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Guerra ai bambini in guerra

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Guerra ai bambini in guerra

«C’è un albero, davanti a una delle fosse…
Era l’albero dei bambini,
dove i giovani soldato di Pol Pot portavano i ragazzini di due o tre anni o anche meno:
li afferravano per i piedi e li sbattevano contro il tronco, fino a fracassargli la testa.
E lo facevano davanti alle madri, che assistevano straziate e impotenti…
Il sangue dei piccoli ha scurito la corteccia
e quel colore rossastro non se ne va più».
(Bambini d’Oriente, di Corrado Ruggeri).


La situazione
Alcuni dati per farci riflettere: nel mondo, oggi sembrano essere più di 300.000 i minori di 18 anni di età impegnati in conflitti armati e i campi di battaglia ove sono stati protagonisti parrebbero almeno 25 negli ultimi dieci anni, equamente distribuiti sui cinque continenti, tra Nord e Sud del mondo, tra paesi cosiddetti sviluppati ed in via di sviluppo1.
Di questo fenomeno si conoscono soprattutto i casi riguardanti l’Africa: Mozambico, Angola, Rwanda, Burundi, Sudan solo per citarne alcuni tra i più conosciuti ed attuali.
In Asia i baby-soldati sono usati regolarmente in Afganistan, paese che detiene il primato di oltre centomila bambini coinvolti nella guerra civile e dove giungono anche minori provenienti dal Pakistan, reclutati attraverso alcune scuole religiose. Bambini soldati anche nello Sri Lanka, rapiti e addestrati dalle tigri tamil che combattono il governo centrale di Colombo, e la Cambogia, all’epoca dei khmer rossi e di Pol Pot, non faceva eccezione. Poco più in là, in Birmania, l’incubo non è per niente finito: l’arruolamento forzato di bambini e ragazzi è fatto dall’esercito regolare di Rangoon, che la dittatura militare al potere ha deciso di ampliare fino a 475.000 unità per combattere le tendenze separatiste e gli oppositori. Dei bambini soldato fanno ampio uso pure i guerriglieri separatisti dell’etnia Karen, che combattono contro il governo centrale di Rangoon. Anzi, tra le loro file c’è un vero culto di gemelli in armi, protagonisti, qualche mese fa di spettacolari azioni di guerriglia.
Nel continente latino-americano, in Nicaragua, El Salvador, Perù, Colombia, Messico i baby soldato sono spesso avanguardie delle lotte dei movimenti di liberazione, dei gruppi paramilitari, o degli eserciti regolari. Adolescenti addestrati al sadismo nell’esercito colombiano, sono costretti a sgozzare animali da cortile e berne il sangue caldo. E giù, per le scale della violenza sino all’iniziazione dei giovanissimi guerrieri di Sendero Luminoso in Perù, costretti a tagliare la gola dei condannati a morte dai "tribunali del popolo" e berne il sangue2.
Ma perché un’unità militare o paramilitare che sia dovrebbe trovare conveniente impiegare tra le sue fila dei "bambini soldato"? Quali i vantaggi immediati per ricorrere ad un simile espediente tattico-strategico se così vogliamo chiamarlo?

Le motivazioni
L’uso dei bambini nei conflitti non è certo un fenomeno di questo secolo, e tanto meno riguarda solo i paesi meno sviluppati, le società tribali o i popoli primitivi. Si chiamavano "enfants perdus", bambini perduti, i tamburini e i pifferai che davano il ritmo ai soldati degli eserciti napoleonici: schierati in prima fila, cadevano come mosche sotto il fuoco dell’artiglieria nemica3. E cosa dire delle piccole vedette lombarde o dei tamburini sardi di deamicisiana memoria che hanno sacrificato la loro giovane vita nel nostro Risorgimento? Non erano molto più grandi i dodicenni tedeschi delle Hitlerjugend, chiamati da Hitler nel 1945 a difendere Berlino. Saltavano sui carri armati del nemico cercando di infilarci le bombe a mano nelle feritoie. Così come dall’altra parte l’Armata rossa di Stalin era piena di "figli del reggimento", bambini orfani, adottati dai soldati e spesso usati in missioni suicide.
L’impiego dei bambini rappresenta sicuramente una delle conseguenze dell’evoluzione nella natura dei conflitti, caratterizzati oggi più che mai dal fatto che civili e combattenti sono spesso difficilmente distinguibili in confronti ove non esiste più uno spazio fisico circoscritto, il campo di battaglia, in cui due eserciti si scontrano, ma tutto si svolge in maniera destrutturata tra soggetti dalla veste mutevole e su uno scenario ampio, indefinito ed indefinibile a priori. Sono queste le caratteristiche dei conflitti armati non internazionali o interni che, dalla fine del II conflitto mondiale (1945), hanno insanguinato già più di 100 paesi diversi.
Ma le motivazioni sono molteplici e, a volte, perverse e constano di elementi soggettivi, propri del fanciullo, ed oggettivi, propri delle attività a cui vengono adibiti. Per quanto riguarda i primi, si possono ricordare la facilità di indottrinamento dei soggetti più deboli ed immaturi, il bisogno di sentirsi protetti e, in un certo senso, "amati" da adulti in un contesto ove si è perso tutto e tutti, i minori costi gestionali di un militare in formato ridotto rispetto ad un adulto, il minore senso del pericolo e della morale (spesso totalmente assente nei bambini), il peso e la semplicità di utilizzo delle moderne armi automatiche, ormai maneggiabili con facilità anche da bambini. Per i secondi, vi sono, poi, i compiti per i quali l’impiego di bambini risulta ottimale: per esempio, battere un sentiero in cerca di mine antiuomo prima del passaggio di una colonna (in guerra, è meglio perdere un bambino che un adulto!) o servire da "intrattenimento" ai militari nei bordelli da campo, e questo sia per le ragazze che per i ragazzi4 o ancora infiltrarsi nelle linee nemiche per fornire informazioni senza dare nell’occhio.
Non da ultimo, bisogna considerare che spesso la durata dei moderni conflitti rende difficoltoso trovare continuamente nuove leve da arruolare tra gli adulti mentre, specialmente nei paesi del Sud del mondo, i bambini non mancano e quella che viene considerata una ricchezza per la società familiare allargata tipiche di certe culture diventa serbatoio inesauribile di risorse per i signori della guerra.

Le conseguenze
Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie respiratorie e dell’apparato sessuale, incluso l’AIDS.
Inoltre ci sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o aver commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi anche dopo anni. Si aggiungano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell’inserirsi nuovamente in famiglia (quando ve ne sia una) o nella società (al momento della fine della guerra) e del riprendere una vita quanto più normale possibile, spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. L’uso dei bambini soldato ha ripercussioni anche su gli altri ragazzi che rimangono nell’area del conflitto, perché tutti diventano sospettabili in quanto potenzialmente nemici.
Il rischio è che vengano uccisi, interrogati, fatti prigionieri5.
Se non si muore durante i combattimenti, spesso si è condannati ad una morte sociale al ritorno della pace, e questo è ancora più terribile.

La regolamentazione internazionale
Ma cosa si intende per "bambino soldato"? Quale età può considerarsi discriminante per arruolare qualcuno, dargli un fucile automatico nelle mani e portarlo al fronte ordinandogli di aprire il fuoco e uccidere il "nemico", magari un altro ragazzo, un bambino, che si trova casualmente dall’altra parte? I 18 anni significano qualcosa in questo villaggio sempre più globale in cui viviamo o rappresentano una semplice indicazione non precettiva valida solo per essere chiamati a votare di quando in quando nei paesi ricchi?
Il 25 maggio di quest’anno, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato il testo definitivo del Protocollo opzionale alla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 19896, riguardante il coinvolgimento nei conflitti armati di giovani sotto i 18 anni di età. Dal giugno successivo, il documento è aperto alla firma e alla ratifica di tutti gli stati. Il Protocollo opzionale rappresenta un passo importante per la comunità internazionale, ma potrebbe anche essere un semplice paravento per lavarsi la coscienza e continuare sulla strada prima descritta.
Infatti, i 18 anni non sono riconosciuti universalmente quale limite invalicabile tra i minori ed i maggiori di età: la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia7, al suo art.1, prevede infatti che «For the purposes of the present Convention, a child means every human being below the age of eighteen years», ma si affretta a specificare «unless under the law applicable to the child, majority is attained earlier.» e, proprio nel suo art.38.3, consacrato alla tutela dei fanciulli coinvolti in episodi bellici, ecco che si abbassano subito le difese riportando a 15 anni l’età di riferimento, «States Parties shall refrain from recruiting any person who has not attained the age of fifteen years into their armed forces. In recruiting among those persons who have attained the age of fifteen years but who have not attained the age of eighteen years, States Parties shall endeavour to give priority to those who are oldest.» e si ripropone inalterato il testo dell’art.77.2 della IV Convenzione di Ginevra del 19498: quindi, in quarant’anni (dal 1949 al 1989) la comunità internazionale sembra non aver imparato nulla dalla propria storia, e dai propri orrori.
E questo benché una risoluzione dell’ONU consideri, già a partire dal l998, l’uso di bambini soldato sotto i 15 anni un crimine di guerra e la Convenzione sul Tribunale penale internazionale permanente9, firmata a Roma nello stesso anno lo sancisca in maniera solenne. Inoltre, nella Convenzione contro il lavoro infantile, siglata un anno fa nell’ambito dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL10), si proibisce espressamente il reclutamento di ragazzi al di sotto dei 18 anni da parte delle forze combattenti.
Carta straccia per molti paesi e non solo per quelli del Terzo mondo, che pure le hanno sottoscritte. La regolamentazione internazionale dell’uso dei bambini in guerra ha sempre trovato, in questi anni, infatti, uno strano ostacolo all’interno del fronte dei paesi più sviluppati. Anche il "civilissimo" Occidente arma i minorenni: Canada, Stati Uniti, Australia, Olanda e Gran Bretagna ammettono nei propri ranghi militari ragazzi non ancora diciottenni. Il record negativo è della Marina di Sua Maestà Britannica con il limite di arruolamento a soli 16 anni. L’esercito inglese nella guerra del Kosovo, un anno fa, ha fatto combattere 17 ragazzi e ne inviò ben 381 nella Guerra del Golfo del 1991. Oggi, il Regno Unito può contare su 4.991 soldati non ancora maggiorenni. Un po’ meglio stanno le cose negli Stati Uniti: il reclutamento è a 17 anni, ed è comunque necessario il consenso dei genitori11.
Secondo alcuni studiosi di diritto internazionale12, da tempo si può rilevare la formazione di una norma di diritto internazionale consuetudinario che ha fissato in 18 anni l’età in cui gli esseri umani diventano "adulti", assumono tutte le connotazioni tipiche in capacità attive e passive di questo status, perdendo nel contempo le prerogative e limitazioni dell’essere "bambino", minorenne; ma un simile riconoscimento avrebbe notevoli ripercussioni sulle scelte di politica interna ed estera di tutti i membri della comunità internazionale e non può dunque essere accettato alla leggera. Ecco dunque, lo strumento del Protocollo opzionale, aperto nei mesi scorsi alla ratifica da parte degli Stati aderenti alla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (quando ciò avverrà nessuno lo sa!) e, comunque, solo per limitare la loro possibilità di reclutare nelle forze armate regolari i minori degli anni 18.
Considerando che nei conflitti interni i protagonisti sono sempre più spesso costituiti da gruppi armati paramilitari irregolari, che quindi non rispondono ad un comando unificato posto sotto l’autorità di un potere centrale rappresentativo (ministero della difesa o simili) e che, inoltre, si lascia inalterata agli Stati parte la facoltà di accettare l’arruolamento volontario anche sotto i 18 anni, si comprendono le reali e minimali dimensioni dello strumento convenzionale che è stato adottato in sede internazionale.

Chi si oppone
Nel mondo, accanto a chi utilizza i bambini nei conflitti vi è anche chi combatte tale pratica e, nonostante tutto ciò che si è detto, con risultati modesti ma concreti.
Si tratta della Coalizione di organizzazioni "Stop all’uso dei bambini soldato!13", presente con 29 delegazioni in vari paesi14 ed attiva nell’informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul problema, nonché nella promozione di iniziative rivolte alla società civile ed ai poteri pubblici.
In Italia, per esempio, la Coalizione ha organizzato iniziative verso il Governo e le istituzioni chiedendo un impegno concreto per l’abrogazione della norma (art.3 della Legge 31 maggio 1975, n°191) che consente la partecipazione ad operazioni militari ai minori di 18 anni; per appoggiare l’adozione tempestiva di un Protocollo Opzionale alla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, che proibisca a chi ha meno di 18 anni di partecipare alle ostilità sia in modo diretto che indiretto, sia negli eserciti regolari che in quelli di opposizione armata, sia attraverso reclutamento che in modo volontario (firmato nella primavera di quest’anno, pur se con i limiti sopra accennati); per appoggiare la richiesta che l’uso dei bambini soldato sia dichiarato esplicitamente come una fra le peggiori forme di sfruttamento infantile dalla nuova Convenzione ILO, prevista per la 87ma sessione della Conferenza di Ginevra (firmata nell’estate dello scorso anno).
Questi, benché minimi e formali, possono dirsi dei passi avanti; ed ogni grande impresa comincia pur sempre con un piccolo passo. Buon cammino!

Davide Caocci

…ancora…

Paesi che reclutano minori di 18 anni nelle forze armate con coscrizione obbligatoria o adesione volontaria (la lista non è completa)
Australia, Austria, Bangladesh, Belgio, Buthan, Brasile, Burundi, Canada, Cile,Colombia, Corea, Croazia, Cuba, El Salvador, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Honduras, India, Indonesia, Iran, Iraq, Irlanda, Israele, Italia, Libia, Lussemburgo, Mauritania, Messico, Namibia, Nicaragua, Nuova Zelanda, Norvegia, Paesi Bassi, Pakistan, Perù, Portogallo, Regno Unito, Sud Africa, Sudan, Uganda, Stati Uniti, Yugoslavia.
Fonte: http://www.bambinisoldato.org

«Un ragazzo tentò di scappare (dai ribelli), ma fu preso…
Le sue mani furono legate, poi essi costrinsero noi, i nuovi prigionieri, a ucciderlo con un bastone.
Io mi sentivo male. Conoscevo quel ragazzo da prima, eravamo dello stesso villaggio.
Io mi rifiutavo di ucciderlo ma essi mi dissero che mi avrebbero sparato.
Puntarono un fucile contro di me così io lo feci.
Il ragazzo mi chiedeva: perché mi fai questo?
Io rispondevo che non avevo scelta.
Dopo che lo uccidemmo essi ci fecero bagnare col suo sangue le braccia…
Ci dissero che noi dovevamo far questo così non avremmo avuto più paura della morte e non avremmo tentato di scappare…
Io sogno ancora il ragazzo del mio villaggio che ho ucciso.
Lo vedo nei miei sogni, egli mi parla e mi dice che l’ho ucciso per niente,
e io grido.»

(Susan, 16 anni, Uganda)

Bibliografia essenziale su carta e in rete

Cohn I. – Goodwin-Gill G.S., Child soldiers: the role of children in armed conflicts, Oxford, 1994.
Ferrari A. – Scalettari L., I bambini nella guerra, Bologna, 1996.

http://www.bambinisoldato.org, sito del coordinamento italiano per la lotta all’impiego di "bambini soldato".
http://www.unicef.org, sito dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia.
http://www.cicr.org, sito del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

Immagine di sfondo

"Bambino soldato: quando il sorriso lascia il posto ad un mitra"
da http://www.mess-s-antonio.it/MSAHOME/ITA/riviste/rivnaz/Feb00/Ita0200a.htm

1
Cfr. sito http://bambinisoldato.org.

2
Cfr. Nascetti D., Bambini in guerra, Panorama (15.06.2000).

3
Cfr. Nascetti D., Bambini in guerra, Panorama (15.06.2000).

4
In alcuni casi come in Salvador, Uganda, Etiopia, le ragazze costituiscono un terzo dei minori che combattono nei conflitti armati. Cfr. Nascetti D., Bambini in guerra, Panorama (15.06.2000).

5
Cfr. sito http://bambinisoldato.org.

6
Cfr. sito http://www.unicef.org/crc/crc.htm

7
Cfr. sito http://www.unicef.org/crc/crc.htm

8
Cfr. sito http://www.cicr.org

9
Cfr. sito gopher://gopher.igc.org/00/orgs/icc/undocs/rome/romestatute.fr

10
Cfr. sito http://www.ilo.org

11
Cfr. Nascetti D., Bambini in guerra, Panorama (15.06.2000)

12
Cfr., tra gli altri, Caocci D., La protezione dei fanciulli nei conflitti armati: d.i.u. vigente e analisi di alcune situazioni di crisi, Milano, 1996, pp.24-39

13
Cfr. sito http://bambinisoldato.org.

14
In Italia, la Coalizione è formata da Amnesty International, BICE-Italia, COCIS, Jesuit Refugee Service-Centro Astalli, Società degli Amici (Quaccheri), Telefono Azzurro, Terre des Hommes, UNICEF Comitato Italiano e Volontari nel Mondo-FOCSIV.

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