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Tra Mondialità e Globalizzazione

27 min read

Tra Mondialità e Globalizzazione:
la IV Guerra Mondiale è
scoppiata2!

"Se non ti fosse possibile avere e la ragione e la forza,
scegli sempre la ragione
e abbandona al nemico la forza…"


Qualche anno fa, durante un workshop regionale in Lombardia3 che si proponeva di affrontare in una intensa due giorni di lavori diversi temi inerenti alla globalizzazione, essendo il sottoscritto chiamato ad offrire ai presenti delle definizioni di "mondialità" e "globalizzazione" propose le seguenti, maturate tanto da studio accademico quanto da esperienza vissuta ai quattro angoli del pianeta:
  • mondialità è quella sensibilità, quell’atteggiamento, quella propensione della persona che si declina in prassi di vita quotidiana e concreta nei rapporti con i soggetti (persone fisiche e giuridiche, individuali e sociali) altri da sé a prescindere dalla localizzazione spazio-temporale;
  • globalizzazione è quella prassi di soggetti (persone fisiche e giuridiche, individuali e sociali) che, a prescindere dalla localizzazione spazio-temporale, influenza, regola e dirige i comportamenti, le propensioni, le abitudini delle persone.
    Queste, a grandi linee, le definizioni che si possono dare dei due volti del fenomeno che sta coinvolgendo tutto il pianeta e che, per alcuni, presenta tutti i caratteri di una vera e propria guerra, anzi potrebbe divenire la "IV Guerra Mondiale"!
    Lasciata ai libri di storia la I Guerra Mondiale, la Grande Guerra, che tra il 1914 ed il 1918 vide i Paesi europei confrontarsi tra di loro e con la modernità uscendo dal Romanticismo risorgimentale e dalla Belle Époque; la II, che si estende veramente a tutti i territori legati in qualche modo alle grandi potenze, toccando quindi anche l’Africa e l’Asia, consegnata a critici e politologi, per i riflessi che, ancor oggi, proietta sulla vita di tutti i giorni; la III, la Guerra Fredda, silenziosa ma non per questo meno mortifera, conclusasi con clamore e soddisfazione con la vittoria del bene (?), rappresentato dal sistema democratico-liberal-capitalista eurostatunitense, sul male (?), il sistema totalitario-socialista sovietico. Ed ecco che già qui non sembra corretto impiegare termini che solitamente si incontrano ma di cui abbiamo troppo abusato (e che, quindi, eviteremo): per esempio, sistema occidentale in contrapposizione al sistema orientale, ma ricordiamo che Paesi quali il Messico e l’Algeria possono sicuramente dirsi occidentali rispetto al Giappone e all’Australia senza per questo poter vantare un sistema economico e politico similare a quelli che tali definizioni significano; anche la classificazione democratici-totalitari, risulta abbastanza limitativa se si considerasse la vera valenza del termine democrazia e, di conseguenza, il suo contrario, ma rischieremmo di allontanarci troppo dall’argomento che ci interessa.
    E arriviamo poi al conflitto che oggi ci coinvolge tutti, il IV: forse meno cruento dei precedenti, forse meno militarizzato, forse solo inventato dalla fantasia di qualche romanziere di fantapolitica e abilmente impiegato da personaggi della scena mondiale per far parlare di sé. Forse …
    La IV Guerra Mondiale, quella dei macrosoggetti economici contro tutto ciò che possa opporsi al proprio dominio del mondo!
    Detta così può apparire una farneticazione apocalittica, ma lasciamoci accompagnare dalla lucida e viva analisi geo-politica condotta dal Subcomandante Marcos4, e percorriamo insieme alcuni elementi che ci portino a comprendere il fenomeno da un punto di vista più tecnico.
    "Il neoliberismo impone la distruzione delle nazioni e dei gruppi di nazioni per fonderle in un solo modello. Si tratta dunque proprio di una guerra planetaria, la peggiore e la più crudele, che il neoliberismo conduce contro l’umanità. Eccoci davanti ad un puzzle. Per ricostruirlo, per comprendere il mondo d’oggi, mancano molti pezzi. Se ne possono tuttavia ritrovare sette per poter sperare che questo conflitto non condurrà alla distruzione dell’umanità. Sette pezzi per disegnare, colorare, ritagliare e tentare di ricostruire, assemblandoli ad altri, il rompicapo mondiale5".
    Marcos propone i seguenti pezzi per costruire questo puzzle global-apocalittico, o visto che siamo nell’era degli neologismi globalittico:
    1.
    il primo, rappresentato da un simbolo monetario (al pari sarebbero valsi ¥, € o £) indica la concentrazione della ricchezza e la ripartizione, o meglio l’avanzamento, della povertà nel mondo globalizzato;
    2.
    il secondo, un semplice triangolo, individua la globalizzazione dello sfruttamento, parallela alla globalizzazione dei mercati finanziari e degli investimenti, attraverso una piramide sociale;
    3.
    il terzo pezzo di questo puzzle è un cerchio, simbolo dell’incubo strisciante nella nostra società, quello delle grandi migrazioni (che qualcuno ha definito già di dimensioni bibliche, altri più drasticamente "invasioni") e dei meccanismi sottesi di distruzione-spopolamento, ricostruzione-riorganizzazione;
    4.
    il quarto pezzo è un rettangolo che vuole simboleggiare uno specchio ove internazionalizzazione della finanza e generalizzazione del crimine volta a volta possono essere realtà o riflesso di uno stesso fenomeno economico;
    5.
    il pezzo successivo è un pentagono il quale sembra porsi, e porci, la domanda "come è possibile che un potere illegittimo eserciti una forza legittima?", e qui i riferimenti espliciti sono alle sempre più numerose operazioni di polizia internazionale, quasi da supergendarme dell’umanità, che gli Stati Uniti si arrogano il diritto di compiere in qualsiasi angolo del mondo, anche non richiesti, senza comunque badare di assoggettarsi a quel sistema di diritto internazionale che essi ritengono di tutelare e ripristinare in caso di altrui violazioni;
    6.
    il sesto pezzo è uno scarabocchio, un pasticcio se vogliamo, che rappresenta il gap esistente tra la megapolitica cui la globalizzazione di mercati ed economia obbliga i soggetti pubblici e privati che vi partecipano e le dimensioni ridottissime, Marcos parla di nani, cui i grandi Stati di una volta si sono oramai ridotti, non più veri protagonisti della politica mondiale ma quasi comparse accanto alle vere stars, le multinazionali;
    7.
    l’ultimo pezzo è, in maniera stilizzata, una sacca che si può riempire, e nello specifico rappresenta le sacche di resistenza che, con tutte le specificità che possono assumere nei diversi contesti sociali, culturali ed economici del nostro tempo, si creano e continueranno a crearsi per opporsi a questo o quello stato di cose, sacche di resistenza intelligenti e pronte, formate ad impiegare le stesse armi del "nemico" volendo, ma anche capace di sbalordire con mosse a sorpresa.
    Davanti a questa realtà così eterogenea, si può pensare di essere colti da schizofrenia e lo stesso Subcomandante Marcos riconosce che proprio "questo è il problema: la globalizzazione ha voluto assemblare pezzi che non si possono incastrare […]. Per questa ragione […] è necessario far sorgere un mondo nuovo. Un mondo che possa contenere molti mondi, che possa contenere tutti i mondi6".
    Io personalmente, con tutta la stima che provo per El Sup, come amichevolmente chiamano Marcos le persone che lo conoscono, sono meno catastrofista e più fiducioso nelle immense possibilità del genere umano che, al di là di tutto, conserva e conserverà fino alla fine dei tempi il suo naturale istinto di conservazione che gli impedirà di annientarsi e, al contempo, permetterà di vivere una nuova e futura (chissà quanto, chissà quando?) età dell’oro.

  • "…In numerose battaglie, la forza ti permette di ottenere la vittoria,
    ma una guerra non si vince che grazie alla ragione.
    Il potente non potrà mai ricavare la ragione dalla sua forza,
    mentre noi potremo ricavar forza dalla nostra ragione"
    (Subcomandante Marcos, EZLN)


    Davide Caocci


    1
    Appendice

    LE MONDE DIPLOMATIQUE – AOÛT 1997 – Pages 1, 4 et 5

    " POURQUOI NOUS COMBATTONS " La quatrième guerre mondiale a commencé

    PAR LE SOUS-COMMANDANT MARCOS

    LE néolibéralisme, comme système mondial, est une nouvelle guerre de conquête de territoires. La fin de la troisième guerre mondiale, ou guerre froide, ne signifie nullement que le monde ait surmonté la bipolarité et retrouvé la stabilité sous l’hégémonie du vainqueur. Car, s’il y a eu un vaincu (le camp socialiste), il est difficile de nommer le vainqueur. Les Etats-Unis ? L’Union européenne ? Le Japon ? Tous trois ? La défaite de l’" Empire du mal " ouvre de nouveaux marchés, dont la conquête provoque une nouvelle guerre mondiale, la quatrième.
    Comme tous les conflits, celui-ci contraint les Etats nationaux à redéfinir leur identité. L’ordre mondial est revenu aux vieilles époques des conquêtes de l’Amérique, de l’Afrique et de l’Océanie. Etrange modernité qui avance à reculons. Le crépuscule du XXe siècle ressemble davantage aux siècles barbares précédents qu’au futur rationnel décrit par tant de romans de science-fiction.
    De vastes territoires, des richesses et, surtout, une immense force de travail disponible attendent leur nouveau seigneur. Unique est la fonction de maître du monde, mais nombreux sont les candidats. D’où la nouvelle guerre entre ceux qui prétendent faire partie de l’" Empire du bien ".
    Si la troisième guerre mondiale a vu l’affrontement du capitalisme et du socialisme sur divers terrains et avec des degrés d’intensité variables, la quatrième se livre entre grands centres financiers, sur des théâtres mondiaux et avec une formidable et constante intensité.
    La " guerre froide ", la mal nommée, atteignit de très hautes températures : des catacombes de l’espionnage international jusqu’à l’espace sidéral de la fameuse " guerre des étoiles " de Ronald Reagan ; des sables de la baie des Cochons, à Cuba, jusqu’au delta du Mékong, au Vietnam ; de la course effrénée aux armes nucléaires jusqu’aux coups d’Etat sauvages en Amérique latine ; des coupables manoeuvres des armées de l’OTAN aux menées des agents de la CIA en Bolivie, où fut assassiné Che Guevara. Tous ces événements ont fini par faire fondre le camp socialiste comme système mondial, et par le dissoudre comme alternative sociale.
    La troisième guerre mondiale a montré les bienfaits de la " guerre totale " pour le vainqueur : le capitalisme. L’après-guerre laisse entrevoir un nouveau dispositif planétaire dont les principaux éléments conflictuels sont l’accroissement important des no man’s land (du fait de la débâcle de l’Est), le développement de quelques puissances (les Etats-Unis, l’Union européenne et le Japon), la crise économique mondiale et la nouvelle révolution informatique.
    Grâce aux ordinateurs, les marchés financiers, depuis les salles de change et selon leur bon plaisir, imposent leurs lois et leurs préceptes à la planète. La " mondialisation " n’est rien de plus que l’extension totalitaire de leurs logiques à tous les aspects de la vie. Naguère maîtres de l’économie, les Etats-Unis sont désormais dirigés, télédirigés, par la dynamique même du pouvoir financier : le libre-échange commercial. Et cette logique a profité de la porosité provoquée par le développement des télécommunications pour s’approprier tous les aspects de l’activité du spectre social. Enfin une guerre mondiale totalement totale ! Une de ses premières victimes est le marché national. A la manière d’une balle tirée à l’intérieur d’une pièce blindée, la guerre déclenchée par le néolibéralisme ricoche et finit par blesser le tireur. Une des bases fondamentales du pouvoir de l’Etat capitaliste moderne, le marché national, est liquidée par la canonnade de l’économie financière globale. Le nouveau capitalisme international rend les capitalismes nationaux caducs, et en affame jusqu’à l’inanition les pouvoirs publics. Le coup a été si brutal que les Etats nationaux n’ont pas la force de défendre les intérêts des citoyens.
    La belle vitrine héritée de la guerre froide – le nouvel ordre mondial – a été brisée en mille morceaux par l’explosion néolibérale. Quelques minutes suffisent pour que les entreprises et les Etats s’effondrent ; non pas à cause du souffle des révolutions prolétariennes, mais en raison de la violence des ouragans financiers.
    Le fils (le néolibéralisme) dévore le père (le capital national) et, au passage, détruit les mensonges de l’idéologie capitaliste : dans le nouvel ordre mondial, il n’y a ni démocratie, ni liberté, ni égalité, ni fraternité. La scène planétaire est transformée en nouveau champ de bataille où règne le chaos.
    Vers la fin de la guerre froide, le capitalisme a créé une horreur militaire : la bombe à neutrons, arme qui détruit la vie tout en respectant les bâtiments. Mais une nouvelle merveille a été découverte à l’occasion de la quatrième guerre mondiale : la bombe financière. A la différence de celles d’Hiroshima et de Nagasaki, cette nouvelle bombe non seulement détruit la polis (ici, la nation) et impose la mort, la terreur et la misère à ceux qui y habitent, mais elle transforme sa cible en simple pièce dans le puzzle de la mondialisation économique. Le résultat de l’explosion n’est pas un tas de ruines fumantes ou des milliers de corps inertes, mais un quartier qui s’ajoute à une commerciale du nouvel hypermarché planétaire et une force de travail reprofilée pour le nouveau marché de l’emploi planétaire.
    L’Union européenne vit dans sa chair les effets de la quatrième guerre mondiale. La mondialisation a réussi à y effacer les frontières entre des Etats rivaux, ennemis depuis des siècles, et les a obligés à converger vers l’union politique. Des Etats-nations jusqu’à la fédération européenne, le chemin sera pavé de destructions et de ruines, à commencer par celles de la civilisation européenne.
    Les mégapoles se reproduisent sur toute la planète. Les zones d’intégration commerciale constituent leur terrain de prédilection. En Amérique du Nord, l’Accord de libre échange nord-américain (Alena) entre le Canada, les Etats-Unis et le Mexique précède l’accomplissement d’un vieux rêve de conquête : " L’Amérique aux Américains ". Les mégapoles remplacent-elles les nations ? Non, ou plutôt pas seulement. Elles leur attribuent de nouvelles fonctions, de nouvelles limites et de nouvelles perspectives. Des pays entiers deviennent des départements de la méga-entreprise néolibérale, qui produit ainsi, d’un côté, la destruction/dépeuplement, et, de l’autre, la reconstruction/réorganisation de régions et de nations.
    Si les bombes nucléaires avaient un caractère dissuasif, comminatoire et coercitif lors de la troisième guerre mondiale, les hyperbombes financières, au cours de la quatrième, sont d’une autre nature. Elles servent à attaquer les territoires (Etats-nations) en détruisant les bases matérielles de leur souveraineté et en produisant leur dépeuplement qualitatif, l’exclusion de tous les inaptes à la nouvelle économie (par exemple, les indigènes). Mais, simultanément, les centres financiers opèrent une reconstruction des Etats-nations et les réorganisent selon la nouvelle logique : l’économique l’emporte sur le social.
    Le monde indigène est plein d’exemples illustrant cette stratégie : M. Ian Chambers, directeur du Bureau pour l’Amérique centrale de l’Organisation internationale du travail (OIT), a déclaré que la population indigène mondiale (300 millions de personnes) vit dans des zones qui recèlent 60 % des ressources naturelles de la planète. " Il n’est donc pas surprenant que de multiples conflits éclatent pour s’emparer de leurs terres (…). L’exploitation des ressources naturelles (pétrole et mines) et le tourisme sont les principales industries qui menacent les territoires indigènes en Amérique (1). "
    Après viennent la pollution, la prostitution et les drogues.
    Dans cette nouvelle guerre, la politique, en tant que moteur de l’Etat-nation, n’existe plus. Elle sert seulement à gérer l’économie, et les hommes politiques ne sont plus que des gestionnaires d’entreprise.
    Les nouveaux maîtres du monde n’ont pas besoin de gouverner directement.
    Les gouvernements nationaux se chargent d’administrer les affaires pour leur compte. Le nouvel ordre, c’est l’unification du monde en un unique marché. Les Etats ne sont que des entreprises avec des gérants en guise de gouvernements, et les nouvelles alliances régionales ressemblent davantage à une fusion commerciale qu’à une fédération politique.
    L’unification que produit le néolibéralisme est économique ; dans le gigantesque hypermarché planétaire ne circulent librement que les marchandises, pas les personnes.
    Cette mondialisation répand aussi un modèle général de pensée.
    L’American way of life, qui avait suivi les troupes américaines en Europe lors de la deuxième guerre mondiale, puis au Vietnam et, plus récemment, dans le Golfe, s’étend maintenant à la planète par le biais des ordinateurs. Il s’agit d’une destruction des bases matérielles des Etats-nations, mais également d’une destruction historique et culturelle. Toutes les cultures que les nations ont forgées – le noble passé indigène de l’Amérique, la brillante civilisation européenne, la sage histoire des nations asiatiques et la richesse ancestrale de l’Afrique et de l’Océanie – sont corrodées par le mode de vie américain.
    Le néolibéralisme impose ainsi la destruction de nations et de groupes de nations pour les fondre dans un seul modèle. Il s’agit donc bien d’une guerre planétaire, la pire et la plus cruelle, que le néolibéralisme livre contre l’humanité.
    Nous voici face à un puzzle. Pour le reconstituer, pour comprendre le monde d’aujourd’hui, beaucoup de pièces manquent. On peut néanmoins en retrouver sept afin de pouvoir espérer que ce conflit ne s’achèvera pas par la destruction de l’humanité. Sept pièces pour dessiner, colorier, découper et tenter de reconstituer, en les assemblant à d’autres, le casse-tête mondial.
    La première de ces pièces est la double accumulation de richesse et de pauvreté aux deux pôles de la société planétaire. La deuxième est l’entière exploitation du monde. La troisième est le cauchemar d’une partie désoeuvrée de l’humanité. La quatrième est la relation nauséabonde entre le pouvoir et le crime. La cinquième est la violence de l’Etat. La sixième est le mystère de la mégapolitique. La septième, ce sont les formes multiples de résistance que déploie l’humanité contre
    le néolibéralisme.

    PIÈCE NUMÉRO 1: CONCENTRATION DE LA RICHESSE ET RÉPARTITION DE LA PAUVRETÉ
    La figure 1 se construit en dessinant un signe monétaire.
    Dans l’histoire de l’humanité, divers modèles se sont disputé pour proposer l’absurde comme marque de l’ordre mondial. Le néolibéralisme occupera une place privilégiée lors de la remise des médailles. Sa conception du " partage " de la richesse est doublement absurde : accumulation des richesses pour quelques-uns, et de besoins pour des millions d’autres. L’injustice et l’inégalité sont les signes distinctifs du monde actuel. La Terre compte 5 milliards d’êtres humains
    : 500 millions vivent confortablement, 4,5 milliards souffrent de pauvreté. Les riches compensent leur minorité numérique grâce à leurs milliards de dollars. A elle seule, la fortune des 358 personnes les plus riches du monde, milliardaires en dollars, est supérieure au revenu annuel de la moitié des habitants les plus pauvres de la planète, soit environ 2,6 milliards de personnes.
    Le progrès des grandes entreprises transnationales ne suppose pas l’avancée des nations développées. Au contraire, plus ces géants s’enrichissent, et plus s’aggrave la pauvreté dans les pays dits riches.
    L’écart entre riches et pauvres est énorme ; loin de s’atténuer, les inégalités sociales se creusent.
    Ce signe monétaire que vous avez dessiné représente le symbole du pouvoir économique mondial. Maintenant, donnez-lui la couleur vert dollar. Négligez l’odeur nauséabonde ; cet arôme de fumier, de fange et de sang est d’origine.

    PIÈCE NUMÉRO 2: GLOBALISATION DE L’EXPLOITATION
    La figure 2 se construit en dessinant un triangle
    L’un des mensonges néolibéraux consiste à dire que la croissance économique des entreprises produit une meilleure répartition de la richesse et de l’emploi. C’est faux. De même que l’accroissement du pouvoir d’un roi n’a pas pour effet un accroissement du pouvoir de ses sujets (c’est plutôt le contraire), l’absolutisme du capital financier n’améliore pas la répartition des richesses et ne crée pas de travail.
    Pauvreté, chômage et précarité sont ses conséquences structurelles.
    Dans les années 60 et 70, le nombre de pauvres (définis par la Banque mondiale comme disposant de moins de 1 dollar par jour) s’élevait à quelque 200 millions. Au début des années 90, leur nombre était de 2 milliards.
    Davantage d’êtres humains pauvres et appauvris. Moins de personnes riches et enrichies, telles sont les leçons de la pièce 1 du puzzle.
    Pour obtenir ce résultat absurde, le système capitaliste mondial "modernise " la production, la circulation et la consommation de marchandises. La nouvelle révolution technologique (l’informatique) et la nouvelle révolution politique (les mégapoles émergentes sur les ruines de l’Etat-nation) produisent une nouvelle " révolution " sociale, en fait une réorganisation des forces sociales, principalement de la force du travail.
    La population économiquement active (PEA) mondiale est passée de 1,38 milliard en 1960 à 2,37 milliards en 1990. Davantage d’êtres humains capables de travailler, mais le nouvel ordre mondial les circonscrit dans des espaces précis et en réaménage les fonctions (ou les non-fonctions, comme dans le cas des chômeurs et des précaires). La population mondiale employée par activité (PMEA) s’est modifiée radicalement au cours des vingt dernières années. Le secteur agricole et la pêche sont tombés de 22 % en 1970 à 12 % en 1990, le manufacturier de 25 % à 22 %, mais le tertiaire (commerce, transports, banque et services) est passé de 42 % à 56 %. Dans les pays en voie de développement, le tertiaire a crû de 40 % en 1970 à 57 % en 1990, l’agriculture et la pêche chutant de 30 % à 15 % (2).
    De plus en plus de travailleurs sont orientés vers des activités de haute productivité. Le système agit ainsi comme une sorte de mégapatron pour lequel le marché planétaire ne serait qu’une entreprise unique, gérée de manière " moderne ". Mais la " modernité" néolibérale semble plus proche de la bestiale naissance du capitalisme que de la "rationalité" utopique. Car la production capitaliste continue de faire appel au travail des enfants. Sur 1,15 milliard d’enfants dans le monde, au moins 100 millions vivent dans la rue et 200 millions travaillent – ils seront, d’après les prévisions, 400 millions en l’an 2000. Rien qu’en Asie, on en compterait 146 millions dans les manufactures. Et, dans le Nord aussi, des centaines de milliers d’enfants travaillent pour compléter le revenu familial ou pour survivre. On emploie également beaucoup d’enfants dans les industries du plaisir : selon les Nations unies, chaque année, un million d’enfants sont jetés dans le commerce sexuel.
    Le chômage et la précarité de millions de travailleurs dans le monde, voilà une réalité qui ne semble pas à la veille de disparaître. Dans les pays de l’Organisation de coopération et de développement économiques (OCDE), le chômage est passé de 3,8 % en 1966 à 6,3 % en 1990 ; en Europe, il est passé de 2,2 % à 6,4 %. Le marché mondialisé détruit les petites et moyennes entreprises. Avec la disparition de marchés locaux et régionaux, celles-ci, privées de protection, ne peuvent supporter la concurrence des géants transnationaux. Des millions de travailleurs se retrouvent ainsi au chômage. Absurdité néolibérale : loin de créer des emplois, la croissance de la production en détruit – l’ONU parle de "croissance sans emploi ".
    Mais le cauchemar ne s’arrête pas là. Les travailleurs doivent accepter des conditions précaires. Une plus grande instabilité, des journées de travail plus longues et des salaires plus bas. Telles sont les conséquences de la mondialisation et de l’explosion du secteur des services.
    Tout cela produit un excédent spécifique : des êtres humains en trop, inutiles au nouvel ordre mondial parce qu’ils ne produisent plus, ne consomment plus et n’empruntent plus aux banques. Bref, ils sont jetables. Chaque jour, les marchés financiers imposent leurs lois aux Etats et aux groupes d’Etats. Ils redistribuent les habitants. Et, à la fin, ils constatent qu’il y a encore des gens en trop.
    Voilà donc une figure qui ressemble à un triangle, la représentation de la pyramide de l’exploitation mondiale.

    PIÈCE NUMÉRO 3: MIGRATION, LE CAUCHEMAR ERRANT
    La figure 3 se construit en dessinant un cercle.
    Nous avons déjà parlé de l’existence, à la fin de la troisième guerre mondiale, de nouveaux territoires (les anciens pays socialistes) à conquérir, et d’autres à reconquérir. D’où la triple stratégie des marchés : les " guerres régionales " et les " conflits internes " prolifèrent ; le capital poursuit un objectif d’accumulation atypique ; et de grandes masses de travailleurs sont mobilisées. Résultat : une grande roue de millions de migrants à travers la planète. " Etrangers " dans un monde " sans frontières ", selon la promesse des vainqueurs de la guerre froide, ils souffrent de persécutions xénophobes, de la précarité de l’emploi, de la perte de leur identité culturelle, de la répression policière et de la faim, quand on ne les jette pas en prison ou qu’on ne les assassine. Le cauchemar de l’émigration, quelle qu’en soit la cause, continue de croître. Le nombre de ceux qui relèvent du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés a littéralement explosé, passant de 2 millions en 1975 à plus de 27 millions en 1995.
    La politique migratoire du néolibéralisme a davantage pour but de déstabiliser le marché mondial du travail que de freiner l’immigration.
    La quatrième guerre mondiale – avec ses mécanismes de destruction-dépeuplement, reconstruction-réorganisation – entraîne le déplacement de millions de personnes. Leur destinée est d’errer, leur cauchemar sur le dos, afin de constituer une menace pour les travailleurs disposant d’un emploi, un épouvantail de nature à faire oublier le patron et un prétexte pour le racisme.

    PIÈCE NUMÉRO 4: MONDIALISATION FINANCIÈRE ET GÉNÉRALISATION DU CRIME
    La figure 4 se construit en dessinant un rectangle.
    Si vous pensez que le monde de la délinquance est synonyme d’outre-tombe et d’obscurité, vous vous trompez. Durant la période dite de guerre froide, le crime organisé a acquis une image plus respectable. Non seulement il a commencé à fonctionner comme une entreprise moderne, mais il a aussi pénétré profondément les systèmes politiques et économiques des Etats-nations.
    Avec le début de la quatrième guerre mondiale, le crime organisé a globalisé ses propres activités. Les organisations criminelles des cinq continents se sont approprié l’" esprit de coopération mondial " et, associées, participent à la conquête des nouveaux marchés. Elles investissent dans des affaires légales, non seulement pour blanchir l’argent sale, mais pour acquérir du capital destiné à leurs affaires illégales. Activités préférées : l’immobilier de luxe, les loisirs, les médias, et… la banque.
    Ali Baba et les 40 banquiers ? Pis. Les banques commerciales utilisent l’argent sale pour leurs activités légales. Selon un rapport des Nations unies, " le développement des syndicats du crime a été facilité par les programmes d’ajustement structurel que les pays endettés ont été contraints d’accepter pour avoir accès aux prêts du Fonds monétaire international (3) ".
    Le crime organisé compte aussi sur les paradis fiscaux. Il y en a quelque 55 – l’un d’eux, les "les Ca man, occupe la cinquième place comme centre bancaire et possède plus de banques et de sociétés enregistrées que d’habitants. Outre le blanchiment de l’argent sale, les paradis fiscaux servent à échapper aux impôts. Ce sont des lieux de contact entre gouvernants, hommes d’affaires et chefs mafieux.
    Voici donc le miroir rectangulaire dans lequel légalité et illégalité échangent leurs reflets. De quel côté du miroir se trouve le criminel ?
    De quel côté celui qui le poursuit ?

    PIÈCE NUMÉRO 5: LÉGITIME VIOLENCE D’UN POUVOIR ILLÉGITIME ?
    La figure 5 se construit en dessinant un pentagone.
    Dans le cabaret de la globalisation, l’Etat se livre à un strip-tease au terme duquel il ne conserve que le minimum indispensable : sa force de répression. Sa base matérielle détruite, sa souveraineté et son indépendance annulées, sa classe politique effacée, l’Etat-nation devient un simple appareil de sécurité au service des méga-entreprises.
    Au lieu d’orienter l’investissement public vers la dépense sociale, il préfère améliorer les équipements qui lui permettent de contrôler plus efficacement la société.
    Que faire quand la violence découle des lois du marché ? Où est la violence légitime ? Où l’illégitime ? Quel monopole de la violence peuvent revendiquer les malheureux Etats-nations quand le libre jeu de l’offre et la demande défie un tel monopole ? N’avons-nous pas montré, dans la pièce no 4, que le crime organisé, le gouvernement et les centres financiers sont tous intimement liés ? N’est-il pas évident que le crime organisé compte de véritables armées ? Le monopole de la violence n’appartient plus aux Etats-nations : le marché l’a mis à l’encan… Si la contestation du monopole de la violence invoque, non les lois du marché, mais les intérêts de " ceux d’en bas ", alors le pouvoir mondial y verra une agression. C’est l’un des aspects les moins étudiés (et les plus condamnés) du défi lancé par les indigènes en armes et en rébellion de l’Armée zapatiste de libération nationale (EZLN) contre le néolibéralisme et pour l’humanité.
    Le symbole du pouvoir militaire américain est le Pentagone. La nouvelle police mondiale veut que les armées et les polices nationales soient un simple corps de sécurité garantissant l’ordre et le progrès dans les mégapoles néolibérales.

    PIÈCE NUMÉRO 6: LA MÉGAPOLITIQUE ET LES NAINS
    La figure 6 se construit en faisant un gribouillage.
    Nous avons dit que les Etats-nations sont attaqués par les marchés financiers et contraints de se dissoudre au sein de mégapoles. Mais le néolibéralisme ne mène pas seulement sa guerre en " unissant " des nations et des régions. Sa stratégie de destruction-dépeuplement et de reconstruction-réorganisation produit, de surcroît, des fractures dans les Etats-nations. C’est l’un des paradoxes de cette quatrième guerre : destinée à éliminer les frontières et à unir des nations, elle provoque une multiplication des frontières et une pulvérisation des nations.
    Si quelqu’un doute encore que cette globalisation soit une guerre mondiale, qu’il prenne en compte les conflits qui ont provoqué l’éclatement de l’URSS, de la Tchécoslovaquie et de la Yougoslavie, victimes de ces crises qui brisent les fondements économiques des Etats-nations et leur cohésion.
    La construction des mégapoles et la fragmentation des Etats sont une conséquence de la destruction des Etats-nations. S’agit-il d’événements séparés ? Sont-ce des symptômes d’une mégacrise à venir ? Des faits isolés ? La suppression des frontières commerciales, l’explosion des télécommunications, les autoroutes de l’information, la puissance des marchés financiers, les accords internationaux de libre-échange, tout cela contribue à détruire les Etats-nations. Paradoxalement, la mondialisation produit un monde fragmenté, fait de compartiments étanches à peine reliés par des passerelles économiques. Un monde de miroirs brisés qui reflètent l’inutile unité mondiale du puzzle néolibéral.
    Mais le néolibéralisme ne fragmente pas seulement le monde qu’il voudrait unifier, il produit également le centre politico-économique qui dirige cette guerre. Il est urgent de parler de la mégapolitique. La mégapolitique englobe les politiques nationales et les relie à un centre qui a des intérêts mondiaux, avec, pour logique, celle du marché. C’est au nom de celle-ci que sont décidés les guerres, les crédits, l’achat et la vente de marchandises, les reconnaissances diplomatiques, les blocus commerciaux, les soutiens politiques, les lois sur les immigrés, les ruptures internationales, les investissements. Bref, la survie de nations entières.
    Les marchés financiers n’ont que faire de la couleur politique des dirigeants des pays : ce qui compte, à leurs yeux, c’est le respect du programme économique. Les critères financiers s’imposent à tous. Les maîtres du monde peuvent tolérer l’existence d’un gouvernement de gauche, à condition que celui-ci n’adopte aucune mesure pouvant nuire aux intérêts des marchés. Ils n’accepteront jamais une politique de rupture avec le modèle dominant.
    Aux yeux de la mégapolitique, les politiques nationales sont conduites par des nains qui doivent se plier aux diktats du géant financier. Il en sera toujours ainsi… jusqu’à ce que les nains se révoltent.
    Voici donc la figure qui représente la mégapolitique. Impossible de lui trouver la moindre rationalité.

    PIÈCE NUMÉRO 7: LES POCHES DE RÉSISTANCE
    La figure 7 se construit en dessinant une poche.

    " Pour commencer, je te prie de ne point confondre la Résistance avec l’opposition politique. L’opposition ne s’oppose pas au pouvoir, et sa forme la plus aboutie est celle d’un parti d’opposition ; tandis que la Résistance, par définition, ne peut être un parti : elle n’est pas faite pour gouverner, mais… pour résister. " (Tomás Segovia, Alegatorio, Mexico, 1996.)
    L’apparente infaillibilité de la mondialisation se heurte à l’obstinée désobéissance de la réalité. Tandis que le néolibéralisme poursuit sa guerre, des groupes de protestataires, des noyaux de rebelles se forment à travers la planète. L’empire des financiers aux poches pleines affronte la rébellion des poches de résistance. Oui, des poches. De toutes tailles, de différentes couleurs, de formes variées. Leur seul point commun : une volonté de résistance au " nouvel ordre mondial " et au crime contre l’humanité que représente cette quatrième guerre.
    Le néolibéralisme tente de soumettre des millions d’êtres, et veut se défaire de tous ceux qui seraient " de trop ". Mais ces " jetables " se révoltent. Femmes, enfants, vieillards, jeunes, indigènes, écologistes, homosexuels, lesbiennes, séropositifs, travailleurs, et tous ceux qui dérangent l’ordre nouveau, qui s’organisent et qui luttent. Les exclus de la " modernité " tissent les résistances.
    Au Mexique, par exemple, au nom du Programme de développement intégral de l’isthme des Tehuantepec, les autorités voudraient construire une grande zone industrielle. Cette zone comprendra des " usines-tournevis", une raffinerie pour traiter le tiers du brut mexicain et pour élaborer des produits de la pétrochimie. Des voies de transit interocéaniques seront construites : des routes, un canal et une ligne ferroviaire transisthmique. Deux millions de paysans deviendraient
    ouvriers de ces usines. De même, dans le sud-est du Mexique, dans la forêt Lacandone, on met sur pied un Programme de développement régional durable, avec l’objectif de mettre à la disposition du capital des terres indigènes riches en dignité et en histoire, mais aussi en pétrole et en uranium.
    Ces projets aboutiraient à fragmenter le Mexique, en séparant le Sud-Est du reste du pays. Ils s’inscrivent, en fait, dans une stratégie de contre-insurrection, telle une tenaille cherchant à envelopper la rébellion anti-néolibérale née en 1994 : au centre, se trouvent les indigènes rebelles de l’Armée zapatiste de libération nationale.
    Sur la question des indigènes rebelles, une parenthèse s’impose : les zapatistes estiment que, au Mexique, la reconquête et la défense de la souveraineté nationale font partie de la révolution antilibérale.
    Paradoxalement, on accuse l’EZLN de vouloir la fragmentation du pays. La réalité, c’est que les seuls à évoquer le séparatisme sont les entrepreneurs de l’Etat de Tabasco, riche en pétrole, et les députés fédéraux originaires du Chiapas et membres du Parti révolutionnaire institutionnel (PRI). Les zapatistes, eux, pensent que la défense de l’Etat national est nécessaire face à la mondialisation, et que les tentatives pour briser le Mexique en morceaux viennent du groupe qui
    gouverne et non des justes demandes d’autonomie des peuples indiens.
    L’EZLN et l’ensemble du mouvement indigène national ne veulent pas que les peuples indiens se séparent du Mexique : ils entendent être reconnus comme partie intégrante du pays, mais avec leurs spécificités. Ils aspirent à un Mexique rimant avec démocratie, liberté et justice. Si l’EZLN défend la souveraineté nationale, l’armée fédérale mexicaine, elle, protège un gouvernement qui en a détruit les bases matérielles et qui a offert le pays au grand capital étranger comme aux narcotrafiquants.
    Il n’y a pas que dans les montagnes du Sud-Est mexicain que l’on résiste au néolibéralisme. Dans d’autres régions du Mexique, en Amérique latine, aux Etats-Unis et au Canada, dans l’Europe du traité de Maastricht, en Afrique, en Asie et en Océanie, les poches de résistance se multiplient.
    Chacune a sa propre histoire, ses spécificités, ses similitudes, ses revendications, ses luttes, ses succès. Si l’humanité veut survivre et s’améliorer, son seul espoir réside dans ces poches que forment les exclus, les laissés-pour-compte, les " jetables ".
    Cela est un exemple de poche de résistance, mais je n’y attache pas beaucoup d’importance. Les exemples sont aussi nombreux que les résistances et aussi divers que les mondes de ce monde. Dessinez donc l’exemple qui vous plaira. Dans cette affaire des poches, comme dans celle des résistances, la diversité est une richesse.

    Après avoir dessiné, colorié et découpé ces sept pièces, vous vous apercevrez qu’il est impossible de les assembler. Tel est le problème : la mondialisation a voulu assembler des pièces qui ne s’emboîtent pas.
    Pour cette raison, et pour d’autres que je ne peux développer dans ce texte, il est nécessaire de bâtir un monde nouveau. Un monde pouvant contenir beaucoup de mondes, pouvant contenir tous les mondes.

    SOUS-COMMANDANT MARCOS.
    * Armée zapatiste de libération nationale (EZLN), Chiapas, Mexique.

    (1) Entretien avec Martha Garcia, La Jornada, 28 mai 1997.
    (2) Ochoa Chi et Juanita del Pilar, Mercado mundial de fuerza de trabajo en el capitalismo contemporáneo, UNAM, Economia, Mexico, 1997.
    (3) La Globalisation du crime, Nations unies, New York, 1995.

    LE MONDE DIPLOMATIQUE – AOÛT 1997 – Pages 1, 4 et 5
    http://www.monde-diplomatique.fr/1997/08/MARCOS/8976.html
    TOUS DROITS RÉSERVÉS © 1999 Le Monde diplomatique.


    2
    Il titolo riprende un articolo apparso nell’agosto del 1997 su Le Monde Diplomatique a firma del Subcomandante Marcos, Pourquoi nous combattons – La quatrième guerre mondiale a commencé, di cui si intendono presentare stralci e commenti.

    3
    Cfr. Atti e materiali del Workshop R/S, AGESCI Lombardia, Mogli e buoi dei paesi tuoi, Milano, marzo 1998.

    4
    Il Subcomandante Marcos è a capo dell’E.Z.L.N. (Esercita Zapatista di Liberazione Nazionale); dal 1° gennaio 1994 vive una particolare forma di resistenza armata nel Chiapas, Stato nel Sud del Messico al confine con il Guatemala, per la rivendicazione dei diritti delle popolazioni indigene e delle classi più povere del Paese.

    5
    Cfr. articolo in Appendice, libera traduzione a cura dell’Autore.

    6
    Cfr. articolo in Appendice, libera traduzione a cura dell’Autore.

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