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Torino Film Festival 2004

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Torino Film Festival 2004

Cosa esce dal Torino Film Festival di quest’anno?
Da parte mia un giudizio incerto basato su una qualche sensazione di contraddittorietà.
D’altro canto l’eccezionalità del livello degli ultimi tre anni può giustificare un’annata leggermente inferiore, forse proprio quando a Venezia si registra l’edizione migliore degli ultimi anni. Sembra che i due Festival facciano fatica ad andare a braccetto, proprio per la loro diversità strutturale e di programmazione. Ma occorre una spiegazione più approfondita dell’opinione da me espressa all’inizio. Innanzi tutto quest’anno si è tornato in centro dopo la parentesi al Lingotto delle ultime due edizioni: cornice splendida (nonostante diversi cantieri aperti per le Olimpiadi Invernali 2006), la struttura del festival recupera le sale storiche cittadine e la Mole Antonelliana con il proprio museo del cinema, diventa il fulcro dell’intero sistema. Vantaggi e svantaggi conseguenti alla scelta intrapresa: più comodità per le esigenze logistiche dei fruitori di questo evento, a scapito però della partecipazione alla manifestazione. La frammentazione delle sale e delle proiezioni portano ad un rapporto meno solido rispetto all’intimo (intimo se rapportato all’avvenimento) spazio di una Multisala. Qui non siamo a Venezia, dove il Lido vive intorno al Festival per l’intero periodo, ed il cinema è il vero protagonista. Qui in centro a Torino c’è una città che si muove tutto intorno e non sa nemmeno cos’è il Torino Film Festival.
La programmazione di Torino è sempre risultata vincente per la capacità di coniugare un cinema "alto", con retrospettive sui grandi autori internazionali, ed europeo (la vicinanza della Francia ha sempre esercitato una benefica "influenza" su questo festival) e le nuove tendenze uscite dalla vivacità delle cinematografie orientali o dal cinema americano underground del Sundance Film Festival, esplorando con curiosità i nuovi mezzi di espressione cinematografica, anticipando ad esempio il successo di una cinematografia documentaristica che ha visto proprio quest’anno a Cannes la sua consacrazione con "Fahrenheit 9/11" di Michael Moore. Quando l’equilibrio è perfetto, per cui tutti questi ingredienti sono saggiamente dosati, il risultato è eccezionale, ma si corrono ovviamente anche più rischi. L’edizione di quest’anno non mi ha dato la sensazione di avere dosato tutte queste componenti. È mancata una certa cinematografia orientale (forse Venezia ha influito), fra i vari omaggi ai Maestri del Cinema,
Luciano Emmer e John Landis1 hanno fagocitato più di metà programmazione, con la contraddizione ad esempio per quest’ultimo, di avere pellicole già ampiamente esplorate dalle normali programmazioni cinematografiche e televisive, trovandoci ad affrontare, per la quasi totalità, film già ampiamente visionati. Il primo giorno del Torino Film Festival 2004 è stato programmato quel capolavoro assoluto che è "Animal House", passato però in televisione due giorni prima, così come la versione di "The Blues Brothers" non è stata quella più ampia annunciata precedentemente, ma la stessa vista in questi anni in televisione o al cinema.
La cinematografia documentaristica, fiore all’occhiello di questo festival, e che proprio quest’anno ha trovato una sua consacrazione nei circuiti cinematografici (voglio ricordare anche l’iniziativa della Fice nel circuito delle sale d’essai dell’Emilia Romagna proprio in questo periodo, "Stronger Than Real – Il documentario americano contemporaneo", che ha visto numerose pellicole passare proprio dal Festival di Torino), ha lasciato il posto ad un cinema di fiction, girato "a mano" con mezzi digitali, che a mio parere non raggiunge l’obiettivo, tranne rarissime eccezioni, delle tecniche cinematografiche tradizionali, mezzo che invece si adegua bene ad un discorso su temi documentaristici. Esempio significativo, il nuovo film girato da Altman e presentato qui a Torino in formato DigiBeta, che nonostante la bontà della pellicola, perde in efficacia proprio a causa delle motivazioni elencate precedentemente. Ovviamente questo giudizio è legato alle sensazioni generali e dalle suggestioni suggeritemi solo dal primo weekend festivaliero, magari quest’anno particolarmente sfortunato, e quindi può essere condizionato dalle visioni parziali che ho avuto, anche se i giudizi positivi degli anni precedenti si riferiscono comunque allo stesso periodo. Inoltre fra gli unici due film in concorso che sono riuscito a visionare, è risultato essere poi il vincitore "
Los Muertos", del giovane regista argentino Lisandro Alonso, non particolarmente originale, visto le analogie con "Il Ritorno", il bel film russo vincitore due anni fa a Venezia, anche se ambientato in un contesto assolutamente differente.
Al di là dei giudizi, Torino conferma la tendenza della nuova cinematografia americana nell’analizzare la politica dopo i fatti dell’undici settembre. Sempre più pellicole indagano la conseguenze disastrose della politica di Gorge Bush e dei falchi di Washington, sia a livello internazionale sia interno dell’america stessa, non risparmiando giudizi feroci anche ai suoi avversari democratici od ai mezzi di informazione imbavagliati dagli interessi economici di cui beneficiano dall’amministrazione in carica. C’è molta voglia di cambiamento, anche se il cinema viene apparentemente contraddetto dalla realtà che sembra non coglierne i segnali, generando un’inquietudine appartenente anche a noi, visto i preoccupanti paralleli fra la politica americana e quella di casa nostra. Non è un caso che l’apertura del Festival di quest’anno è stata sottolineata dalla civile e giusta protesta degli studenti universitari contro la Legge Moratti, dissenso che ha accomunato anche l’organizzazione del festival.
Comunque già l’esistenza del Torino Film Festival da tanti anni è assolutamente positiva (siamo arrivati alla 22a edizione), e mi preme sottolineare, per una volta, la positiva collaborazione con Rai Tre (credo però esclusivamente grazie a Grezzi, curatore qui a Torino della retrospettiva su Luciano Emmer), che nella settimana del Festival ne ha rappresentato una positiva appendice.


Andrea Leonardi

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Sono nello sfondo.

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