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Un cane

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Un cane

Il suo piccolo viso dalla pelle tenera. I suoi piccoli occhi azzurri. Le sue manine lisce. Kiko saltava davanti a lui, abbaiando con voce scura e notturna. Il metallo risuonava come una lama contro una parete di ferro e le giunture non ben oliate cigolavano, cigolavano, cigolavano…
-Mamma…
Il suo piccolo viso dai piccoli occhi azzurri. Concentrati sul suo amico sferragliante e cigolante. Kiko saltava, abbaiando nell’unica vocalità che conosceva, quella metallica, ma le sue giunture cigolavano, cigolavano, cigolavano…
-Mamma…
I suoi piccoli occhi azzurri erano concentrati. Sul suo amico saltellante. La lingua rosso sintetico andava su e giù, su e giù, e non avrebbe fatto altro fino a quando la piccola bocca non avesse detto basta. Le giunture cigolavano, cigolavano, cigolavano…
-Mamma… Kiko non sta bene… Vieni!
Sua madre uscì da uno stanzino in fondo alla stanza. Era giovane, nonostante avesse quasi cinquanta anni.
-Dimmi, tesoro. Cosa c’è?
La sua voce era amorevole, e delicata.
-Kiko sta male. Cigola.
L’occhio attento di sua madre percorsero la superficie lucida di Kiko soppesando attentamente ogni particolare e calcolando pesi, misure, quantità. Il laser individuò subito la giuntura danneggiata. Si alzò e frusciò maglia metallica fino allo stanzino da dove era uscita. Il piccolo viso seguì geometricamente gli spostamenti della madre, gli occhi freddi fissi sul vestito della donna, la sua mente pronta a calcolare ogni minimo ritardo nei passi dietro la porta. Poi lei uscì di nuovo. In mano portava una nuova giuntura. Una nuova giuntura per Kiko.
-Ecco fatto!
Sua madre si alzò da terra e guardò il figlioletto seduto, che guardava Kiko finalmente messo a nuovo.
-Adesso il tuo amico è di nuovo a posto.
I suoi piccoli occhi azzurri non si scomposero, né diedero segni di gioia. La sua voce ronzò nello stanzone bianco al neon d’ovatta:
-Kiko! Salta!
Subito il piccolo essere agitò un mozzicone di coda, si alzò sulle molle posteriori e disse:
-Bau bau bau. Bau bau bau. Bau bau bau…
-Basta! Basta!
Il mozzicone si fermò, le molle posteriori si acquietarono e il piccolo essere tornò immobile, come una statua sottomarina senza visitatori. Un piccolo relitto di metallo e leghe sconosciute.
-Sei contento?
Il piccolo viso porcellanato fece sì, e la boccuccia pronunciò:
-Sì
mentre sua madre usciva dallo stanzone. Sì. Era contento. Il suo Kiko era tornato come prima. Poteva di nuovo fare quello che voleva, con lui. Erano di nuovo soli, nel loro piccolo mondo di metalli e leghe sconosciuti. Soli. Si sentiva arrabbiato. Un’incontenibile rabbia gli salì in corpo mentre guardava il piccolo cane metallico seduto immobile davanti a lui. Accadeva spesso che si sentisse così. Era sempre chiuso in quella stanza metallica, e il suo solo compagno era Kiko. Istintivamente lo prese e lo scaraventò contro la parete. Il piccolo essere rimbalzò come una molla e ricadde a terra. Lo riprese e lo lanciò contro la parete opposta. Si udì solo un lieve rumore di ferraglia, e il cane ricadde a terra. Non c’erano graffi di sorta sulla sua pelle metallica, e il bambino cominciava a prenderci gusto. Era sempre così: verso il secondo lancio, iniziava a divertirsi. Kiko era il suo unico sfogo. Cominciò a prenderlo a calci, con i suoi piedini rivestiti di argento. Il cane sembrava attutire i colpi, e rimaneva immobile, silenzioso, a prendersi quella strana vendetta. Alla fine , stanco, si sedette. Guardò Kiko che lo guardava muto, i grossi occhi metallici inespressivi. Anche quel giorno si era divertito.
La porta si spalancò ed entrarono sua madre e suo padre. Dietro di loro, un gruppo di persone che non aveva mai visto. Una di esse era vestita con un lungo camice bianco, e parlava lentamente.
-Signora-, stava dicendo, -signora, le assicuro che è la prima volta da tanti secoli che compare un essere del genere sul nostro pianeta. Li credevamo estinti da secoli.
Le sue piccole orecchie ascoltavano, avide.
-Crede che possa essere pericoloso?
-No. L’uomo che me l’ha portato ha detto di averlo disinfettato, ed io stesso l’ho immerso in una soluzione antisettica. Non c’è da preoccuparsi.
Le facce intorno fissavano curiose un oggetto scuro fra le braccia di mia madre. L’oggetto era peloso, e sembrava vivo. Egli non aveva mai visto nulla del genere.
-Tesoro.
La voce metallica di sua madre risuonò nel silenzio profondo:
-Tesoro. Guarda cosa ti abbiamo portato!
Ella poggiò a terra l’oggetto, ed esso iniziò a muoversi intorno a sé, cercando indizi, indagando su quell’ambiente strano in cui si trovava. Sembrava intimorito. Egli lo osservava con curiosità. Si avvicinò a lui e lo toccò. Era morbido. Non aveva mai sentito una superficie del genere.
-Ti piace?-, chiese ancora la voce di sua madre.
La piccola bocca disse:
-Sì.
Il gruppo di persone si allontanò parlando sommessamente. Egli li seguì con lo sguardo fino a quando furono scomparsi alla vista. Poi si concentrò sull’oggetto. Era piccolo, marrone, peloso. Sembrava che cercasse qualcosa, mentre camminava intorno, vicino alle pareti bianche della stanza. Girava girava girava intorno a lui. Kiko era immobile. Pareva non vederlo. Improvvisamente, l’oggetto gli venne vicino e lo annusò. Egli sentì la superficie umida del naso sfiorargli il sensore del braccio. Si scostò, e l’oggetto lo guardò interrogativamente. Egli pensò che assomigliava molto a Kiko. In effetti, pareva quasi identico, se non fosse stato per quella strana superficie pelosa, e per quegli occhi mobili, che si spostavano velocemente da un lato all’altro della stanza. Per il resto, era identico. Si avvicinò al nuovo oggetto. Quello tirò fuori una lingua rossa, penzolante. Egli lo prese fra le braccia, e l’oggetto cercò di passargli la lingua rossa sul viso. Non gli badò e lo scaraventò contro la parete. Kiko non avrebbe detto nulla, pensò, sentendo il grido dell’oggetto che ricadeva a terra. Lo prese di nuovo in braccio e lo lanciò contro l’altra parete, e di nuovo l’oggetto peloso gridò un poco. Ricadde a terra con un tonfo sordo. Kiko avrebbe fatto un altro suono, pensò lui mentre cominciava a prenderlo a calci, furiosamente. Era irritato! Perché quello stupido oggetto gridava così? Avrebbe dovuto stare zitto, come faceva Kiko! Lui non era come Kiko! Non era divertente! Non si rimetteva in piedi, non rimbalzava contro le pareti, ma gridava, sempre più forte, e cos’era quel rumore secco che udiva ogni volta che lo colpiva con un calcio? Cattivo! Cattivo! Continuò a colpire l’oggetto peloso, forte, con tutta la forza che aveva nel suo piccolo corpo, fino a quando, con un ultimo grido, il piccolo oggetto non tacque. Allora egli si fermò. Pensò, hai finito di lamentarti! Disse:
-Alzati!
L’oggetto rimase immobile, scomposto.
-Alzati!-, ripeté. Nulla. Esso giaceva a terra, la piccola testa arrovesciata indietro, la lingua rossa immota e orribile. Egli lo fissò. Vide un filo rosso uscirgli dalla bocca. Si chinò. Lo toccò. Era liquido e appiccicoso. Sul suo dito c’era una piccola goccia rossa rotonda e lucida. Rimase a fissarla, come incantato. Poi fissò ancora l’oggetto immobile.
-Cattivo stupido oggetto peloso…
Guardò Kiko. Esso non lo avrebbe mai tradito. Esso avrebbe sempre risposto ai suoi richiami. Esso sarebbe stato sempre pronto. Piccolo, fedele Kiko! Così ubbidiente. Il cane metallico lo guardava immobile nei suoi occhi fissi.
-Salta!
Kiko saltò. Saltò molto vicino all’oggetto peloso, che rimaneva immobile, le zampe irrigidite, il pelo sporco di sangue, i piccoli occhi immersi nel freddo della morte.

Angie D.

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