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Sorriso di cera

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Sorriso di cera
Terzo classificato (Media: 7,09)

Apro la porta di casa e getto meccanicamente le chiavi sul tavolino in legno a un metro di distanza. Ispeziono con lo sguardo l’interno della sala per appurare che i miei non sono ancora tornati. Come tutte le volte lo sguardo mi cade sul suo viso bianco e immobile scolpito nella cera. Reprimendo un brivido mi allontano spostandomi in cucina.
Guardo la tv mangiando qualche schifezza trovata in frigo. Vorrei andare in camera mia al secondo piano ma l’idea mi angoscia. E so perché.
Sono le otto e mezza, fuori fa buio e i miei non sono ancora tornati. E’ probabile che siano fuori a cena. A saperlo prima mi sarei organizzato per uscire. Pazienza. Lascio la taverna, attraverso la cucina e entro in sala. Come tutte le volte il mio sguardo è attirato dal suo. A volte sembra che mi sta fissando, altre che mi ignori. Odio quella bambola. Il vestitino di pizzo verde scuro, i capelli neri raccolti in piccoli boccoli e il sorriso di cera dipinto di vernice rossa. Talmente vivo da risaltare grottescamente sul viso bianco.
Sbuffando mi avvicino nonostante la vocina in fondo alla mia testa continui a ripetermi di andarmene. Con stizza la faccio tacere arrivando proprio davanti alla bambola. Fin da quando ero piccolo mi ha sempre dato i brividi, tanto che spesso quando riuscivo a vincere la paura di avvicinarmi la nascondevo sotto un cuscino. Mia madre si infuriava a morte. E’ un regalo di non so quale zio straniero e probabilmente vale una piccola fortuna. E’ una delle poche cose preziose che abbiamo in casa e mia madre vuole che sia sempre visibile da tutti, quindi dava in escandescenze quando la spostavo rischiando di romperla. E mio padre…l’idea che qualcosa mi terrorizzasse lo disgustava. Oramai è diventata il simbolo delle mie debolezze. Ogni volta che passo di qui e sobbalzo lui distrae lo sguardo e scuote la testa.
Ancora non capisco perché ogni tanto sembra fissarmi e ogni tanto no. Quando lo chiesi da piccolo mi riposero che dipendeva dalla prospettiva ma è una soluzione che non mi ha mai convinto molto. Come il fatto che ogni tanto si spostasse da sola.
Si so che sembra stupido da dire ma ogni tanto mia madre la trovava in giro e mi incolpava di averla spostata. Ma io non lo facevo, o almeno non lo ricordo. Forse ho rimosso. La detesto proprio questa bambola. Mi allontano da lei salendo le scale per raggiungere la mia camera.
I giochi per computer mi appassionano poco. Circa quindici minuti. Leggo un po’, ascolto musica. Le schifezze mangiate nel pomeriggio si esauriscono lasciandomi con un vuoto allo stomaco e un po’ di nausea. Meglio mettere qualcosa sotto i denti. Raggiungo la cucina ignorando tutto il resto. Visto che i miei sono fuori a festeggiare lo farò anche io. Metto qualcosa in un panino e stappo una bottiglia di vino. Una botta di vita. Mi apposto sul divano della taverna. Preparo la sedia vicino a me con il cibo e guardo la tv, mangiando e bevendo. Grande vita. I programmi si susseguono lenti e noiosi fino a che non sento le palpebre pesanti. Sarà colpa del vino.

Devo essermi addormentato. Sento le palpebre pesanti e un brusio lontano, forse la tv. Ancora con gli occhi chiusi cerco il telecomando e la spengo. Sono in quel punto del sonno in cui posso ancora svegliarmi ma mi sento trascinare con forza verso l’incoscienza. Decido di cedere, ma una strana sensazione mi riporta indietro. Avverto i capelli sulla nuca drizzarsi con tale forza che quasi sobbalzo. Apro gli occhi cercando di focalizzare la vista.
Quando la vedo quasi urlo.
E’ accanto a me sulla sedia, con quel suo orribile vestitino verde, come se fosse il posto più naturale del mondo dove stare. Un gemito strozzato mi esce dalla labbra. Che ci fa qui? Chi ce l’ha messa?
Forse sono tornati i miei e volevano farmi uno scherzo. Va bene mamma, non berrò più vino ma levami questa cosa da davanti alla faccia. Mi rilasso e per un attimo sono quasi tentato di ridere. Poi succede l’impossibile.
Con una lentezza agghiacciante, degna del miglior film horror la sua testa si gira verso di me. Mai come ora i suoi occhietti di vetro mi sono sembrati così vivi. Terrore. Terrore allo stato puro mi congela sul divano. Le sue labbra rosso cupo sembrano atteggiate a un sorriso beffardo. Tutto intorno il mio campo visivo comincia a oscurarsi fino a che non vedo solo lei. E la sento parlare.
-Hai paura?- mi chiede, con quella vocetta querula da bambina che tante oltre mi ero immaginato avesse.
Rispondo facendo cenno di sì con la testa.
-Fai bene-
Urlo.

I miei genitori tornano a casa. Stanno litigando già prima di entrare, posso sentirli benissimo da dentro, ma si zittiscono appena superata la soglia. Apparentemente mi ignorano continuando a parlottare tra di loro.
-Mamma?
Mio padre si toglie la giacca e la deposita sull’appendiabiti. Mia mamma lancia la borsa sulla poltrona.
-Papà?
Vanno in cucina e sento che mio padre si versa da bere ma non prima di brontolare per la bottiglia del vino che ho aperto prima. Perché mi ignorano?
-Non lo si può lasciare solo che subito si scola una bottiglia di vino… Diventerà un alcolizzato.
-Speriamo di no. Con quello che costa la sua università. A proposito dove è andato?
-Non lo so. L’ho visto che prendeva la macchina ma ha fatto finta di non vederci.
-Proprio come te, vero?
-Che vuoi dire?
Tornano in sala. Mia madre si avvicina fingendo di non aver sentito la domanda e mi si ferma proprio di fronte. Vorrei tanto abbracciarla forte ma l’aria arrabbiata che traspare dal suo volto mi fa desistere. Vorrei dirle qualcosa ma non ci riesco.
-Ecco, lo sapevo. L’ha spostata di nuovo.- comincia a trafficare con i miei vestiti con quell’aria imbronciata. -Gliel’avrò detto mille volte di non spostarla gli si spiegazza il vestito. Ah, ma domani mi sente.-
Che significa? Mio padre si avvicina.
-Ma dai! La tua preziosa bambola è a posto non vedi? Andiamo a dormire ora.-
-Si è meglio.- Ancora un ritocco ai miei vestiti, poi mi alza il braccio fino a che non è parallelo al terreno.
Con orrore osservo la mia mano piccola e bianca come cera.
Entrambi si allontanano uscendo dal mio campo visivo. Io cerco di chiamarli, di dirgli che sono qui, ma loro non riescono a sentirmi.
Vorrei muovermi, corrergli dietro ma non ci riesco.
Urlo con tutto il fiato che ho in gola, ma nessuno mi sente.

Christian Bencivenni

—-

Giudizi

Gabriela Guidetti: 9,00
Tema caro all’horror più classico, da Matheson a Merrit e a Goldman. Scritto molto bene. Ottimo il finale. Bello ed estremamente inquietante.

Raffaele Gambigliani Zoccoli: 9,00
Ottimamente scritto, avvince pur nell’inoriginalità della situazione. Bello.

Franco Tioli: 8,00
Allucinante, mi ha colpito, anche se il tema non è nuovo, comunque, un bel racconto

Giovanni Strammiello: 7,17
La bambola maledetta: concetto abusato che si riscatta un po’ in questo racconto perché il suo precedente occupante se ne va… peccato che finisca sul più bello…

Francesca Orlando: 7,00
Trovo questo racconto piuttosto insolito. Stravagante è soprattutto l’idea che un ragazzo venga trasformato in una bambola donna. Non possiede una grossa suspense, ma il finale è assolutamente inaspettato.

Walter Martinelli: 6,70
Claustrofobico! La bambola non brilla di originalità, ma il racconto prende e lo si legge bene. Magari far intuire perché il giocattolo avesse quegli strani poteri…una maledizione???

Marco Varone: 6,5
Non male anche se già letto e visto mille volte.

Matteo Ranzi: 6,00
Indubbiamente interessante il punto di vista della bambola di cera, ma l’interessante si ferma qui.

Doriano Rabotti: 6,00
Anche questo è un classico già letto.

Enrico Miglino: 5,50
La fine è prevedibile, ma la storia è ben giocata, la rivelazione non troppo scontata giunge progressiva ed inquietante. Il lettore può sperare fino all’ultimo che non accada ciò che si può immaginare, per rispetto al personaggio.

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