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Occhio a Peter

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Occhio a Peter

Ok! La stagione cinematografica è terminata. Le sale cinematografiche chiudono i battenti, e per i patiti di cinema si prospettano almeno due mesi di paranoia da piccolo schermo. Niente panico. Grazie all’aumento dei cinema all’aperto e alla numerosa offerta distributiva di pellicole di recente uscita, in alcune videoteche, lo spettatore-dipendente1 può trovare conforto anche nella stagione più calda. Si possono rinvenire pellicole perse durante l’anno, o rivedere i film che più ci hanno colpito, magari per costatarne la buona prima impressione, oppure la loro sopravvalutazione.
Il mio consiglio è di andare a recuperare un personaggio che, se non proprio ai livelli stratosferici dell’oscar Gwyneth Paltrow2, è stato anch’esso protagonista della stagione appena conclusa, nella felice doppia veste di regista e attore.
Sto parlando di Peter Mullan, la punta dell’iceberg di un movimento scozzese che ha investito agli inizi degli anni ’90 la Chemical Generation, costruendo i propri spazi alternativi di creatività e di emozione collettiva nel connubio fuorilegge tra nuova dance ed ecstasy.
In campo letterario Irvine Welsh è solo il capo di una lunga cordata di nuovi autori, e suo contraltare nel cinema è Danny Boyle, il cui connubio ha sancito la nascita della pellicola culto "Trainspotting". E guarda caso, chi compare fra gli attori di "Trainspotting" e del precedente "Piccoli Omicidi Fra Amici"? Proprio Peter Mullan, vincitore al Festival di Cannes 1998 del Premio come migliore attore con "My Name Is Joe", ed al Festival di Venezia sempre 1998 del Premio della Settimana della Critica come regista di "Orphans".
"My Name Is Joe" è il film di Ken Loach, uno dei maggiori protagonisti del cinema inglese, che con questa pellicola, dopo la parentesi di "Terra e Libertà" e "La Canzone di Carla", ci torna a parlare dei problemi e dei drammi della Working Class inglese. Peter Mullan interpreta Joe, un ex alcolizzato, che tenta faticosamente di uscire dalla sua dipendenza, aiutando i giovani del suo quartiere, organizzando con il suo amico poliziotto Shanks una scalcinata squadra locale di calcio, per tenere d’occhio "i suoi ragazzi", a contatto quotidianamente con la droga e la malavita locale.
In particolare Joe segue da vicino la famiglia di Liam, ex tossicodipendente, sposato con Sabine, strafatta di droga e per questo costretta a prostituirsi, e con un figlio piccolo.
Attraverso di loro conosce Sarha, l’assistente sociale che si occupa della cura del piccolo. Per Joe lei rappresenta la via d’uscita, tornare ad essere un uomo capace di ricominciare ad amare, e costruirsi di nuovo un futuro.
Ma l’ambiente intorno a lui, i problemi di una società che non concede speranze e seconde occasioni, avranno il sopravvento; costretto ad affrontare la battaglia da solo, dovendo attuare delle scelte obbligate che la sua compagna Sarha non sarà in grado di capire ed accettare, Joe potrà solo assistere impotente ai tragici eventi, che il regista annota con crudo realismo senza confortarci di una speranza futura, lasciando tutto in una realtà sospesa.
"Orphans", al contrario del film di Ken Loach, vive in una dimensione quasi onirica. Un evento funesto, apre il film: la morte di una madre, alla cui veglia partecipano quattro fratelli (Michael, Sheila, Thomas e John).
La circostanza, di per sé triste, ma in ogni caso inevitabile, avvia un’escalation di situazioni terribili e grottesche. E nella notte che precede il funerale, la famiglia rischia ben più della semplice morte della madre, rischia il suo annientamento totale, in un vortice crescente di violenza. L’accoltellamento di Michael, la vendetta di John, l’abbandono di Sheila (la sorella è costretta su una sedia a rotelle), non scuotono Thomas, il fratello maggiore, causa, suo malgrado, degli avvenimenti, attaccato morbosamente al ricordo della madre e alla sua promessa di veglia notturna nella chiesa. Glasgow, ancora scenario di questo film, diventa una sorta di terribile inferno, dove fantasmi che grondano sangue, personaggi in preda a rabbia e violenza, famiglie che si disgregano, sono spazzati dalla furia distruttrice della natura. E la bara, la mattina collocata al centro di una chiesa scoperchiata e mezza crollata, diventa la testimone di una follia familiare collettiva.
Peter Mullan, dimostra numeri anche come regista con questa sua opera prima, coniugando, in maniera positiva, le situazioni tragiche ed ironiche di un Danny Boyle, con le ambientazioni squallide e disperate di un tipico ambiente sociale e familiare che caratterizzano il cinema di Ken Loach.
Quindi occhio a Peter. Può essere il personaggio cinematografico del futuro, ed insieme all’intramontabile Sean Connery, ed al lanciatissimo Ewan McGregor, può portare un altro pezzo di Scozia alla ribalta internazionale, con la sua matura faccia da simpatica canaglia che potreste incontrare in ogni pub di Glasgow.


Andrea Leonardi

1
ma anche il libero professionista…

2
Che due palle! Ma è poi così carina come si dice? Non vi siete stufati della sua espressione un po’ così? Non è che diventa la nuova Julia Roberts?

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