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Storia di un ragazzino elementale – III

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Storia di un ragazzino elementale – III
(Solido come la pietra)

Finii a combattere in un esercito di mercenari. Avevano visto subito che
primo, ero cattivo
secondo, ero resistente
terzo, qualsiasi arma nelle mie mani diventava micidiale
e allora mi assoldarono senza nessuna esitazione da parte mia. Ho trovato la mia vocazione, mi dico sorridendo mentre mi accampo nelle tende logore e mi guardo intorno in questo gruppo di uomini ricordando quello che succedeva con i miei ex-colleghi della falegnameria, ma qui ci sono troppo cicatrici troppo sangue rappreso perché ci sia spazio per la tenerezza. Non che mi manchi, certo. Erano altri tempi e altre persone, io ero praticamente un altro. Sono molto felice di notare che non rimpiango nulla, non mi manca quel che ho fatto ma non ci trovo nulla che non va. E’ un segno di forza.
Le battaglie che noi conduciamo sono selvagge, l’organizzazione è poca. Molti di noi sono stati scartati da eserciti più seri, ma adorano picchiare ferire uccidere così ci mettono sempre quel pizzico di passione in più. Li apprezzo, sono così vivi. Le nostre non sono battaglie, sono accenni di follia mascherata da combattimento, sono macelli. Io rido e ci sto dietro pensando dentro di me che sono tutti matti. Io non provo alcun piacere nell’uccidere, semplicemente mi sembra di diventare più forte per ogni vittima che mieto. E allora non mi tiro mai indietro. Ho imparato a correre e a volte inseguo per chilometri un avversario che vuole scappare, io non lo lascio scappare, doveva pensarci prima, doveva lavorare meglio su se stesso. Più sono codardi e più mi impegno per abbatterli. Nessun vigliacco sfugge alla mia giustizia affilata.
Se poi a un certo punto nel turbine delle uccisioni mi trovo confuso rientro in me stesso alla velocità della luce come una tartaruga cosmica, mi riaccomodo nel mio guscio e accendo il riscaldamento interiore per dormire e riprendermi, quando è di nuovo giorno non c’è più nessuno intorno, solo aria fredda e qualche cadavere sparso per il campo di battaglia, seminascosto dai grossi cespugli e dalle siepi che hanno frenato l’avanzata della mia gente. Non sono triste né tantomeno disperato. E’ di nuovo giorno e io sono di nuovo libero in queste pianure sconfinate irrigate dal sangue degli uomini
e non sono per niente stanco

Così ho fatto trenta e anche trentuno, sono in quello spazio strano oltre ogni limite prestabilito dove non c’è più possibilità di arretrare, ma solo un orizzonte piatto e un avanzamento inevitabile. Una piatto pregiato di un cameriere cosmico che serve le nostre semplici esistenze come antipasto a una divinità assente e impigrita dalle comodità. Ma io gli rovinerò il pasto.
Io mi fermo in mezzo a tutto quello che vivo con la testardaggine degli antichi guerrieri che non avevano ancora imparato nulla, e ci aggiungo la CONSAPEVOLEZZA. Io nei campi di battaglia sento le voci degli antichi che mi parlano con tono ammirato, sanno che posso fare da tramite per loro nel futuro; e io gli rispondo che non moriranno mai. Possono dormire i loro tranquilli sonni eterni, sapendo che non saranno mai dimenticati.
Perché un’anima inquieta è solo un’anima che cerca di farsi ricordare.
Niente di più.

Una volta abbiamo camminato per molti giorni per raggiungere altri eserciti, e unirci in una memorabile battaglia che ha segnato la massima espressione d’odio tra due grandi città. I soldati provenivano da ogni parte del continente, parteggiando liberamente per l’una o per l’altra. Alcuni gruppi, come il nostro, seguivano la volontà di un capo temporaneo senza bisogno di saperne le esatte motivazioni: Meralba o Anumix, a noi basta combattere. Quello spirito di gruppo inespresso ci spinge a schierarci tutti dalla stessa parte, per non rischiare di fare del male a chi tante volte ci ha combattuto al fianco, e magari una o due volte ci ha salvato la vita; ma non importa quale sia questa parte.
E così ci unimmo a questo grande schieramento e ci dirigemmo verso il luogo che, famoso per il suo passato artistico, sarebbe stato poi ricordato per la grande battaglia.
Setra: il complesso dove nascevano i capolavori che portarono Biggerd molti passi avanti dentro il proprio futuro. Era una piccola comunità di geni affaccendati, serviti e riforniti dall’esterno, dediti solamente a creare ciò che meritava il plauso di ogni reggente del continente. In stanze silenziose e rinfrescate dalla libertà, uomini superiori spremevano sé stessi nella realizzazione di affreschi stupefacenti, di sculture che commuovevano, di ogni sorta di creazione artistica immaginabile, che fosse materiale, nota, colore. Essi sembravano conoscere ogni corda dell’animo umano e costruivano melodie capaci di farle vibrare con intensità indimenticabili. Tutti i paesi venivano cullati dalle magie che in questo posto venivano create, e con il massimo rispetto sostenevano di tasca propria l’esistenza di Setra. I giovani dotati di talento venivano ammessi alla comunità dopo aver mostrato le loro capacità: chi sentiva di aver spremuto dalla propria riserva ogni goccia di talento, se ne andava con la dignità che la compagnia ispirava, salvo poi discendere rovinosamente la china della vita incapaci di credere che fosse tutto perso, che il loro momento di gloria era svanito per sempre. Diventavano alcolizzati; diventavano pazzi; diventavano perversi. E nessuno di loro moriva davvero in pace.
Ma a chi moriva a Setra ancora nel pieno delle proprie abilità, erano dedicate opere sublimi dalla comunità che rimaneva in vita: e le opere create per commemorare la morte di un genio erano spesso meritevoli a propria volta di eterna memoria.
Setra sembrava rinascere continuamente su se stessa: sembrava non potesse avere fine. La magia eterna di lasciare gli uomini migliori liberi di fare ciò che meglio sapevano fare, e dedicarsi quindi alla gioia di se stessi e dell’intera umanità del continente.
Così sembrava.

Ma dopo diversi secoli di esistenza, la comunità andò estinguendosi: le generazioni elette erano finite. Gli uomini degni d’essere ammessi a Setra erano sempre meno, e quelli che già erano lì invecchiavano e morivano. Una tristezza leggera e quasi inavvertibile come rugiada scese scura sui paesi. Gli animi si indurirono a poco a poco, e i figli nacquero con meno gioia nel cuore.
E fu simbolico che proprio Kim e Janine, i quali avrebbe potuto finire a Setra se i rispettivi talenti fossero stato sufficientemente coltivati, dettero con la loro triste storia il colpo di grazia all’istituzione creativa che non sarà mai eguagliata. Da quel momento in poi, ogni paese del continente fu troppo impegnato in pensieri di guerra.
Ed è simbolico che molti secoli dopo, sull’onda di quest’odio interminabile, ancora a Setra noi torniamo per uccidere e primeggiare. Non contenti di aver estinto la comunità che riempiva di gioia Biggerd, torniamo qui per dissacrare, per distruggere ogni alito di creatività rimasto aleggiante nella polvere dei palazzi deserti.
L’uomo impazzisce al pensiero di ciò che ha perso e tenta sempre di distruggerne ogni traccia.

E nel palazzo principale di Setra si svolge la più cruenta delle battaglie a cui io abbia mai assistito, con l’odio che dona forza e resistenza inaspettate anche ai meno esperti tra i soldati. C’è il chiaro sentimento che non ci saranno né graziati né prigionieri, ma un indefinito massacro fino a che una delle due forze non sarà annullata.
Bene, sono a mio agio. Adoro piazzarmi con coraggio al vertice della passione e non lasciarmi comandare: adoro sapere che la mia tecnica assorbe la paura, non lascia spazio alle emozioni. Avrei meritato anch’io un posto a Setra: sono un artista della guerra. Sono quasi nelle prime linee mentre mi lancio per le scale deserte e polverose del palazzo immenso che fu il centro di un’antica gloria. Combatto senza passione e nonostante questo nessuno mi resiste.
E mentre sono lì che combatto con questa fredda gioia addosso, mi accorgo di una presenza discreta alle mie spalle, poco più che un’ombra in un angolo. Lancio qualche sguardo rapido tra un colpo di spada e una parata con lo scudo e vedo una strana creatura metà lupo e metà uomo, che assiste alla battaglia con gli occhi spalancati. Ma nello stesso tempo in cui ho avvertito la sua presenza ho avvertito anche la sua totale estraneità alla battaglia, l’ho annusata nello stupore condito di lieve paura che traspirava dai suoi occhi spalancati, l’inevitabile paura dell’ignoto. Questa creatura non sapeva nemmeno cosa stavamo facendo, e perché
Non sai cosa ti perdi, ragazzino.
L’ho ignorato abbastanza perché la mia mente si dimenticasse della sua esistenza.
Ho ucciso come non mai. La mia parte ha vinto. I miei compagni sono morti quasi tutti.
E il mio corpo non aveva ferite gravi. E il mio animo non era stato neppure scalfito.
Se uno di quei geni del passato avesse scolpito il soldato perfetto, avrebbe creato me.

Io ho piantato la mia spada a Setra, ho dormito, ho riposato il mio corpo e ho guarito la mia pelle stanca, e poi sono ripartito per la mia meta finale.
La casa della strega.
Sì.

Alessandro Zanardi

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