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Anno domini 1112

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Anno Domini 1112

E’ il primo segno che incontriamo lungo il nostro cammino.
Mentre Bernardo ricopre la fossa che lui stesso ha scavato, io sono come impietrito e me ne sto in silenzio a guardare i suoi gesti lenti ma sicuri, incapace di muovere anche solo un muscolo.
Non è la prima volta che vedo un morto in quest’anno del signore 1112, purtroppo non ho visti tanti.
Una pestilenza unita alla fame ha decimato il villaggio. Della mia famiglia è rimasto solo mio fratello è sempre stato il più forte e robusto. Mia madre morì di parto quanto nacqui io, risparmiando così alla vista questo sfacelo. Sono cresciuto fra uomini. Mio nonno è stato il primo ad andarsene, lo trovammo una mattina nel suo letto, ormai sfigurato dalla malattia che piano piano ha portato via quasi tutti.
Trovai mio padre nel campo la sera, probabilmente steso lì dal mattino quando, caparbiamente, nonostante i sintomi della morte, volle uscire ugualmente per cercare qualcosa che ci sfamasse. Non vedendolo rientrare andrai a cercarlo trovando il suo corpo già devastato dagli animali, non sono insetti, vermi e formiche, ma anche cani selvatici. La fame in questi tempi non risparmia nessuno.
I cadaveri vengono bruciati per scongiurare ulteriori contagi, insieme ai vestiti e ai pagliericci e quando nessuno più rimasto di una famiglia, si brucia anche capanna con ciò che rimane. Quasi ogni giorno dai campi si vedono colonne di fumo provenire dal villaggio, allora più vecchi si fermano un attimo e togliendosi il cappello recitano una prece.
Era una monaca, forse arrivato fino al bosco in cerca di cibo, anche se l’abbazia è distante almeno un giorno a piedi e tutti la si pensava disabitata da tempo. Non riesco a staccare gli occhi da quel suo viso sereno, con un sorriso accennato sulle labbra che mette inquietudine. Il suo corpo è intatto: nessun essere vivente ha osato profanarlo forse per l’intenso profumo di fiori che emana. Sembra dormire avvolta in un sogno d’angeli, di gente ben vestita, di tavoli imbanditi. Ma è solo il brontolare della pancia che mi suggerisce questa immagine terrena e per un attimo ne provo vergogna. Dove sta lei possono esserci solo Angeli. E’ bella anche nella morte.
Bernardo le ha steso sul viso il velo che le ricopriva i capelli. Fingo di non notare il suo tirar sù di naso e la lacrima che gli riga la guancia. I suoi sono morti tutti, è rimasto solo più di un cane: anche quelli si sono uniti i branchi per essere più forti quando attaccano il villaggio. E stata sua l’idea di lasciare le nostre capanne per cercare un’altra ragione di vita.
Avanziamo a fatica, fra le zolle rese sterili dalla siccità, per raggiungere più rapidamente la strada e per unirci ad un gruppo di pellegrini di cui abbiamo sentito parlare. I nostri calzari sono ormai logori e quando è possibile li togliamo per risparmiarli. Abbiamo solo poche monete che non possiamo permetterci di spendere se non per sfamarci, ma per qualche giorno non ne avremo bisogno: abbiamo carne secca e noci nelle bisacce.
Attraversiamo ciò che rimane di un campo di grano: poche spighe sparute prese da assalto dagli uccelli. La mancanza di pioggia ha fatto seccare quasi tutto, comprese le sorgenti e i torrenti e ha inquinato le acque dei fiumi più grossi. Penso all’inferno descritto da un predicatore che mi impressionò molto. Era capitato al villaggio a chiedere l’elemosina e ad incutere terrore sull’aldilà, consigliando la via della rettitudine e della preghiera. Ma niente può essere peggiore di questa desolazione. Questo è già l’inferno. Una figura scura che non avevamo notato prima si alza da terra e ci guarda accigliata. E’ una donna d’età indefinita. Stringe nel pugno pochi chicchi di grano che unisce a quelli che tiene nel grembiule sorretto dall’altra mano. Afferra un bastone e ci viene in contro correndo e urlando di andarcene senza toccare il grano che lei ha toccato per prima. Siamo già distanti che sentiamo ancora inveire, e voltandoci vediamo che sta cercando di scacciare gli uccelli che si alzano da una parte per posarsi da un’altra.
Entriamo nel bosco sperando di riuscire ad attraversarlo prima del calare del sole, seguendo un sentiero che altri hanno tracciato. La notte scende più rapidamente del previsto nel fitto della boscaglia e ci costringe a cercare un riparo. Stendo la mia coperta ai piedi di un vecchio castagno dal tronco cavo, prendo dalla bisaccia due pezzi di carne secca e ne offro a Bernardo che nel frattempo ha acceso un fuoco per difenderci dalle bestie selvatiche. E’ rimasto in silenzio quasi tutto il giorno. Bernardo non è mai stato di molte parole ma oggi è particolarmente poco loquace. Penso che sia per la precarietà del nostro viaggio: potremmo essere assaliti in qualunque momento da animali selvatici o dai briganti che si rifugiano proprio nei boschi dove è più difficile scovarli. "Non ho paura" dice leggendomi nel pensiero e masticando carne, seduto sopra un sasso coperto di muschio "Non mi importa cosa sarà di me, sto andando verso il destino e sarà il destino a decidere". Annuisco senza replicare, anch’io non ho voglia di parlare, e so che sta rimuginando su qualcosa ma non chiedo niente: quando sarà il momento me ne parlerà lui. Si sdraia sulla vecchia coperta, mi volta le spalle e abbracciandosi si addormenta profondamente. Lo invidio. Io non riesco a prendere sonno nonostante la stanchezza. Me ne sto seduto appoggiato al castagno ad osservare le ombre che il fuoco crea contro gli alberi. Sento la paura salirmi dalle gambe pietrificate, allo stomaco contratto, agli occhi sbarrati che non riesco a chiudere neppure per un attimo. Vedo draghi enormi, vecchi dalla lunga barba, streghe dalle mani affilate, orchi, gnomi e uomini impiccati. Mi girano intorno in un girotondo pauroso, in una spirale sempre più stretta, e ad essi si uniscono suoni spettrali, ora vicini, ora lontani, ora vicinissimi. Stringo le ginocchia come in una morsa, non ho il coraggio neanche di urlare, anche se forse mi aiuterebbe, ma non voglio svegliare Bernardo, facendoci la figura del pisciasotto. Cerco di calmarmi, ripetendo che sono solo allucinazioni date dalla stanchezza e dalla fame, quando odo una voce. Un sussurro di bambina, lontano, portato dal vento mi dico. Lo percepisco chiaro anche se non distinguo le parole. Improvvisamente le ombre inquietanti svaniscono, lasciando solo immagini reali di foglie, fronde e rami secchi. Il battito del mio cuore rallenta un po’, ma riprende più veloce di prima quando torna ad udire quella voce. Ora mi sembra più vicina, mi parla alle spalle, dietro l’albero sotto cui sono seduto. Comincio a tremare.
Un vento gelido mi sfiora, passa sul fuoco, ma non lo spegne, anzo sembra giocarci, allunga le fiamme, le sposta, le fa vorticare, quasi volesse dargli forma. E di colpo una forma l’assumono: una figura femminile con una lunga veste e con lunghi capelli svolazzanti di lingue di fuoco. Non ha viso. Di nuovo sento la voce che ora proviene proprio da lei. "Galdino, Galdino" mi chiama e il suono fa come un’eco intorno. Mi volto verso Bernardo. Non si è mosso, continua beatamente a dormire.
Comincio a pensare che sia morto nel sonno, composto come sempre, come in tutte le cose che fa.
Ricaccio subito quest’idea, meglio saperlo addormentato e inutile piuttosto che pensare di essere rimasto solo. La voce continua ma non riesco a capire cosa dice, è debole, e sempre più lontana.
Distinguo ancora il mio nome mentre osservo il fuoco che riprende la sua forma naturale. Mi accorgo di avere smesso di tremare anche se sono rimasto immobile nella mia posizione rannicchiata. Senza muovere la testa scruto intorno. Penso di potermi finalmente riposare quando mi sento scuotere. "Galdino! Galdino!" Cado di lato urlando di terrore quando vedo Bernardo in piedi che mi chiama. "Svegliati! E’ l’alba, muoviamoci" Ho la vista annebbiata e devo sbattere più volte le palpebre prima di metterlo a fuoco, non riesco a stendere le gambe e la mia schiena mi duole. Ho mantenuto la stessa posizione per tutta la notte ed ora sono un blocco di pietra. Con calma mi rialzo, anche se mi costa fatica e dolore, ancora incredulo e stranito. Ho le ginocchia a pezzi. Bernardo sta ricoprendo di terra le ultime braci e caricatasi in spalla la bisaccia si avvia verso l’uscita del bosco.
Dopo poche ore raggiungiamo una radura: avevo proprio bisogno di uno spazio aperto, tiro un sospiro di sollievo. Il sole finalmente mi scalda le ossa. Bevo qualche sorso d’acqua dalla fiasca e penso alla notte trascorsa: sono indeciso se parlarne o meno con Bernardo. Faccio bene a tacere perchè durante il giorno tutto assume una propria dimensione: i sogni rimangono sogni, la realtà è la realtà. Queste voci che si odono sono realtà, questi canti che si levano al cielo, questo rumore di passi che si avvicina. Bernardo li scorge per primo: "I pellegrini! Ci sono i pellegrini" Allunga il passo per arrivare alla strada e attende che la carovana si avvicini. Sono più di quanto mi aspettassi, preceduti da un frate scalzo che sorregge un crocifisso di legno. Alternano i canti alle preghiere. Rimango per un attimo ad osservarli sfilare, quasi commosso dalla loro compostezza e dignità. Vengono da nord e devono essere parecchi giorni che camminano, ma non mostrano stanchezza. Cantano una semplice melodia con cui mi riempio il cuore, poche note ripetute su dolci parole che esaltano la magnificenza dell’Altissimo. Chiudo gli occhi e il mio udito diviene la mia vista, unico grande coro di voci diverse tra loro ma uguali nell’intento. Giovani, vecchie, roce o stonate, ciò che ne esce è comunque armonioso e infonde la pace, la tranquillità che entra dentro e diventa gioia, poesia. Vedo il Paradiso.
Bernardo salta il fosso che ci separa da loro e si unisce affiancando una giovane donna che tiene per mano un bambino. Faccio lo stesso e comincio a camminare. Sembra che non siano infastiditi dalla nostra intrusione. Un vecchio davanti a noi si volta e ci sorride continuando a pregare. Zoppica con una gamba e si sorregge con il bastone, e annuisce in segno di approvazione. La processione termina con due carri scoperti trainati da altrettanti muli. Ci sono panieri con viveri, stoviglie, indumenti avvolti in coperte e chiusi con un nodo. Sul primo carro c’è una vecchina curva su sè stessa, con le gambe a penzoloni e le mani in grembo. Lo sguardo fisso a terra come se volesse contare i sassi che passano. Alza lo sguardo un attimo e mi accorgo che in realtà è cieca: una patina bianca le vela gli occhi e la separa dal mondo visibile rendendole più sensibile l’olfatto. Sta annusando l’aria. "La pioggia!" Alza le braccia al cielo e lo ripete più forte "La pioggia!"
Gli ultimi della fila guardano in alto, non c’è una nube, neppure piccolissima, nè vicina, nè lontana, nè lampi all’orizzonte. La donna con il bambino scuote il capo e alza le spalle sospirando "Sono due settimane che camminiamo e l’acqua sta finendo, abbiamo trovato tutte le sorgenti secche, confidiamo nella Divina Provvidenza."
Quando il sole è alto e sembra volerci arrostire, il frate devia la carovana verso un boschetto a lato della strada. Alcune donne prendono i panieri e cominciano a distribuire fette di pane nero raffermo, pezzi di formaggio ormai rancido e molle per il caldo, e piccole mele verdi. Io e Bernardo offriamo la nostra carne secca e le nostre noci. Bevo l’ultimo goccio d’acqua. Gli anziano mangiano poco, si sdraiano per riposare le gambe e si assopiscono tra gli schiamazzi dei bambini che giocano a tirar sassi all’aria e a nascondersi dietro agli alberi. Una donna allatta il bambino che tiene in braccio, e strilla come un capretto fra gli stracci che lo proteggono dal sole. Finalmente si addormenta cullato dalle amorevoli braccia che lo depongono in un cesto con una coperta. Alcuni uomini stanno conversando, altri si misurano a forza senza cercare vincitori e vinti, le donne sistemano i carri e aiutano i più anziani a sedersi e ad alzarsi senza spazientirsi per le continue richieste d’aiuto. Il frate siede su un tronco caduto, sta leggendo la Bibbia e sembra estraneo alle chiacchiere e al movimento che c’è intorno. Ha l’orlo del saio lacero e impolverato, i piedi callosi e neri di sporcizia sono scalzi, un paio di sandali consumati gli penzola dal cordone che porta in cintura. La vecchia cieca è rimasta sul carro, mangia in silenzio il suo poco formaggio, per via dei denti che le mancano, continuando a fissare in basso qualcosa che solo lei può vedere pur non avendo vista.
Li osservo. Tutti, uno ad uno. Sono sereni, umili, vivono in armonia, si sorridono a vicenda, si confortano tra loro superando così il disagio del viaggio, del cibo, della sete, della stanchezza. Qualcosa di grande li tiene uniti, una fede invisibile ma solida, qualcosa che io e Bernardo scopriamo solo ora. Sento anche in lui un sentimento di calma e nello stesso tempo di inquietudine.
All’ombra degli alberi nessuno di noi si accorge che il cielo si rannuvola. Si alza il vento e nubi scure arrivano sempre più veloci fino a coprire il sole. Un tuono lontano fa sobbalzare tutti. Alcune goccie cominciano a cadere sulle foglie e divengono via via più numerose fino a diventare un forte temporale. Escono tutti allo scoperto dal bosco: i bambini a giocare, le donne a raccogliere l’acqua e gli uomini a lavarsi dalla polvere e dal sudiciume di parecchi giorni. Senza rendercene conto siamo di nuovo in cammino.
Anche sotto la pioggia i pellegrini non smettono di intonare i loro canti, anzi le loro voci si fanno più forti per superare il fragore del temporale e per far giungere al cielo il loro ringraziamento. Siamo inzuppati fino al midollo, ma dopo tanta siccità è piacevole tanta abbondanza. Sorrido guardando i bambini che avanzano con la testa chinata e la bocca aperta per bere dal cielo. La terra arida non riesce a contenere tutta l’acqua che scorre a rivoli dai campi inondando la strada e arrivando quasi al ginocchio, ma la gioia supera il disagio e il passo non è rallentato: hanno ancora tanta strada da fare, tanta determinazione di giungere alla meta.
Arriviamo a sera ad un villaggio. Non ha cessato di piovere ma l’intensità è calata da qualche ora. Io e Bernardo ci fermiamo nell’unica locanda, separandoci dagli altri che vanno a cercare riparo per la notte nel fienile di qualche contadino. Li vediamo allontanarsi tutti, mentre entriamo nel trambusto di bicchieri e piatti sbattuti tra di loro sui tavoli, di voci forti impegnate in accese discussioni o risate rese più allegre dal vino. Ci sediamo in un angolo, ad un piccolo tavolo sporco e azzoppato, e chiediamo all’oste una zuppa e una camera per la notte. Diamo un anticipo di due monete. Rimaniamo in silenzio. Ci guardiamo intorno, ognuno immerso nei suoi pensieri.
La camera è piccola e in apparenza pulita. Si sente rumore di pentole e un forte odore di cibo provenire dalla cucina sottostante, ma siamo troppo stanchi per farci caso. Abbiamo fatto preparare una tinozza in cui poterci lavare e mentre Bernardo si immerge nell’acqua fumante, io mi sdraio sulla coperta anch’essa odorante di carne cotta e di olio bruciato. Penso ad occhi aperti fissando il soffitto di legno e paglia; un topolino sta correndo lungo una trave e alcune mosche si rincorrono cercando di evitare le numerose ragnatele che affollano ogni possibile angolo. Mi accorgo di numerose zanzare che aspettano le loro vittime stando appoggiate sulle pareti. Non vedo l’ora di potermi sostituire a Bernardo.
Quando finalmente mi corico, la mia decisione è presa. Mi volto per parlare a Bernardo, e mi accorgo che è già in attesa di quello che sto per dire "Il mondo di questa gente non mi appartiene e non voglio continuare il viaggio con loro. Siamo partiti insieme ma spero mi perdonerai per la mia decisione di voler tornare indietro. Per tutto il tempo non ho pensato ad altro ed ora ne sono sicuro: non voglio voltare le spalle alla mia gente, non in questo momento difficile. Non so cosa speravo di trovare andandomene, ma penso di essere più utile al villaggio."
Bernardo non smette di guardare il soffitto neppure quando comincio a parlare "Anch’io ho preso la mia decisione. Ho preferito fuggire da un pensiero che mi tormenta da parecchio tempo, forse per verificare quanto fosse fondato, ma non si può fuggire da se stessi e adesso è tempo di seguire la strada che il cuore mi ha indicato. Voglio starmene da solo in cima ad una montagna, nutrirmi di ciò che coltivo, guardare l’alternarsi delle stagioni, attenderne i mutamenti, e gioire del fatto di non possedere nulla. Voglio sentire nascere sulle labbra parole di ringraziamento che mai ho pronunciato perchè non sapevo farlo, poi andrò in convento."
Sono allibito, ma ero pronto a tutto. Non ho mai visto Bernardo comportarsi in modo così strano. Non è mai stato molto socievole, ma non mi riesce di pensarlo in convento. Penso alla nostra infanzia, ai momenti passati insieme, ai giochi, ai litigi. Mi sembra che sia trascorso così tanto tempo.
Mi sveglia la mattina la luce che penetra dalla finestra ed il rumore di gente che si accinge al lavoro. Immerso nei miei pensieri non mi sono reso conto di essermi addormentato.
Mi affaccio e scorgo in fondo alla strada i pellegrini già in cammino, li guardo mentre si allontanano lentamente, fino a che scompaiono portandosi dietro i loro cuori lieti e la loro determinazione.
Sono triste. So che mi aspetta un’altra separazione molto più dolorosa. Non riesco ad immaginare il viaggio senza la presenza forte di Bernardo, ma lui è già in piedi pronto per ripartire. Lo seguo in silenzio giù per le scale, e sempre in silenzio usciamo dalla locanda e arriviamo alle porte del piccolo villaggio che ci ha ospitato. Ci guardiamo negli occhi per un istante che mi sembra eterno, mi abbraccia forte e tenendomi per le spalle mi rassicura "Me la caverò, non preoccuparti."
Abbasso la testa per nascondere gli occhi gonfi. "Mi mancherai" gli dico.
Mi stringe un braccio in segno di saluto e si allontana di buon passo. Continuo ad osservarlo mentre attraversa i campi diretto non so dove. All’improvviso si volta e portando la mano alla bocca mi grida "Anche tu!"

Dolly

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