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Una questione di intreccio politico

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Una questione d’intreccio politico

Nonostante la sua cattura da parte della Turchia il fantasma del leader curdo Abdullah Ocalan non ha smesso di aggirarsi per l’Europa. Dall’isola dei dannati, la prigione nella base militare sul Mar di Marmora, il capo del PKK continua a scardinare gli equilibri delle alleanze internazionali, smascherare oscuri disegni, a destabilizzare l’ordine pubblico, riportare in auge problemi di coscienza sui diritti umani, i reati politici, la pena di morte e infine riportare al centro della scena mondiale il destino del suo popolo colpevolmente trascurato e perseguitato. Un vero e proprio ginepraio, un intreccio di gravi questioni non solo politiche, ma anche etiche. Il suo clamoroso arresto ha provocato dimostrazioni patriottiche in una Turchia che si sente ormai vincitrice su tutta la linea, e d’altra parte proteste clamorose del popolo curdo:quindici milioni di oppressi sparsi tra Turchia, Iran, Iraq, Siria, Armenia, e molti paesi d’Europa. Riaffiora ancora una volta lo spettro del terrorismo contro gli interessi di Ankara, l’America, il grande nemico di sempre che stavolta si è schierata dalla parte dei turchi, della Grecia, accusata di aver venduto Ocalan, di Israele, sospettata di tramare nell’ombra e dell’Europa attonita e indecisa su ogni mossa. Solo un processo equo potrebbe evitare un degenerare della situazione, ma già dai primi passi la Turchia ha dimostrato di non voler scendere a nessun compromesso. Il paese ha infatti già impedito l’ingresso agli avvocati di Ocalan senza fornire spiegazioni plausibili, inoltre non ammetterà al processo, almeno da quanto risulta dalle ultime dichiarazioni, osservatori internazionali. In tutta questa questione non bisogna certo dimenticare che non possiamo trasformare Ocalan in un "sant’uomo" ingiustamente accusato, è pur sempre stato un leader "poco raccomandabile", neanche rappresentativo di tutta la causa curda, che la Turchia accusa di aver ucciso trentamila martiri, e certo non si potrà negare nel suo passato episodi oscuri sull’argomento. Non possiamo sorvolare sulla sua ideologia vetero-marxista, sulla ferocia delle sue azioni militari, sulle sue vendette contro i curdi non allineati e infine sui traffici di eroina proveniente dai santuari del PKK nella valle della Bekoa. Nonostante tutte queste ombre che gravano sulla figura di Ocalan il problema reale è che per lui si profila all’orizzonte la possibilità dell’impiccagione, delle pena di morte quindi, certo è dal 1984 che la Turchia non esegue più una condanna a morte, ma quest’uomo è il nemico numero uno, l’uomo che ha cercato di mutilare la nazione ed è una questione di orgoglio nazionale punirlo in maniera esemplare.Quel che è successo in questa vicenda può essere semplicemente descritto come un "intreccio politico internazionale" che chiama in causa anche il nostro governo. La saga di Ocalan comincia la scorsa estate quando egli è stato allontanato anche dalla Siria, che non voleva problemi con la Turchia, e ha iniziato la sua peregrinazione presso i paesi ideologicamente più sensibili alla sua causa. Per prima è toccato alla Russia che l’ha ospitato ma immediatamente lo ha cacciato quando Stati uniti e Turchia hanno minacciato un sostanzioso taglio alla sua economia. Il premier russo Primakov aveva prospettato per Ocalan due soluzioni: la prima era il passaggio in un paese non molto conosciuto, la seconda uno spettacolare approdo in un paese dell’Europa in modo da far risaltare sul palcoscenico internazionale la sua causa. Egli ha scelto quest’ultima, incoraggiato da alcuni appelli della sinistra italiana, ma l’Europa non ha dimostrato altro che indifferenza verso la sua vicenda. La Germania ha dimenticato i trattati di Schengen rinunciando a rivendicare l’estradizione del leader curdo per il mandato di cattura emesso nei suoi confronti dalla magistratura tedesca. Ankara ha boicottato i nostri prodotti, minacciato rappresaglie, è riemerso il pericolo del terrorismo, e anche una semplice partita di Champion’s League fra Galatasaray e Juventus è diventata un caso di Stato. Nel seguito della vicenda l’Italia, oggetto di pressioni da parte della Casa Bianca che avrebbe gradito la consegna diretta ai turchi, si è sottratta ad ogni responsabilità quando il rivoluzionario è sparito agli occhi dell’opinione pubblica imbarcandosi su un Falco 900 della Snam. A questo punto la sua cattura è diventata un complesso intreccio di interessi fra alleati storici (Stati Uniti e Turchia), alleati segreti (Turchia e Grecia) con la complicità di una comparsa occasionale, il Kenia. Facilitando la cattura di Ocalan a Nairobi, gli Stati Uniti hanno consolidato i legami con la Turchia, che mette a loro disposizione la base aerea di Incurlik nelle missioni dell’aviazione americana contro le roccaforti di Saddam. Collaborando con la Turchia, Israele ha stretto con essa i rapporti di cooperazione militare e ha contribuito all’ultimo isolamento di Saddam Hussein. Più difficile da comprendere il ruolo della Grecia che ha un ampio contenzioso con la Turchia e non ha mai nascosto una simpatia per la causa di Ocalan, il primo ministro greco avrebbe ceduto all’insistenza degli Stati Uniti ottenendo in cambio garanzie sull’ingresso nell’unione europea di Cipro, avversato dalla Turchia. A operazione conclusa tutti si sottraggono alle loro responsabilità. La Grecia sostiene di aver avvertito Ocalan di non muoversi dalla sua residenza, i kenioti negano l’intervento dei loro poliziotti. Come ha gestito il nostro governo la questione Ocalan? Sicuramente ha esperito tutta la formalità necessaria, certo tante erano le strade possibili: concedere al leader curdo lo status di rifugiato politico, espellerlo tout court, estradarlo in Turchia, ma solo per i reati che non prevedevano la pena di morte o infine, processarlo in Italia. Ogni scelta comportava un rischio, accontentare la sinistra e concedere lo status di rifugiato significava far precipitare la crisi diplomatica con Ankara, l’accontentare i turchi avrebbe scatenato la protesta curda. Per non sbagliare il governo ha scelto di non scegliere, prima ha accolto se non addirittura accompagnato Ocalan nel nostro paese, poi lo ha ospitato nella villa romana e infine lo ha allontanato per non dire cacciato. Comunque qualunque decisione avessimo preso la situazione di Ocalan sarebbe stata sicuramente migliore dell’attuale. E’ doveroso quindi difendere quest’uomo dalla vendetta di Ankara e battersi per i diritti del popolo curdo, ma la vicenda di Ocalan insegna anche che è stato un errore scambiare così a lungo il capo del PKK per un Garibaldi o un Arafat e vedere in lui l’unico autentico rappresentante della causa curda.

Francesca Sessa

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