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Un pasto notturno

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Un pasto notturno

Il sacerdote predicava dall’alto del suo pulpito. Era un uomo attraente, alto, magro e aveva uno strano volto. I suoi lineamenti e il suo pallore facevano piuttosto pensare ad un vampiro che ad un servo di Dio. Soprattutto i suoi occhi colpivano, il suo sguardo era indefinibile quando la sua attenzione veniva catturata da qualcosa o da qualcuno, aveva un qualcosa di torbido e inquietante e si accendeva di uno strano luccichio, come se si volesse mangiare chi gli stava di fronte. Finita la messa notò due persone piuttosto giovani, una coppia. Le loro vesti erano lacere e sembravano sporche. I due si alzarono dalla panca di legno e si avvicinarono timidamente all’altare. Fece finta di niente e quando si voltò di nuovo se li trovò davanti. La donna parlò per prima, raccontando una storia di un omicidio. I due erano fratelli e avevano ammazzato il padre e stavano cercando asilo in qualche chiesa. Gli chiesero ospitalità e lui non rifiutò, approntò un giaciglio di paglia e una vecchia coperta di lana per farli dormire. Li fece lavare a turno dentro una grande tinozza di legno, prestò al ragazzo uno dei suoi sai di tela grezza e si fece dare dalla perpetua un abito per la ragazza. La sera dopo una cena frugale si preparò per ritirarsi nella sua stanza e dopo aver recitato le ultime preghiere della sera cadde subito in un sonno profondo. Ad un certo punto della notte si svegliò di soprassalto a causa di un rumore insolito. Sembravano gemiti o mugolii, lamenti. Si alzò cercando di non fare rumore e ascoltò da dietro la porta chiusa. I gemiti continuavano. Aprì pianissimo la porta e attraverso la fessura guardò verso il giaciglio illuminato dal chiaro di luna. Notò il muoversi dei corpi non avvolti dalle coperte e completamente nudi. I due corpi erano avvinghiati l’uno all’altro ed erano lucidi e bianchi, sembravano due serpenti che si accoppiavano. Il ragazzo per primo si accorse della presenza del monaco e, anziché spaventarsi gli rivolse un sorriso come ad invitarlo ad unirsi a loro. Il monaco sorrise fra sé. Era compiaciuto, aveva trovato le persone giuste. Decise di unirsi a loro in quello strano amplesso. Ad un certo punto il monaco preso da un impulso irresistibile morse con violenza il tenero collo della ragazza e succhiò avidamente il sangue che usciva copioso dalla carne ferita. Il ragazzo stette a fissarlo inorridito, ma la ragazza parve giungere proprio sotto le zanne del monaco al culmine dell’estasi. Tuttavia il prete non voleva infierire su quei giovani corpi, non poteva, li aveva destinati ad un’altra fine. Si alzò dal giaciglio e guardò con disgusto quei due vagabondi assassini, li prese per i capelli e li fece rivestire. "Andatevene!" intimò "Avete osato infangare con il vostro comportamento un luogo sacro e avete corrotto un uomo di Chiesa, non meritate pietà. Fuori!". Li trascinò a forza fuori dalla chiesa. Sapeva che proprio quella notte l’Angelo dalle Ali Nere si sarebbe presentato a lui e gli avrebbe chiesto delle nuove vittime e quei due erano perfetti. Disse loro che per la notte potevano fermarsi a riposare nel cimitero dietro la chiesa, ma che avrebbero dovuto andarsene alle prime luci dell’alba. I due ragazzi si avviarono verso il camposanto in silenzio, erano troppo stanchi per poter solo parlare o pensare.
A turno scavalcarono il cancelletto del camposanto badando di non restare impigliati con i vestiti già laceri sulle punte acuminate in ferro battuto. Subito i due vagabondi si guardarono intorno con aria furtiva, e dopo essersi accertati che non c’era proprio nessuno cominciarono a cercare una sistemazione comoda e calda per la notte. Avevano vagato per giorni e, a dire la verità, la luce di tutti quei lumini e candele comunicava loro una sensazione di calore e di allegria più che di inquietudine. Poi il pensiero ritornò alla loro principale preoccupazione: dove dormire? Certo il problema maggiore era il freddo, non avevano né coperte, né cappotti né giornali vecchi e stendersi sul marmo freddo non sarebbe stato l’ideale…. Intanto l’Angelo dalle Ali Nere volava nel cielo notturno. L’aria gelida gli sferzava il volto. Era stanco, aveva viaggiato per migliaia di chilometri senza mai fermarsi, ma sapeva che stava per giungere a destinazione. Vide in lontananza il cimitero con le sue tombe illuminate da migliaia di ceri e lumini, ecco il luogo era quello, e così si preparò a planare e, quando pose piede a terra, subito si mise a cercare un punto in cui appostarsi e attendere le vittime. Scelse di andarsi a distendere dietro alcune tombe sotto un alto cipresso la cui chioma scura dondolava agitata dal vento. Quella strana creatura non aveva bisogno di coprirsi perché avvolgeva il suo corpo sotto le sue grandi ali nere. Aveva fame ma sapeva che non avrebbe dovuto attendere molto… La ragazza era entrata in una delle cappelle ed esausta si era buttata per terra. Il ragazzo, girando fra le tombe, vide da lontano un’ombra scura stesa sotto un cipresso e si avvicinò piano. Non riusciva a capire che cosa fosse: uomo o animale? Ormai raggiunta l’ombra la guardò meglio e sembrava che ci fosse un corpo sotto un piumaggio nero. Cercò di scostare le piume e si accorse che erano ali, solo che non poteva trattarsi di un uccello perché sarebbe stato enorme…. Vide per primo il volto pallidissimo incorniciato dai lunghi capelli neri della Creatura dormiente, un volto di donna, e poi si accorse del corpo estremamente sensuale. Decise di accoccolarsi con quello strano essere e approfittare del riparo delle sue grandi ali, faceva così freddo… La Creatura era nuda sotto le ali, il giovane vagabondo guardò con cupidigia i seni grandi e sodi, il ventre tondo e i fianchi larghi. Non aveva mai visto una donna con le ali, eppure quel corpo era femminile… Le toccò i seni prima delicatamente e poi con cupidigia, le accarezzò il ventre. La Creatura intanto percepiva dei brividi lungo il corpo e uno strano calore, Finse di assecondare il ragazzo, rispondeva alle sue carezze, lo attirava a sé, lo abbracciava. L’odore della sua carne l’aveva resa avida e ingorda, sentiva i morsi della fame … Prese il vagabondo per i capelli e gli offrì il suo corpo finché l’uomo ormai ebbro di piacere e abbracciandosi al corpo della Creatura si addormentò sotto le sue ali. Ma la creatura non aveva sonno e soprattutto aveva fame. Lei viveva di sangue e carne umani e, avendo fra le sue braccia proprio un essere di questa specie venne sopraffatta dalla voglia di azzannarlo alla gola e di cibarsi della sua carne e del suo sangue. Il languore diventava insopportabile, non resisteva, la sua bocca era irresistibilmente attratta da quel collo illuminato dalla luce dei lumini, lo addentò e sentì subito in bocca il sapore del sangue fresco…Oramai era troppo tardi, con violenza ferina si attaccò con i denti alle carni della gola e, mentre dilaniava la carne e ne masticava grossi pezzi e rivoli di sangue le uscivano dalla bocca scoppiò in un riso convulso e irrefrenabile: "Questi umani…. non impareranno mai!". Mangiò varie parti del corpo dell’uomo e il suo corpo nudo era tutto cosparso di sangue, le mani, i seni, il ventre, il volto. Era una scena veramente raccapricciante a vedersi… Ma non era finita. La Creatura percepì anche la presenza della ragazza e, guidata dall’odore della carne, e soprattutto dal sangue che continuava ad uscire dal collo ferito della donna la trovò presto. Famelica si gettò sul corpo addormentato sbranandolo, la testa la tenne per ultima, spaccò la scatola cranica sbattendola con violenza su una lapide di marmo come fosse il guscio di una noce di cocco, e poi avida, con le dita estrasse la materia cerebrale e se la ficcò in bocca guardando compiaciuta quello che era rimasto del volto e, come boccone finale, decise di succhiare e trangugiarsi i bulbi oculari e di strappare via il naso…Alla fine del pasto ormai rinvigorita la Creatura dalle Ali Nere si preparò a partire di nuovo e, spiegando le ali, prese il volo verso la Notte Infinita mentre una figura scura davanti al cancello del camposanto aveva assistito a quel macabro pasto con estremo piacere: era il sacerdote.


Roberta Maset

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