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Lo scrigno d’ebano

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Lo scrigno d’ebano

La porta del monte di pietà si apre solo da un verso. Quello sbagliato.
Sul cartello lucente la scritta dice "SPINGERE" ma bisogna tirare per entrare. Era stato mio nonno a scrivere quella targa d’ottone e a metterla al contrario. Sosteneva che in quel modo poteva riconoscere i clienti abituali e gli ottusi da imbrogliare. Penso che abbia avuto ragione. Infatti, il negozio è ancora vivo anche se per l’ultima generazione. Non ho figli ai quali lasciare eredità. In realtà non ho neanche una moglie. Sono solo. Io e il mio negozio dei pegni.
Ho cinquanta anni. Il mio negozio ne ha esattamente cento. Mio nonno, in società con un fratello che poi tornò in Italia, aprì nel milleottocentosessanta. Sulla parete dietro il bancone c’è ancora il quadro che incornicia il primo biglietto di pegno. Sei centesimi per un anello nuziale. In cento anni di prestiti su cauzione di merce, sono stati impegnati migliaia di oggetti. Alcuni veramente bizzarri. Mio padre mi raccontava di un ragazzo che nel millenovecentosette voleva impegnare un cucciolo di leone che aveva rubato in un circo. Si sarebbe accontentato di qualsiasi cosa pur di portare da mangiare a casa. Il nonno lo accompagnò a restituire il leoncino ed insieme a mio padre decise di assumerlo come garzone in negozio. Non che ce ne fosse bisogno, ma secondo mio padre il nonno era fatto così. Vedeva se stesso in ogni ragazzo povero in difficoltà. Il commesso lavorò bene per due anni ma fu licenziato da una coltellata al cuore, presa per difendere il nome di una ragazza in una lite all’osteria. Mio nonno pagò le spese del funerale e mio padre sposò la ragazza offesa. Mia madre.
Le donne sono state molto importanti nella vita del negozio. Mio padre prima di morire mi disse: "Trovati una moglie Antonio. Non rimanere solo. Continua la famiglia". Ho provato. Dio solo sa quante dichiarazioni e lettere d’amore ho mandato. Ma nessuna donna vuole sposare un uomo meschino che mercanteggia sul dolore altrui. Un usuraio.
Eppure io non sono come la gente crede. Sono un uomo sentimentale che apprezza la
bellezza e le emozioni. Il lavoro mi è solo necessario per vivere.
Non ho mai baciato una donna. Certo ho avuto esperienze sessuali, ma solo con prostitute. Durante la depressione ho barattato anche pane con sesso. Ma mai nessuna mi ha detto "Ti amo". Anzi molte volte non mi guardavano neanche in faccia.
Guardo la cassaforte bassa e tozza. Racchiude tutto il mio amore represso. La mia ultima speranza di non rimanere solo per il resto della vita. Contiene una scatola di legno.
Apro la cassaforte. Prendo il piccolo scrigno di legno d’ebano e lo metto sul bancone. Ripeto lo stesso gesto tutti i giorni prima di chiudere il negozio.
Il cofanetto è bellissimo, come la donna che l’ha impegnato dieci anni fa. Arrivò di corsa guardandosi dietro. Aprì la porta senza sbagliare, eppure non la conoscevo, non era mai entrata nel negozio. Anche la campanella sopra la porta tintinnò diversamente.
Si appoggiò al bancone.
"Devo partire", disse ansimando. Tirò fuori dalla borsa la scatola d’ebano.
Io la presi tra le mani e feci per aprirla.
"Non la apra. La prego, non deve", disse con terrore. Mi guardava sconvolta.
Io le dissi che per darle un valore dovevo analizzare la scatola nella sua interezza. Osservavo lei ed i suoi bellissimi occhi. Poteva chiedermi quello che voleva. Avrei dato l’intero negozio se mi avesse detto di lasciare tutto e seguirla.
"La prego, ho solo bisogno di pochi soldi. Quelli che mi mancano per un biglietto aereo."
La guardai per un minuto. Le lacrime si mescolavano con il sudore. Il rossore sul viso la rendeva splendida. I fregi dello scrigno si animavano sotto le mia dita. Tremavo.
Le dissi che potevo darle tutto quello che voleva e mentii che la scatola valeva molto più di quello che lei chiedeva. Mi interessava solo prolungare la sua presenza.
"Voglio solo che la tenga per qualche mese. Tornerò a prenderla e le pagherò bene il disturbo. Però non la deve aprire." Nel pronunciare queste ultime parole sorrideva tristemente. Aveva denti bianchissimi.
"Mi deve dare la sua parola Antonio." Conosceva il mio nome.
Le risposi sorridendo ma senza mostrare i miei denti gialli di nicotina. Le dissi che avrei tenuto lo scrigno in cassaforte e me ne sarei dimenticato fino a che non fosse tornata a riprenderlo.
Le diedi i soldi e facendo finta di sbagliarmi infilai una banconota più consistente tra le altre. Non li contò neanche. Sulla porta aperta si voltò e soffiò un bacio dalla mano. Il mio primo ed unico bacio.
Ho mantenuto la parola data. Sono passati dieci anni e lo scrigno è ancora nella mia cassaforte.
Ma l’ho aperto tutti i giorni.
Lei tornerà, ne sono sicuro, allora le dirò che le sono rimasto fedele e che la amo.
Chiudo la serranda e le luci tranne quella del tavolo vicino alla cassaforte. Mi siedo e prendo la scatola tra le mani. Tremo ogni volta che la apro.
Le dita percorrono il legno scuro fino alla scanalatura che divide in due la scatola.
Poi chiudo gli occhi ed apro lo scrigno. Nell’oscurità lei mi appare bellissima come quando l’ho vista quell’unica volta.
Aspetto un minuto fino a che il ricordo del suo viso si affievolisce poi chiudo la scatola e riapro gli occhi.
Ripongo di nuovo la scatola in fondo alla cassaforte.
Domani rivedrò di nuovo il suo viso.
Domani aspetterò ancora che torni a prendere la scatola.

Matteo Pavoni

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