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a bug’s life – stile

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Lo stile di
a
bug’s life
megaminimondo
Come beffare madre natura

A differenza di "Toy Story", che si svolgeva quasi per intero entro i confini geometrici della stanza di Andy, del Pizza Planet o della casa degli orrori di Sid, "A Bug’s Life – megaminimondo" è ambientato in esterni, in mezzo alla natura, dove forme organiche e superfici irregolari sono di norma. Dal terreno pietroso di "L’Isola delle Formiche" con le ‘foreste’ d’erba e trifoglio e le camere sotterranee illuminate da funghi fosforescenti, alle variopinte scenografie del circo di P.T. Pulce e della Città, questo film riserva molte sorprese in termini di fondali e ambientazioni.
Artisti e tecnici hanno inventato insieme nuove regole per dare al pubblico una convincente visione del mondo dal punto di vista degli insetti.
Allo scenografo Bill Cone va il merito di aver concepito l’assetto visivo generale del film. Partendo da forme, luci e colori primari, Cone ha sviluppato le idee per i set di base, prendendo anche in considerazione una possibile correlazione tra forme ed emozioni e creando uno schema grafico dei colori che analizzava visivamente l’evolversi della storia. Nel dare più profondità alle atmosfere del film ha avuto una parte anche l’uso di fondali sfocati e simili accorgimenti scenici.
Secondo Cone, si cerca sempre un equilibrio tra realismo e stilizzazione. "Non ci interessava scimmiottare la realtà, far sembrare i fondali immagini girate dal vivo. Il mondo che abbiamo creato per questo film è un’astrazione della realtà, che appare reale per la cura e il dettaglio che abbiamo messo nel creare le superfici e per il modo in cui la luce si muove tra gli oggetti creando ombre. Noi abbiamo solo preso i pattern straordinari ed eleganti che esistono in natura, soprattutto nel mondo vegetale e nella conformazione delle rocce, e li abbiamo incorporati nelle nostre ambientazioni."
"La bellezza di questo film sta nel fatto che il pubblico vede le cose dal punto di vista di una formica – continua Cone -. Uno dei modi attraverso cui siamo riusciti a ottenere questo risultato è stato quello di giocare con le proporzioni. Per fare un esempio, di solito, quando le cose sono lontane, noi le vediamo più piccole. Invece, nel mondo degli insetti, gli oggetti in secondo piano appaiono spesso molto più grandi di quelli in primo piano. L’erba e i trifogli sembrano foreste, mentre il letto prosciugato di un fiume diventa il Grand Canyon."
I colori del film sono basati sulle stagioni. Si comincia in prima estate, con verdi caldi e un pò disidratati. A metà della storia le tonalità si fanno ancora più calde e più secche, in sintonia con i colori della vegetazione, l’angolazione della luce solare e l’atmosfera più pesante e polverosa. Quando le foglie degli alberi cominciano a cadere e l’autunno si avvicina, i colori cambiano ancora. Per quel che riguarda i personaggi, gli insetti del circo hanno colori saturi che ne sottolineano la natura clownesca, mentre per le formiche è stata scelta una gamma di toni dal blu alla lavanda, per farle meglio risaltare nel loro ambiente.
La direttrice artistica Tia Kratter, che nel corso della produzione ha realizzato più di trecento schizzi dimostrativi, ha avuto un ruolo basilare nella scelta dell’immagine del film, collaborando anche con il supervisore allo shading Rick Sayre nella ricerca e la creazione degli shader, programmi che permettono di definire l’aspetto delle superfici elaborando i dati sul colore, le texture, il grado di riverbero e di irregolarità. E’ stato uno dei disegni della Kratter che ha convinto Lasseter a usare l’opalescenza come elemento cardine dell’immagine del film.
"L’opalescenza è molto diffusa in natura – osserva la direttrice artistica – e per noi è stato un elemento trainante nella scelta dell’immagine del film. Abbiamo studiato la struttura dei fili d’erba e delle foglie e l’effetto che producono quando sono esposti alla luce. Sharon Calahan e i tecnici delle luci hanno fatto un ottimo lavoro nel visualizzare le nostre idee con gli strumenti del computer."
"Appena iniziata la lavorazione del film mi sono costruita una pressa -continua la Kratter -. Ogni volta che trovavo foglie, fiori o fili d’erba in diverse fasi di crescita ce li mettevo dentro e poi li attaccavo alla porta del mio ufficio. Così, quando avevamo bisogno di vedere come si trasformava una foglia dalla primavera all’autunno, mi bastava andare alla porta della mia stanza e staccare una foglia pressata per avere già una buona dose di informazioni. E’ stata un’idea molto utile. Abbiamo anche prelevato campioni di terra da aree diverse che raccoglievamo in piccole scatole come materiale di ricerca. Poi li bagnavamo d’acqua e facevamo altri esperimenti per osservarne la reazione in circostanze diverse. Esaminavamo tutto con la lente d’ingrandimento, perché parte del nostro lavoro era quella di standardizzare l’aspetto della terra. C’erano anche parecchie pietre sparse per la stanza, per poterne studiare l’aspetto e la struttura."
Un altro dei traguardi raggiunti dal film è la ricchezza di dettagli che gli autori hanno dato agli oggetti, alle ambientazioni e ai personaggi. "In ‘Toy Story’ – fa notare Lasseter – non ci avvicinavamo mai troppo alle superfici, tranne forse che a quella del pavimento. Con questo film, invece, ambientato in un mondo popolato da minuscole creature, era chiaro che avremmo avuto una visione ravvicinata di molte cose, come il terreno, le rocce, i fili d’erba, le foglie e così via, e questo ha enormemente alzato il livello di complessità del lavoro."
"Per risolvere la questione delle luci e delle ombre – racconta il supervisore dello shading Rick Sayre – abbiamo dovuto riprogettare radicalmente il programma di illuminazione che avevamo usato finora, e ripensare al modo in cui le superfici rispondono alla luce e la luce interagisce con le superfici. Alla fine abbiamo trovato il sistema per passare i nostri programmi al reparto addetto all’illuminazione e lì hanno effettuato i cambiamenti che ci hanno permesso di ottenere gli effetti di opalescenza e controluce. Queste novità hanno reso il nostro lavoro molto più interessante e hanno consentito alla produzione un maggiore controllo sul risultato finale delle immagini. L’illuminazione ha veramente dato vita ai nostri shader."
"Per noi la sfida più difficile era riuscire a fare interagire le superfici con le luci per poter sperimentare nuove tecniche – spiega la direttrice della fotografia Sharon Calahan -. E per fare apparire gli oggetti traslucidi o in controluce le luci e gli shader dovevano comunicare."
Per molti aspetti, l’illuminazione di "A Bug’s Life – megaminimondo" è una delle più complesse che siano state mai elaborate per un film d’animazione. Ci sono scene con 120 punti di luce, per ognuno dei quali la squadra dei tecnici ha dovuto calcolare ombre e traiettorie.
Giovanni Strammiello

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