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Il deserto di metallo

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Il deserto di metallo

"Deserto rosso" è il film che segna il punto di rottura della vasta produzione di Michelangelo Antonioni, a detta dei critici. Sicuramente "Deserto rosso" lascia una sensazione di incompiuto, di qualcosa che non affonda il colpo, lasciando lo spettatore al punto di partenza.
Sceneggiato dallo stesso Antonioni insieme con Tonino Guerra, il film parla di Giuliana (Monica Vitti), moglie di un dirigente del polo petrolchimico di Ravenna. Giuliana è completamente sfasata con la realtà che la circonda e scopriremo essere stata vittima di un recente incidente automobilistico senza conseguenze fisiche che l’ha però costretta ad un periodo in clinica per il forte shock. Le ciminiere, le sfiammate, gli impianti degli stabilimenti fanno da contrasto col suo comportamento, distaccato dalla realtà, in continuo disagio con tutto e tutti. Giuliana passeggia indifferente col figlio davanti agli scioperanti, chiede poi
improvvisamente un panino ad uno sconosciuto per andarlo a mangiare lontano da tutti. Il marito le presenta un uomo d’affari, Corrado (Richard Harris) che ha fin da subito un occhio particolare per lei. "Deserto rosso" prosegue poi con una serie di istantanee volte a descrivere per immagini quello che c’è (o che non c’è) nella mente di Giuliana. Una strada spopolata di Ravenna che porta ad un’improbabile negozio altrettanto vuoto che Giuliana intende aprire, ancora senza sapere che cosa venderà. La fredda e rumorosa fabbrica che insieme rappresenta il nuovo per la città ma i cui impianti vecchi sono già ammassati ad arrugginire nei campi. La baracca sul molo circondata dalla nebbia. La modernissima casa in cui vive Giuliana dall’aspetto asettico ed impersonale. Giuliana non riesce a trovare pace. Il marito è regolare, inquadrato in una società che a lei probabilmente non è mai appartenuta.
Il sesso di gruppo nella baracca sul molo è ormai venuto a noia e dalla baracca la visione di una nave arrivata come un fantasma è il pretesto per fuggire da lì. Nemmeno Corrado sembra avere un effetto positivo su Giuliana. Lui, sempre in giro per l’Italia e per il mondo, sembra essere per lei il modello di un’altra vita, un posto dove si possa essere più felici che qui. Ma anche il viaggiare di Corrado ha delle regole, dei compromessi; gli operai che vorrebbe ingaggiare per la Patagonia chiedono garanzie, chiedono la televisione, vogliono la moglie accanto. Nessuno, nemmeno Giuliana, riesce a fuggire lasciandosi tutto alle spalle e l’inutile sfogo con un marinaio di una nave turca ne è la prova. Giuliana non riesce a trovare qualcosa o qualcuno da amare, come le avevano suggerito in clinica. Giuliana è felice da sola, come la ragazzina della storia che racconta al figlio, quello stesso figlio che simula una malattia per farsi notare, persino dalla madre. L’adulterio sofferto con Corrado non ha l’esito sperato. L’effetto è deludente, consumato in una camera d’albergo non cancella le sue angosce che si ripresentano immediatamente. Antonioni sembra non riuscire a scegliere se concentrarsi su Giuliana e sui sentimenti oppure sulla riflessione socio-ambientale, come le ripetute sequenze sui rottami e sugli scarichi industriali sembrano dimostrare. Su tutto il film aleggia l’aura dell’"incomunicabilità", un tema che Antonioni rievoca sempre più frequentemente, anche nel recente "Al di là delle nuvole". Ma non sembra sufficiente. Non riusciamo a penetrare in Giuliana così come non riusciamo a penetrare nell’ambiente che la circonda. Corrado, una sorta di eroe romantico a questo punto, non svolge il suo ruolo fino in fondo e pare essere uno spettatore magari attivo ma non protagonista. Il vuoto che circonda Giuliana è abilmente fatto con le ambientazioni e le inquadrature, poco dalla storia e dai dialoghi, come meriterebbe. Con "Deserto rosso" Antonioni sperimenta il colore come in quel periodo tutti i più grandi registi stavano facendo. Il risultato è un acquerello continuo di sfumature sbiadite, tenui ed annebbiate, perfetti per il soggetto. "Deserto rosso" vinse comunque il Leone d’Oro a Venezia nel 1968, ma da lì a poco sarebbe arrivato "Blow up"…

Michele Benatti

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