere tale obiettivo, basti pensare che lo scenario di emissione “tendenziale” di gas serra al 2010 prevede, per il nostro paese, livelli di emissione pari a
579,718 Mil.ton. CO2 equivalenti.
Il tetto massimo potrà essere rispettato solo ricorrendo ad ulteriori
interventi19 di diminuzione di emissioni inquinanti per la metà, almeno, del divario tra quantità effettive liberate in atmosfera e limiti imposti dall’accordo internazionale. Il resto lo dovremo spendere acquistando “certificati di emissione” da chi sarà ben felice di venderceli, e i maggiori costi di produzione elettrica finiranno nelle bollette degli utenti.
Al di là delle aride cifre e concetti specialistici di una esposizione tecnico-giuridica, la “filosofia” alla base del Protocollo di Kyoto sembra richiedere un profondo mutamento del nostro stile di vita, all’insegna della “sobrietà”, di un approccio “culturale” verso una tendenziale e graduale diminuzione dei consumi e dell’uso del mezzo di trasporto privato, nella consapevolezza che qualsiasi prodotto ha, insito in se, consumo di energia e produzione di inquinamento.
Questo farà bene all’aria e renderà anche più agevole il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto, che, tuttavia, rimane solo un primo passo nel contrasto ai cambiamenti climatici, dato che i modelli elaborati richiedono, entro la metà di questo secolo, una riduzione delle emissioni, dannose per il clima, del 60% almeno.

Alberto Monari

“Se ciascuno spazzasse davanti alla propria porta,
tutta la città sarebbe pulita”
Proverbio Cinese




1
Sono stati apprezzati i contributi giornalistici di Alessandro Farrugia ed Elena Comelli (Quotidiano Nazionale, febbraio 2005), i dati tecnici sono stati tratti dal sito del Governo italiano (www.governo.it), e dal sito del Ministero dell’ambiente italiano (www.minambiente.it). Le informazioni giuridiche sono tratte dal sito istituzionale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (www.un.org).

2
Consesso di rappresentanti degli Stati, convocati ufficialmente, per scopi di cooperazione internazionale. Nel caso specifico la Conferenza delle Parti rappresenta il Principale organo della Convenzione per i Cambiamenti Climatici, con il compito di verificare la realizzazione della stessa e degli strumenti giuridici adottati, e di prendere, nell’ambito del suo mandato, le decisioni necessarie per promuovere l’effettivo raggiungimento degli obiettivi posti. Le sessioni ordinarie della COP si tengono periodicamente ogni anno, se non diversamente deciso. Sessioni straordinarie possono tenersi in ogni altro momento, quando considerato necessario dalla stessa COP o in base a richiesta di una delle Parti, in determinate condizioni.

3
United Nation Framework Convention on Climate Change” (UNFCCC), approvata a New York il 9 maggio 1992, con l’obiettivo di stabilizzare a livello planetario la concentrazione di gas ad effetto serra, ritenuti come le principali sostanze in grado di alterare il clima globale. Il Protocollo di Kyoto, firmato l’11 dicembre 1997, rappresenta, appunto, lo strumento attuativo della Convenzione.

4
Gli Stati sovrani partecipanti ad una Conferenza Internazionale, anche quando si tratta di semplici raccomandazioni e non di decisioni vincolanti come in questo caso, non amano sottostare alle altrui deliberazioni, ecco perché si tende sempre a cercare l’unanimità. Si è diffusa, quindi, la pratica del consensus, che consiste nell’approvare una risoluzione senza una votazione formale, di solito con una dichiarazione (concertata) del presidente dell’organo, che attesta l’accordo tra i membri.

5
Documento internazionale tendente a regolare una questione specifica tra due o più Stati ovvero avente la finalità di dettare norme integrative di quelle contenute in un Trattato principale.

6
L’effetto serra è un fenomeno naturale che permette il riscaldamento dell’atmosfera terrestre fino ad una temperatura adatta alla vita. Senza l’effetto serra naturale, sarebbe impossibile vivere sulla Terra, poiché la temperatura media sarebbe di circa -18 gradi Celsius. L’effetto serra è possibile per la presenza in atmosfera di alcuni gas detti gas serra. Negli scorsi decenni le attività dell’uomo, in particolare la combustione di vettori energetici fossili e il disboscamento delle foreste tropicali, hanno provocato un aumento sempre più rapido della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera alterando l’equilibrio energetico della terra. Come conseguenza si è avuto un anomalo aumento della temperatura atmosferica. I modelli climatici prevedono entro il 2100 un aumento della temperatura media globale compreso tra 1,4 e 5,8 gradi Celsius. L’aumento della temperatura atmosferica media costituirebbe la causa principale dei cambiamenti climatici.

7
La riduzione complessiva del 5,2 % non è uguale per tutti i paesi. Per i membri dell’Unione Europea, nel loro insieme, la riduzione dovrà essere pari all’8 %, per gli USA al 7 %, per il Giappone al 6 %.

8
I Trattati vincolano soltanto quegli Stati che li hanno “ratificati” (cioè hanno confermato la propria volontà di aderire, attraverso particolari procedure giuridiche, solitamente disciplinate dalle Costituzioni), secondo il principio pacta tertiis neque nocent neque prosunt (i patti non danneggiano né favoriscono i terzi). Non è sufficiente, infatti, la sola firma del Trattato al momento della conclusione dello stesso.

9
Gli Stati Uniti d’America, il principale emettitore di gas serra con una quota del 36,1% sul totale, non hanno ancora ratificato. L’annuncio del marzo 2001 della loro intenzione di non ratificare è rilevante da un punto di vista politico, ma non è stato sufficiente per impedire l’entrata in vigore del Protocollo.

10
Il Protocollo non è stato ratificato dalla Cina e nemmeno firmato dall’India, due Paesi tra i più popolati del pianeta e destinati a produrre quantità sempre maggiori di sostanze inquinanti. In ogni caso, questi due Paesi in particolare, essendo considerati come “in via di sviluppo” non sono ricompresi tra quelli sottoposti a limiti di emissione. Questo aspetto, secondo molti, potrebbe vanificare i benefici derivanti da una (teorica) realizzazione completa degli obiettivi del Protocollo.

11
Corrispondente ad almeno 55 Stati che abbiano emesso nel loro insieme almeno il 55% della quantità totale di biossido di carbonio nel 1990. La ratifica decisiva è stata quella, nell’autunno 2004, della Duma, il Parlamento russo.

12
Il paniere di gas serra considerato nel Protocollo include sei gas: l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il protossido di azoto (N20), gli idrofluorocarburi (HFC), i perfluorocarburi (PFC), l’esafloruro di zolfo (Sf6).

13
Legge 1 giugno 2002, n. 120: “Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’ 11 dicembre 1997”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 142 del 19 giugno 2002 (suppl. ord.)

14
Approvato con la delibera CIPE del 19 dicembre 2002.

15
La Joint Implementation (JI-adempimento congiunto degli impegni) è uno dei meccanismi flessibili che permette alle imprese dei paesi (con vincoli di emissione) di realizzare progetti di riduzione delle emissioni in altri paesi con vincoli di emissione. I progetti JI sono “operazioni a somma zero” in quanto le emissioni totali permesse nei due paesi rimangono le stesse. Lo scopo della JI è di ridurre il costo complessivo d’adempimento degli obblighi di Kyoto permettendo l’abbattimento delle emissioni lì dove è economicamente più conveniente. Le emissioni, evitate dalla realizzazione dei progetti, generano crediti di emissioni (o ERUs-Emissions Reduction Units) che possono essere utilizzati per l’osservanza degli impegni di riduzione assegnati. Poiché la JI coinvolge paesi che hanno dei limiti alle emissioni, i crediti generati dai progetti sono sottratti dall’ammontare di permessi di emissione inizialmente assegnati al paese ospite. Il funzionamento di un progetto JI è, quindi, semplice:
1.
Un’azienda privata od un soggetto pubblico realizza un progetto in un altro paese mirato alla limitazione delle emissioni di gas serra.
2.
La differenza fra la quantità di gas serra emessa con la realizzazione del progetto e quella che sarebbe stata emessa senza la realizzazione del progetto (cosiddetto scenario di riferimento o baseline per il calcolo delle riduzioni di emissioni) è considerata un’emissione evitata e viene accreditata sotto forma di ERUs.
3.
I crediti ERUs possono poi essere venduti sul mercato o accumulati.

16
Il Clean Development Mechanism (CDM-meccanismo per uno sviluppo “pulito”) permette alle imprese dei paesi industrializzati, con vincoli di emissione, di realizzare progetti di riduzione delle emissioni nei paesi in via di sviluppo senza vincoli di emissione. Lo scopo di questo meccanismo è duplice; da una parte permette ai PVS di disporre di tecnologie più pulite ed orientarsi sulla via dello sviluppo sostenibile; dall’altra permette l’abbattimento delle emissioni lì dove è economicamente più conveniente e quindi la riduzione del costo complessivo d’adempimento degli obblighi derivanti dal Protocollo. Le emissioni evitate dalla realizzazione dei progetti generano crediti di emissioni o CERs (Certified Emission Reductions) che potranno essere utilizzati per l’osservanza degli impegni di riduzione assegnati.

17
La riduzione obbligatoria era fissata al 12,2%.

18
Questo scenario è stato calcolato tenendo conto solo della legislazione vigente, ossia delle misure politiche già avviate e decise; dunque, rispetto all’obiettivo di Kyoto, si avrebbe un divario effettivo, al 2010, di circa 93 Mil.ton. CO2 eq.

19
Investimenti straordinari sui mezzi di trasporto pubblico e privato, per la trasformazione delle caldaie per il riscaldamento domestico, riorganizzazione della distribuzione delle merci, realizzazione di cicli produttivi combinati termoelettrico-gas nella produzione di elettricità, aumento quota delle fonti rinnovabili per le produzioni industriali, ecc.

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