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Le Avventure di Banedon (III)

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Le Avventure di Banedon (III)

Dopo che le grandi porte principali della scuola furono chiuse alle sue spalle, il custode gli chiese il nome, poi lo invitò a seguirlo fino alla sua stanza. Il salone d’ingresso era di forma pressappoco rettangolare, con un bancone vicino alla parete sinistra, e accanto a questo bancone iniziava un piccolo corridoio. Di fronte alle porte d’ingresso una grande vetrata dava sull’ampio giardino, attraversato da numerosi vialetti; più lontano si poteva notare un edificio isolato, e poi un boschetto. Sulla parete destra del salone una larga bacheca in legno ospitava numerose pergamene, foglietti, disegni e annunci. Nell’angolo tra la parete destra e la vetrata una larga scalinata di pochi gradini portava a un pianerottolo leggermente rialzato, dove il guardiano lo condusse. Da questo pianerottolo partivano due corridoi perpendicolari tra di loro, una scala per i piani superiori, e una ulteriore porta chiusa con delle finestrelle tonde su ciascun’anta.
Il guardiano e Banedon si avviarono per il corridoio a destra. Un lato del corridoio era completamente percorso da finestre che davano su un’altra sezione del giardino, più piccola, contenuta tra le varie ali dell’edificio. Nel giardino alcune figure passeggiavano, altre solitarie o a gruppi di due o tre stavano sedute sull’erba perlopiù con grossi libri appoggiati sulle ginocchia. Sull’altro lato del corridoio si affacciavano invece diverse porte, ciascuna con un diverso simbolo inciso sopra… ma a una seconda occhiata, ci si accorgeva che il simbolo non era inciso nella porta, ma vi "galleggiava" davanti, a pochi centimetri dal legno, e aveva una particolare luminescenza.
Dopo circa trenta metri, il corridoio terminava in un ulteriore pianerottolo, con un corridoio che proseguiva verso sinistra, un’altra scalinata che saliva e un’altra doppia porta "con gli occhiali" simile alla precedente. Proseguirono fino quasi alla fine di questo secondo corridoio, finché il guardiano si fermò davanti a una porta anche questa con il suo simbolo. Dapprima Banedon non ci fece caso, ma poi si avvide che il simbolo era semplicemente la lettera "B". Notò una somiglianza tra la forma di quella lettera e la propria scrittura, e si rese conto che quel simbolo era proprio per lui, per indicare la sua stanza.
– Mi aspettavate? – riuscì a dire, sorpreso.
Il custode sorrise, ma non disse nulla ed entrò nella stanza. Banedon riprese il proprio contegno e si astenne da ulteriori domande, seguendolo. La sua stanza era piccola ma piacevole: ben arredata, con un alto letto che appariva molto comodo. un’armadio spazioso dove riporre il suo bagaglio, uno scaffale e, ovviamente un ampia scrivania corredata da un bel leggio in legno di quercia. Di fronte, una finestrella dava sul muretto che circondava la scuola, e si intravedeva di là la città di Arendal.
– Ecco, questa è la tua stanza. Sistemati pure. Se non hai bisogno d’altro, ragazzo, io vado. Ti manderà a chiamare il tuo maestro; fino ad allora, per favore, non uscire da questa stanza.
Banedon annuì. Il custode uscì, chiuse la porta, e al giovane sembrò che mormorasse qualcosa. Sentì un fruscio, poi più niente. Decise di non porsi il problema, e concluse che aveva molto, molto da imparare; era impaziente di cominciare.
Passò un tempo imprecisato mentre metteva a posto i libri che costituivano quasi tutto il suo bagaglio, sistemandoli in diverse posizioni sullo scaffale affiancato alla scrivania, fino a sentirsi soddisfatto. Poi li prese ancora in mano e li sfogliò una volta ancora, nel caso che qualcuno volesse subito metterlo alla prova su ciò che sapeva. Poi, improvvisamente, bussarono alla porta. Banedon sobbalzò per la sorpresa, posò il libro che aveva in mano e disse: – Avanti!.
La porta si aprì lentamente, e apparve un giovane che per qualche istante lo squadrò senza parlare.
– Banedon Hansmitt?
– Sono io.
– Benvenuto tra noi. Io sono Wert Ferguson, discepolo del tuo stesso maestro, e sono qui da cinque mesi.
Così dicendo avanzò verso di lui e gli porse sorridente la mano. Banedon rimase un poco stupito, era certo di trovare solo volti seri e impenetrabili. Ne fu piacevolmente sorpreso, e rispose sia al sorriso che alla stretta di mano.
– Il tuo maestro, Klenar, mi ha mandato a chiamarti. Ti vuole vedere e conoscere subito, ma mi ha raccomandato di assicurarti che ruberà solo pochi minuti al tuo sonno.
A queste parole, Banedon scrutò rapidamente dalla finestra e si accorse che era ormai buio.
– Sono pronto , rispose, e si accinse a seguire il compagno.
I due attraversarono diversi lunghi corridoi silenziosi, passando davanti ad altre porte chiuse, poi salirono una rampa di scale e si portarono al piano superiore, dove c’erano poche porte e probabilmente stanze più ampie. Wert gli fece attraversare quasi tutto il piano prima di fermarsi dinanzi a una porta scura, con un simbolo inciso. Il simbolo somigliava a una "R" spigolosa, e sotto di esso c’era uno stemma. Wert non bussò, ma si limitò a toccare la porta con le dita. Dopo pochi attimi la porta si aprì, e sulla soglia comparve un uomo vestito di nero, non molto alto, con una folta chioma castana e un pizzetto che gli dava un’aria poco affidabile.
– Banedon Hansmitt? Entra, ti stavo aspettando – disse l’uomo – Wert, accomodati anche tu, potrai accompagnarlo alla sua stanza tra pochi minuti.
Banedon rimase colpito. QUELLO era il suo maestro? Non se lo era immaginato così. Pensava piuttosto a un uomo più vecchio, probabilmente con una lunga barba bianca, con la voce bassa, non certo un uomo giovane come quello, con quell’aspetto così da furfante, più che da stregone. Esitò a guardarlo qualche istante, abbastanza perché Klenar se ne accorgesse. Il maestro lesse chiara sul suo viso la sorpresa e rise.
– Entra, ragazzo, entra. Cosa t’aspettavi? Un vecchio stregone di 150 anni capace di leggerti nel pensiero? No, purtroppo dovrai accontentarti di me. Sono giovane e ho molto ancora da imparare, ma amo insegnare quel poco che so ai ragazzi come te. Entra, ragazzo, e cerchiamo di conoscerci.
Banedon entrò, ancora più stupito dall’atteggiamento gioviale e disponibile del maestro.
Klenar si sedette dietro una scrivania completamente ricoperta di volumi, di penne e di minuscoli oggettini, alcuni simili a pietruzze, altri simili a scaglie. Banedon e Wert si sedettero di fronte alla scrivania, su due sedie che stavano prima appoggiate alle pareti.
– Oh, non fare caso al disordine – disse mentre cercava di riordinare, con scarsi risultati, a dir la verità. –
– Eccoti qua, ragazzo. Io mi chiamo Klenar Karandreikos, e vengo da Penhaligon, una cittadina del Sud. Di Glantri, per l’esattezza, ne hai mai sentito parlare?
– Certamente – rispose prontamente il giovane, ansioso di far bella figura. – E’ il regno dei Maghi. Un regno abitato solo da maghi, dove si trovano le più importanti Scuole e Biblioteche di magia.
– Quasi esatto, Banedon. Quasi esatto. Gli abitanti di Glantri sono QUASI tutti maghi. La magia è diffusissima: essa viene usata nella vita di tutti i giorni e viene insegnata a scuola, perciò chiunque sia nato e cresciuto a Glantri non può non conoscere i fondamenti dell’Arte. Tuttavia ci sono in ogni città diversi forestieri, che sono stati accettati per qualche loro altra particolare abilità, soprattutto artigiani, ma anche mercanti, contadini. Ma vedrai che avrai occasione di passarci, prima o poi, e capirai meglio com’è la vita là. Ora dimmi di te. Com’è che hai deciso di entrare nella scuola. Così giovane, poi?
Banedon distolse lo sguardo e una vivida fiammata di dolorosi ricordi gli attraversò la testa.
– E’ una lunga storia – rispose. – Ho avuto un’esperienza che mi ha aperto gli occhi sul potere della magia, e mi ha fatto capire che poteva, che doveva essere la mia vita. E’ passato un po’ di tempo, e lo credo ancora. Sono qui perché credo che lo studio e la pratica della magia siano lo scopo della mia vita.
– Sei molto determinato, per la tua età. Questo è positivo.
Klenar rimase silenzioso per qualche istante, e Banedon temette che stesse per chiedergli di raccontare quella esperienza che gli aveva aperto gli occhi. Ma non fu così.
– So che aspetti da un po’ di entrare nella scuola. Volevi entrare già un anno fa, e hai passato l’attesa leggendo e rileggendo tutti i libri disponibili nelle nostre biblioteche… sai, ci vado anch’io e sono amico dei bibliotecari. Mi hanno parlato di te.
Banedon, ovviamente, si sentì orgoglioso.
– Non sono molti, come ti ho detto, i ragazzi giovani come te che si presentano qui. Ma sono molti, invece, quelli di tutte le età che arrivano qui e se ne vanno dopo i primi due o tre mesi perché tutti i loro buoni propositi sono svaniti di fronte ai primi impegni seri. Perché la magia è molto impegnativa.
Il ragazzo si concesse un sorriso, e rispose: – So quello che voglio. Le difficoltà non mi spaventano. Non vedo l’ora.
Klenar rispose al suo sorriso, sbirciò dalla finestra, poi disse: – Be’, è già tardi, ed avremo tempo per conoscerci meglio. Domani inizierai le tue lezioni, ti manderò a chiamare quando sarà il momento. Ora ti vedo stanco, e ti lascerò andare a riposare.
Il ragazzo si alzò, insieme a Wert, che si diresse subito verso la porta.
– Buonanotte, maestro – dissero i due apprendisti.
– Buonanotte, ragazzi – rispose Klenar.

Alessandro Zanardi (segue)

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