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La storia del Brucimondo

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La storia del Brucimondo

Dedicato alla MEMORIA





Grazie per avermi ispirato a:

Cesare Zavattini, il pittore piacentino Foppiani, i CSI, Cees Nooteboom, Guido äl sord, gli inquilini delle "case di cura", il Po e la pianura Padana.


grazie per l’asserragliato contributo "partigiano" a:

Roberto Rossellini, Pupi Avati, l’amico sincero Valerio Forti, Giuseppe Bucalo, lo zio paterno Leonardo Cinà, il pittore ferrarese Legnani, Giuseppe Verdi, Berto Boscolo Morosini, agli stessi.




La foschia avvolge. La terra brumosa comprime, schiaccia è gelida come una fucina d’arme.
Ascolto i miei passi che mi aprono la strada illuminando i solitari carri armati.
"Brucimondo!" e faccio qualche passo "Brucimondo!" sono quasi arrivato alla macchina del tempo.
"Ma chi è che al vòsa?"
Ed eccoli uscire dal loro nascondiglio, si tenevano allo scuro per tentarci: "Bolscevichi, ore dodici, ritirata! Ritirata!"
"Ma, chi el lelu?"
"Ui! cus fät?"
Sono veloce, ma la terra è troppo bassa, mi attaccano gli aerei "Le mie radici sono al monte/i miei rami son le foci/il mio frutto è l’acqua dolce/ quell’acqua benedetta/ho una foglia che sta male/ ed è tutto il mondo intero."
Adesso cado, mi raggomitolo, fingo d’essere ferito o meglio morto, e se ne andranno.
Precipitano pesanti i ricordi, s’insidiano tra le mani, aggrovigliano il presente che addomesticato cresce, senza coscienza, senza coerenza, come allora.
Riprendo il cammino verso l’osteria dal pavimento in pietra rossa.
"ecco che arriva il cesare."
La solita scodella bianca, la solita gavetta nella quale bere.
Gli altri soldati si riposano, si divertono, non si accorgono che il cielo attraversa la terra lasciandoci attendere nel mezzo.
"Io Mussolini l’ho conosciuto veramente…" un altro sorso "…è stato quando la chiesa ed il socialismo si trovavano fianco a fianco."
"Si! Iandevan dabrass.Ah!ah!ah!"
"Fu in quell’occasione che vidi i primi caduti: feriti, morti…i lamenti, le grida, i gemiti dei prigionieri nella neve ghiacciata, i corpi arrestati nella loro marcia di morte sulla bianca superficie deserta. Fu allora che persi la fede…lasciavo alle mie spalle moribondi in preda agli animali inselvatichiti." Svuoto il bicchiere.
"Alura trumbèta! Et gnammò finì ad parlé, am fa mal iuricc. Ho anca spes un milion par sta aferi par sait altò bagianed."
"Da presunto eroe ritorno codardo…scusate ho una selvaggia parata da portare avanti. Mi congedo."
Sprofondo nella nebbia, sprofondo nel mio letto che ogni notte mi porta visioni di morte, capitani feriti, madre-padre, e il bordo di quell’ansa dove crepitavano pallottole come quando piove sul Po.
Avevo una donna, una vera donna. Me l’aveva trovata mio padre, dovevamo sposarci, ma non le ho più potuto parlare.
Al mio ritorno, un giorno, la intravidi: stava stretta ad altre persone in un angolo di fossa comune, credo sorridesse, penso mi abbia visto, avevo la divisa ancora sporca di sangue e lei non ha voluto salutarmi.
Non sono sicuro di averla amata, ma mentre ti chiedi dove sei finito o cosa stai cercando
arrivano geloni e stracci rigidi s’addossano, le tue ferite si aprono, le mani di lei tengono stretto il tuo fucile.
Ancora quell’odore di umido.

Gl’alberi sterili rallentano il passo, aggravano il paesaggio acerbo di passioni "Casca il mondo, casca la terra, cadono i nemici e tutti sotto terra".
Veloce, veloce. Passi piccoli, leggeri, veloci. Forza. "Il loro contrattacco è forte, molto forte, bisogna coglierli di sorpresa!"
Sulla sponda destra del fiume hanno abbandonato un campo provvisorio: coperte, alcune provviste, braci ancora calde, devono essere vicini.
"Alura cos fät. At rubarè mia la me roba?"
Una mano pesante, cinque dita avviluppate alla mia spalla, mi avevano catturato "Rosso fiammante, bolscevico a levante."
"Cosa sei dietro dire? Et matt?"
"Ma si Ginetto, al vodat mia cle fora ad testa?"
"Rosso fiammante, bolscevico a levante!"
"Cmat ta ciamat?"
"Unità di produzione Cesare Foppiani. 15627. Cosseria."
"Ah! Cosseria. Et ciucc. Ve con noi ca at ga fe divartì"
Spinto, con le mani legate, sul loro mezzo venivo obbligato a visoni di barbaro umanesimo.
"Alura vot dig che manera at ta ciam?"
"Unita di produzione Cesare Foppiani. 15627. Cosseria."
"Cus’ela Unita di produzione?"
"Cosa at nin frega al sa ciama Cesare. Ghet admandè cmalsa ciama e al ta rispost. Cesare"
"E in doa stet Cesare?"
"15627. Cosseria."
"Eh. Dag anca al codice fiscale." Si muove verso di me "dam l’esca, valà bestia"
Non potevo combatterli. Avrei voluto combatterli, come mi avevano istruito, ma non possedevo armi da cemento.
Il mio solo innato dominio come uomo potevo controllare, ma si era mutato in sovversivo, guerrigliero suicida, assassino predestinato.
Ero dunque tornato ad essere il primo uomo.
"Perché provat mia a pesché anca te, at pies mia?"
"To ditt da lassel a stè Ginetto, che chelù al perla mia."
"Mi ricordo che una volta qui ho visto la terra penetrare il cielo…"
" Al perla"
"…proprio in quel punto dove ora è assopito quel tronco. Qui si faceva il bagno."
"Si tal là, brau pinocchietto"
"Tes, mal ricordi anca me. Ag gniva con la me murusa e la so grimma."
"La neve sollevata dal vento oscurava l’orizzonte dove io aggrappato attendevo."
"Qusta le una bala, me ho mei vist azoi fe al bagn d’inveran."
"La guerra era necessaria per formare un mondo nuovo, migliore."
"Ah. Et fatt la guera, lè par qulle cate azze imbariegh."
"Si la guera ad me nonnu, la fat chelù."
Avanzammo lenti, senza più parlare, ammutoliti dalle nostre stesse bocche, finché non ritornammo imbelli da dove eravamo partiti: da noi.
Mi sentivo spremuto, amaro. Cercai tutto il giorno un posto dove riposarmi, quindi mi arrampicai s’una calda parete della mia Casa Triste.
Un raggio di sole colpiva esattamente la mia schiena, nutrendo il mio corpo, rigenerando il mio flusso sanguigno. "Chi sempre misero/chi a lei s’affida/chi le confida/mal cauto il core./Ormai non sentesi/ felice appieno/chi su quel seno/nutriva amore."
E’ ora che i fantasmi in uniforme avanzino in prima linea, è il momento di sferrare l’offensiva.
Gl’ordini sono di dislocarci lungo il gomito del fiume per una rapida ricognizione atta a stabilire i punti improduttivi da affondare.
"…ed il pensier…ed-il-pensier."
La città è asserragliata, da carri armati ed igienici burocrati. Le carrozze per i prigionieri stanno arrivando: da ogni gabbia esce fumo e sudore, dalle pareti filtrano spettri.
I loro corpi sono sorretti dalle loro stesse ombre, che si agitano, funeste, sventolando improbabili nomi di padri.
Non si riconoscono tra loro, ma quell’avanzare silenzioso, perso in differenti epoche, li possiede uno all’altro.
Nel divenire della mia marcia in postura, mi accorsi di un particolare fuori ambiente:"Non lo sai che c’è il coprifuoco?"
"Mi scusi? Come ha detto?"
"Coprifuoco! Bolscevichi! Rosso. Fiammante! Tatatatatat! Caput!"
"Elena, lascialo perdere. E’ solo un matto…Tieni. Per oggi rinuncio al caffè, ma vai lontano."
Quell’austera monacale voce stava cercando di comprare il mio silenzio, nel suo profumo di pietà si celava un mio antenato. La fissai a lungo.

Non sopportavo quell’odore di giovenca ereditiera, mi entrava nella testa procurandomi forti dolori addominali.
La vidi cadere in un pensiero tumultuoso che le si aggrappava al bordo degli occhi, la pregai, la invocai, ma non volle più alzarsi.
Me ne andai.
Il cappotto si stringeva a me, i soldati avevano i miei stessi lineamenti e non uno si voltava le spalle. Eravamo di nuovo in cammino sul bianco suolo felpato, dove la luce t’abbaglia violenta. Profonde buche ci cullavano la notte, una posizione che ti modella custode a 180°: avanti, destra, sinistra, ma ciò che ti succede alle spalle è completamente ignoto, sconosciuto.
Devi intuire quello che hai tuoi occhi è nascosto, devi usare altri sensi in tuo possesso, cercare di non farti ingannare.
Cos’è questo rumore? "Chi é?"… Sono le foglie che cadono stanche, la terra poi le digerisce e ne fa altra terra.
Da questo punto del fiume s’intonano canti che attraversano gli Urali. "Chi sempre misero/chi a lei s’affida/chi le confida/mal cauto il core./Ormai non sentesi/ felice appieno/chi su quel seno/nutriva amore./La donna è mobile/qual più mal vento/tutto l’accento ed il pensier."
Discendo da queste liriche: concepito in una terra che oggi vedo partorire il cielo.
La mia funzione è terminata, ritorno nelle acque da cui provengo: l’aria e la luce si sono incontrate, una nuova guerra è vicina.

Barbara Burgio

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