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Letteratura americana

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Letteratura americana:
"I non conformisti" di Richard Yates.


Tutti conoscono i tormenti esistenziali di Francis Scott Fitzgerald, i suoi personaggi malinconici e perduti, dal "Grande Gatsby", alla coppia disperata e decadente di "Belli e dannati", tragica esemplificazione dello stesso scrittore e della moglie Zelda, al mito della vita facile e spensierata dei "Racconti dell’età del jazz", alla tristezza struggente di "Tenera è la notte".
Il protagonista è, spesso, un giovane di buona famiglia, di belle speranze, che si crede- e che tutti credono- superiore alla massa, alla grettezza borghese; un giovane immerso nei sogni e nella contemplazione di sé stesso, amante della bellezza in ogni sua forma, soggiogato da figure femminili stupendamente capricciose e volubili. L’incostanza lo attrae come virtù aristocratica, segno di grandezza d’animo, di libertà morale; il perbenismo e i valori sociali lo ripugnano, ma non può fare a meno di una vita splendente, non tollera la meschinità e la bruttezza della povertà, in cui inevitabilmente cade in una progressiva e desolante "discesa agli inferi".
Sono tutti tratti già delineati in Amory, protagonista di "Al di qua del Paradiso", opera giovanile per molti versi enfatica, non riuscita, ma utile per capire l’intero universo dello scrittore.
Molte delle ossessioni di Fitzgerald si ritrovano in un’altra opera poco conosciuta, "I non conformisti" di Richard Yates.
Il totale cinismo della storia supera anche quello di Francis Scott, che comunque intravedeva la possibilità di un amore puro al di là del trionfale egoismo umano.
Qui l’amore non esiste, esiste solo la finzione dell’amore fra April e Franck, tipica coppia americana, che vive in un tipico sobborgo americano, credendosi ostinatamente migliore dell’ambiente borghese che li circonda, dei buoni padri di famiglia che lavano l’auto alla domenica mattina nel giardino davanti a casa. Hanno due soli amici, marito e moglie (il marito è segretamente innamorato di April), coi quali passano le serate convincendosi a vicenda che la loro vita potrebbe essere più elevata, più nobile, se solo le circostanze lo permettessero, se non ci fosse la quotidianità frustrante dei figli, del lavoro…Franck, dopo aver messa incinta la fidanzata, appena terminata l’università, ha deliberatamente scelto un lavoro comodo e noioso, nella stessa ditta del padre: ritenendo, con un confuso ragionamento, che non potesse esistere una professione adeguata a lui, e che un impegno vero e pesante avrebbe pregiudicato la sua libertà intellettuale.
O almeno, così si giustifica all’inizio: in realtà, fuori dall’azienda non riesce ad attuare nessuno dei velleitari progetti che aveva in testa, quando era ancora uno studente promettente (ancora il "giovane di belle speranze" di Fitzgerald, con le speranze dissolte nella vita).
April si è sposata controvoglia, e ha avuto due bambini controvoglia. Anche lei era una bellissima ragazza, e tutti immaginavano che avrebbe fatto uno splendido matrimonio: invece eccola qua, in una villetta unifamiliare con giardino, intenta a pulire e rassettare, sognando un futuro impossibile.
E’ lei ad avere l’idea e a convincere il marito: sarebbero emigrati a Parigi, per cambiare ambiente e rendere possibile il dispiegamento delle loro personalità. Lei avrebbe trovato lavoro, mentre lui avrebbe occupato il tempo cercando di capire quale fosse, davvero, la sua strada, la sua vocazione.
Ne parlano anche con il figlio della padrona di casa, un ex- professore di matematica divenuto pazzo, che appare però l’unico personaggio lucido del libro: Franck dice di voler sfuggire "il vuoto disperato" della loro città e della loro vita.
Ma la sua felicità non è reale. All’improvviso, dopo tanti anni passati a non far nulla, un suo depliant pubblicitario per la ditta ottiene un grandissimo successo presso i superiori.
April si prepara alla partenza, lui è sempre più incerto, senza osare confessarlo; finché, a cavarlo d’impaccio, giunge la nuova gravidanza della moglie, come le altre non voluta.
Lei vorrebbe abortire, con un metodo artigianale sicuro solo nei primi tre mesi (l’aborto non era legale): lui rifiuta, non per amore del nuovo figlio, ma semplicemente per non partire. Ognuno cerca di ingannare l’altro, con frasi fatte che nascondono il loro egoismo: la spunta Franck, che ormai gode di largo credito nell’azienda. La sua vocazione, dunque, era quella, era la carriera che aveva sempre avuto a portata di mano e che aveva sempre disprezzato.
"Non potete partire perché non avete abbastanza soldi per far crescere il nuovo bambino là?" sghignazza crudelmente l’ex- professore. "Ma i soldi non sono quasi mai la ragione vera.
E allora, qual è il vero motivo, Franck? Forse non te la senti, tutto sommato, di lasciare il buon vecchio vuoto disperato?"
Difatti, lui non se la sente. Il colpo, per April, è troppo forte: decide di abortire molto dopo il terzo mese di gravidanza, sapendo che sarebbe probabilmente morta.
Vorrebbe lasciare una lettera al marito: la scrive e la riscrive, prima acrimoniosa, in linea con i loro continui litigi ("hai sempre scambiato per amore ciò che era la somma delle nostre debolezze e dei nostri egoismi…"), poi, stanca, la riduce a poche parole pietose. "Qualsiasi cosa accada, non dare la colpa a te stesso".
Franck, dopo la morte della moglie, si trasforma in un ripetitivo manichino della ditta. I due figli vengono lasciati alla custodia di alcuni parenti, come era successo a April da bambina; il suicidio viene snaturato in aneddoto, pettegolezzo per le comari della periferia.
Il "non conformismo" velleitario e verbale, la confusa aspirazione a una vita migliore, più ricca, più piena, sentimenti ispirati a un deteriore romanticismo, come insegna già Flaubert in "Madame Bovary", diventano protagonisti di una vicenda ironica, a tratti divertente nella satira ai costumi americani, ma quanto mai drammatica e disperante nei contenuti. Non c’è un solo spiraglio concesso alla speranza.

Lorenza Ceriati

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