KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Celebrity

3 min read

Celebrity

Manhattan, venti anni dopo. I tempi sono cambiati. O forse, e’ cambiato Woody Allen. O entrambe le cose. Un’ avvertenza: questo film non e’ quello che sembra. Non fidatevi della grancassa della casa di distribuzione Miramax, che approfitta del cast di stelle di questo film (Leonardo Di Caprio, naturalmente, Winona Ryder, Melanie Griffith, Kenneth Branagh, Joe Mantegna) per contrabbandare questa storia per quello che non e’, uno scintillio di dialoghi chic e spiritosi fra i divi del momento, al party (o nelle camere da letto) dove ognuno di noi vorrebbe essere. No, le cose non stanno cosi’. Allen ha ancora qualcosa da dire. Qualcosa che non vi fara’ piacere. Qui si parla di vanita’. Allen non ha mai smesso di parlarne, in tutti i suoi film. Forse, e’ l’unica cosa di cui ha sempre parlato: la vanita’ e’ lusinga, adulazione, seduzione intellettuale, e’ sentirsi importanti, richiesti, interessanti. Ed e’ quello che spinge l’alter-ego di Allen in questo film, Kenneth Branagh, scrittore, nel pieno di una crisi di mezza eta’, a innamorarsi e a disamorarsi continuamente, passando da modella ad attricetta di belle speranze, nell’ambiente ricco di glamour della moda, del cinema e della televisione. Branagh, a una rimpatriata scolastica, a un tratto ha una rivelazione improvvisa, sulla mediocrita’ sua e dei suoi coetanei, ingrassati, sposati, senza capelli. Cristo, non vuole fare la stessa fine! E cosa si trova in mano? Una moglie, banalissima insegnante, il suo semi-insuccesso di scrittore, e poco altro. Ma ecco una possibilita’, il mondo della moda, luci, la ribalta, e donne bellissime, si vive una volta sola, no? E allora, inizi la giostra, di letto in letto, di flirt in flirt, fra modelle ninfomani (Charlize Theron), attrici pronte a tutto per arrivare (Winona Ryder), e divi del cinema totalmente fuori di melanzana (un irresistibile Leonardo di Caprio, che probabilmente non e’ mai stato cosi’ naturale). Nel frattempo, la povera moglie (Judy Davis, la piu’ grande attrice comica del momento, succeduta a Diane Keaton nella lista delle favorite Alleniane), sull’orlo del collasso nervoso, cerca di rimettersi sulla piazza, prima dal chirurgo plastico, e poi a lezione di fellatio da una simpatica prostituta (che nella scala morale Alleniana ormai ha il ruolo della fata dai capelli turchini). Ecco che un principe azzurro, Joe Mantegna, che guarda caso, lavora in televisione, nota Judy Davis dal chirurgo plastico, la corteggia, la fa lavorare in televisione, e alla fine, se la sposa. La parabola morale e’ evidentissima, mentre Branagh sprofonda sempre di piu’, fra rapporti fatui e superficiali, scrivendo robaccia per cinema e televisione. E’ difficile non confrontarsi con Manhattan (e gli alleniani piu’ accaniti si divertiranno nel trovare citazioni dirette nel film, a cominciare dallo splendido bianco e nero, dallo stesso fotografo di Ingmar Bergman), ma stavolta tutto si e’ imbarbarito, e non e’ piu’ cosi’ facile essere simpatetici con i protagonisti. Non e’ un caso che Woody Allen non reciti, in questo film. No, ogni poesia e’ persa, e i personaggi non sono piu’ confusi e teneri, come lo erano in Manhattan, ma ciechi, e leggermente disperati. E il segno piu’ evidente di questo, e’ che mentre in Manhattan tutti odiavano la televisione, che era irrisa continuamente, come l’oppio dei popoli, in Celebrity tutti ci lavorano, o ci vogliono lavorare. Cosi’ Judy Davis, che ora lavora a una ripugnante rubrica mondana sulla vita dei divi, alla fine, trionfa, quando, risposata e felice (forse), incontra un Branagh completamente perso, ma ammirato del successo che arride all’ex-moglie. Questo di Allen e’ un film coraggioso, ed e’ il piu’ serio che ha fatto dai tempi tempestosi di Mariti e Mogli, all’epoca dello scandalo con Mia Farrow (ed era ora!). Personalmente, e’ un colpo al cuore. Difetti? Si’. Troppo cinico. Forzatamente programmatico (la struttura anulare che unisce inizio e fine del film). Troppo distante nei confronti della vita delle formichine che mette in scena, un racconto morale newyorkese di un Rhomer particolarmente incattivito. Ma fa lo stesso, andatelo a vedere, ne vale la pena.

Massimo Rontani

Commenta