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A. Malatesta (1806-1891)

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A. Malatesta (1806-1891)

Malatesta guarda ai pittori antichi e delinea soggetti storici, sulla scia di domenico morelli, nel Ezzelino, che non trova l’apprezzamento critico di Adolfo Venturi. L’accademia della prima fase, è imbevura di neo-classicismo e romanticismo assumendo il verismo, nel genere paesistico che spiazza la figura, anche per il ruolo svolto dalla fotografia, con un aggiornamento del soggetto storico a luce aperta di sole, archeologicametne e drammaticamente astratta (Asioli); in questa falsariga si pone "Mobiolo che ridona la vista al padre" del 1843, che valse al Malatesta l’ammirazione del Selvatico per la resa della luce vespertina all’aperto, in occasione della mostra a Brera in uno studio pittorico culminato nella crocefissione per S.Giuseppe a Bologna in cui ha guardato a Guido Reni. Le applicazioni della forografia alla scomposizione delle forme in movimento di Marey, Muybrioge e del fissaggio su carta, da parte di Falbot, superando il problema della lastra unica del dagherrotipo, aprendo una concorrenzialità con il ritratto pittorico. Selvatico asserisce come l’artista sarebbe agevolato dalla fotografia, senza ricorrere alla minuzia dei dettagli e all’istantaneità. Anche per i soggetti storici e sacri, Malatesta difendeva la libertà interpretativa degli artisti, di attingere agli esempi della pittura sacra dell’XIV e XV sec, trovando l’appoggio del Selvatico, sulla scia del dibattimento di roma intorno alla problematica nazarena, in nome del purismo quattrocentesco.
Anche per la pittura religiosa, Malatesta optava per un’interpretazione laica relativa alla famiglia e agli affetti domestici e in filigrana si individua l’autorevole parere del Selvatico. Intanto, il Malatesta aveva varato la società di incoraggiamento "(1845) per giovani artisti, inserendo nel corso didattico il metodo del Selvatico, a cogliere il fuggevole istante e sulla memoria del modello.
L’artista aveva alle spalle un curriculum, scandito da soggiorni di studio a Firenze, Roma e Venezia, in cui potè allargare i propri orizzonti culturali a contatto con esponenti significativi dell’arte europea. A Venezia aveva incontrato Pietro Selvatico.
A Roma era stato in contatto con lo scultore Obici e con i pittori Alfonso Chierici e Giovanni Fontanesi. Intanto, cominciavano a fioccare ordinazioni religiose, di ritratti, come il Brigante delle Romagne (ora al Belvedere di Vienna), la Samaritana al pozzo e Dante che nel purgatorio incontra Sapia. Unico dipinto storico, è Alfonso che veste l’abito dei frati minori.
Nel ’35 assume la carica di direttore dell’accademia Atestina, mentre ammirava la purezza neo-classica di Ingres che dal ’34 al ’41 avrebbe diretto la romana accademia di Francia, mentre il verbo nazareno era applicato all’Overbeck al "trionfo della religione delle arti", influenzando Minardi, Tenerani, e artisti dela cerchia atestina.
A Roma Karl Pavlovic, Brjulov aveva allestito una gigantesca tela "ultimo giorno di Pompei", di verismo romantico, esposta a Brera nel ’34, ispirato al "Bello Ideale" (Gogol). Un altro russo operante a Roma, A. Andrevic Ivanov, aveva eseguito "apparizione del messia al popolo", un’enorme tela rimasta incompiuta, nonostante la gran mole di bozzetti, schizzi preliminari, che sembrano aver influenzato il malatestiano "gesù che benedice i fanciulli", preludio alla crocefissione del 1850. Il russo aveva messo a punto una ricerca della verità storica e fenomenica, in cui ogni personaggio emerge per le caratteristiche fisionomiche e l’atteggiamento, indagato in analisi diacronica e sincronica.
Egli aveva effettuato uno studio dei dintorni romani, raffigurando ogni particolare, accidente naturale, fino alla trasparenza dell’acqua, esaltata da riflessi di luce con un sistema, che il selvatico esaltava come applicazione del "Bello morale".
Dal ’41 malatesta eseguiva soggetti storici: la disfatta di Ezelino, che presenta affinità con Federico Barbarossa cacciato da Sandria di Arienti ma l’intento di favorireuna committenza di Carlo Alberto Favilla, mantre il dipinto religioso Madonna in trono, era criticato dal Selvatico, per guardare scopertamente a modelli quattrocenteschi anche se "Mobiolo che ridona la vista al padre" esposto a Brera, per la novità stilistica esemplificativa, rispetto al rigore purista, gli vale un consenso critico entusiastico, impaginando la scena all’aperto, in un accurato studio degli effetti della luce sul colore, che gli vale l’apprezzamento di Giovanni Gualandi, mantre il Selvatico lo dichiara "il pittore della luce".
Altri temi biblici "Ripudio di Agar" di Oberdeck e "Incontro di Giacobbe e Fasu" di Mayez confrontati con il Tobia, depongono a favore della tela malatestiana, per la stilizzazione. Nel verismo dell’ambientazione naturalistica, con affinità evidente con le opere di Morelli, Altamura, Celentano per "soggetti storici a luce aperta di sole", in cui s’innestino gli sperimentalismi di Signorini, Banti e Cabianca nel ’58 addetti a tradurre in macchia gli effetti chiaroscurali, a La Spezia, approdo dell’impressionismo Italiano.
Malatesta non era pittore d’avanguardia, anzi, come accademico, era aperto a diverse istanze e generi pittorici, secondo l’occasione e il gusto dei committenti. Anche nel genere religioso, Malatesta ha introdotto innovazioni, come la crocefissione del ’50.
Più innovativi, i soggetti biblici, consoni alla società di incoraggiamento o opere morali, come Vecchia che fila, Serva reietta; Invalido della grande armata; Fiamminghe vecchia indovina; Fruttaiola e Festa di vecchia, in cui le forme son sefinite attraverso il colore.
Ma, soprattutto, nel nostro è nota la ritrattistica dai più precoci ritratti di Vicini e di Bernardino Grossi (1827). Per il Vicini, l’iconografia è quella dell’intellettuale romantico alla Ugo Foscolo.
Di stampo neo-classico l’algida dama a matita e acquerello.
Uno studio elaborato è la famiglia malatesta (1828 – 36) affollata di figure (con ben 10 figli ritratti, mentre l’undicesimo è il pittore). Le forme risentono di un purismo ingrista, mentre la luce esalta le vesti femminili, in sintonia con l’opera affine del Lipparini, di E.Grigoletti, mentre un gusto Biedermeyer si estende al territorio estense. Antecedenti a questa vena disegnativa, Fantaguzzi e Palagi.
A partire dal 1852, si apre una nuova vena della ritrattistica malatestiana, con il disegno raffigurante l’effige della contessa Boschetti, dissimulate dal diaframma del Fichu, in cui si avverte un inedita fragranza romantica, abbandonando remore neo-classiche. E’della stessa temperie il ritratto di Giuditta Pasta dello Hayez. Si respira la stessa atmosfera nei ritratti di personaggi teatrali, Carolina Ungher, derivato dal modello, e eseguito per i marchesi Prandini e lo schizzo di Maria Malibran eseguito quando aveva solo quindici anni. La formula del ritratto "istoriato" si attaglia alle rappresentazioni ufficiali dei duchi estensi, con diversi saggi di grande efficacia rappresentativa: Francesco Baffelli; Tommaso Rinaldi; Luigi Caterinetti Franco (1839). Il miniaturista Grahl (1835). Subiva l’influsso di ritrattisti europei, come Ingres, Brjulov e Ignazio Fumagalli dove l’immediatezza rasenta la sprezzatuta. Aveva anche guardato a Tintoretto, Morone, Rembrandt, Tiziano, Van Dick. Ma, il ritratto di Melchiorre G.Giovannini non s’è trovata traccia, che aveva suscitato consensi non solo fra gli artisti, ma dello stesso Venturi. Malatesta risale alla pittura fiamminga, da cui i ritratti emergono da fondi in penombra, mentre una lama di luce rischiara i volti in un "luminismo" fiammingo, una tecnica che rammentava rembrandt.
Ma un frate con crocefisso, interpreta stileni controriformistici.
Risente anche di stilizzazioni della maniera toscana di Bronzino e allori, avvertibile nella marchesa seghizzi coccapani; ma certi raffinati studi di Hayez, come il ritratto di Cristina Belgioioso Trivulzio lasciano traccia neo-manierista, favorendo un revival di modelli museali, come la pala e la famiglia Bentivoglio; traduce anche il sentimento romantico della storia.
Dell’eclettismo dell’artista, fan fede i ritratti femminili, ispirati a Ingres: la marchesa Trivulzio Carandini, Clementina Revere Bruni, la marchesa, seduta in poltrona, che attrae il figlioletto, come l’analogo soggetto di Giuseppina Cavezzani del Podesti e il ritratto della Granduchessa di Toscana del Bezzuoli.
Nell’ambito Biedermeyer il ritratto della contessa Boschetti protagonista della corte austro-estense, assisa in poltrona rossa, accanto a uno scrittoio allusivo agli eruditi rapporti epistolari dell’aristocratica. La raffinatezza dei particolari è affine al ritratto di Georg Waldmuller: Elisabetta Waldmuller, in cui i dettagli rendono con acribia soffici velluti e la lucentezza dei rasi, influenzano il ritratto di Francesco Molza, ministro di Francesco IV (1845); l’avv. Luigi tardini.
L’intimismo Biedermeyer si effonde nello scebario paesistico del doppio ritratto dell’avv. N.Spinelli e della consorte Eloisa Bellincini Bagnesi, in una "scena di conversazione" alla Reynolds, che si evolve nei Family Garden Groups, nella famiglia Fossati Paris di Grigoletti, in Domenico Pellegrini, Giuseppe Bezzuoli il Conte de Chambray di Digny con il figlio Guglielmo (1827) e la famiglia Antinori, per l’influsso della cultura inglese sull’ambiente fiorentino. Si avverte una risonanza evocativa nel Marchese Landi bambino (1869).
Traduce paesaggi in una cornice romantico-evocativa, come il Marchese Landi bambino, di cui rimane solo una foto e la famiglia Guastalla di stampo borghese.
Intanto, elabora uno schema di ritratto "ambientato" desunto da modelli diffusi a corte tra ‘500 e ‘600, da "parata" ma assume atmosfera evocativa in M.Teresa d’austria Este, di taglio Troubadour. Oppure, son temi narrativi, come il vescovo Reggianini (1849), attorniato da un viluppo scenografico di tende e arredi, desunti da Mengs e Caricchia (Quadreria Collegio S.Carlo).
I ritratti esprimono un codice di gesti, simboli e raffigurazioni allusive mentre le effigi ducali austro-estensi, gli elementi illustrativi, sono filtrati da un garbo e da un’economia compositiva di supellettili, arredi, sfondi con richiami alle "statue" e alla biografia dei personaggi. La stringatezza della figurazione, con la sobrietà dell’abbigliamento, trattenuto da Fichu Nero della signora Gilly (1861) rivela l’austerità protestante della famiglia Engadinese.
La ritrattistica degli anni ’50 rivela l’influsso della tecnica fotografica in Pietro e Maria Boncaini, in cui lo sperimentalismo tecnico, insieme all’amico Filippo Bentivoglio, dando vita a una tela, preparata con procedimento fotografico, "… per condurre poscia ad olio sovr’esse… gli oggetti impressivi, per virtù di luce" (Carlo Malmusi). La foto gli serviva solo per "surrogato della copia dal vero", come aveva messo a punto con ritratti del col. Ignazio Forghieri (Museo del Risorgimento). Lo stesso procedimento riguarda la stampa ad albumina del Porta con l’autoritratto dell’artista (1860 Museo Civico).
Curioso particolare del ritratto di Elena Pucci Cattelani, è la foto del marito. Mostrano lo stesso procedimento di ausilio fotografico Michele Mori e mons. S.Roncati (1876) e la Marchesa Costanza Montecuccoli.
Dai primi anni ’60, s’indivisua un’accostamento malatestiano al "verismo" di Domenico Morelli, con apporti di esperienze toscane, come si evince da N.D. Diamante Ferari ’62, che aveva sposato il fratello Massimiliano; la figura è sbalzata su una gradinata, sullo sfondo di un giardino di una villa, en plain air, in atmosfera d’intonazione naturalistica sottilmente evocativa. Mentre la rocca di Montecuccolo del frignano, origine dei nobili Ferrari, si staglia nella luce del crepuscolo.
Nel ritratto del cavalier I.Guastalla, si avverte un melange tra pittura e il medium fotografico, che provoca la frammentazione delle figure, desunte da A.Siseri, autore della famiglia Bianchini.
Un genere di pittura naturalistica, in cui si ha la fusione tra modello architettonico di villa mediata dall’ascendente fotografico, unito alla reminescenza del ritratto francese, in cui rientrano anche le esperienze di Antonio Puccinelli, docente dal ’61 a Bologna e di cui il Malatesta, può aver esaminato il suo "Carlo Alberto a Oporto" e la Contessa Carolina Ghiraldi Araldi, in cui si avverte un senso di introspezione psicologica; che è approfondito dalla Marchesa Albergati (Bologna, Pinacoteca Nazionale).
Rivela l’incessante sperimentalismo malatestiano, in una doppia dimensione diacronica e sincronica, attinta dal repertorio iconografico del passato, con l’innesto della sensibilità romantica, come nei ritratti di Ciro Menotti, del Conte Hambord, delle nobildonne Trivulzio Carandini, Teresa Bertolini Cataldi Boschetti, con un rigore documentario sulla verità storica che ne fa sensibile interprete del suo tempo.
La sezione della mostra, allestita a Reggio E., nel convento di S.Domenico, riguarda i rapporti fra Malatesta e l’arte sacra e ambientato nell’arte del suo tempo. Quindi figurano in mostra non solo opere del Malatesta, ma anche di artisti reggiani. La pittura devozionale riguarda istruzione e assistenza. Ne fanno fede, il Beto L.Galantini di Bernardino Rossi e S.Camillo De Lellis. Nell’ambito dell’istruzione femminile, si situano le opere di Alfonso Chierici, "Sacro cuore di Maria" e la "educazine della vergine".
Malatesta dichiara a Paolo AbbatiMarescotti la libertà interpretativa, che si collocava nella vexata questio dei rapporti tra arte e religione… "Il problema non era tanto le verosimiglianze, quanto la possibilità che il pittore derogli da modelli iconografici fissati da modelli antichi e la facoltà di scegliere la "verità storica". Il Malatesta punta sulla libertà dell’artista, di rappresentare qualunque soggetto, rifiutando di accogliere qualunque istanza, purchè antica, rifiutando di vestire panni teologici, ma altresì di umanizzare soggetti sacri, destinati a gabinetti e gallerie, sulla scorta di Domenico Morelli, anche se S.Celestino Papà "che consegna a S.Cirillo il decreto contro Nestorio" è opera d’impaginazione storica più che religiosa in senso stretto.

Giuliana Galli

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