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Visioni del Dirigibile

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Visioni del Dirigibile

I due assi portanti della musica rock, e in realtà credo della musica in genere, sono indiscutibilmente la melodia ed il ritmo. Dedicare più spazio all’una o all’altra componente ha portato ogni band che sia apparsa su questo pianeta a realizzare la propria (più o meno) personale alchimia e ad essere ascritta ad uno dei numerosi generi che affollano il panorama contemporaneo. Le sfumature in proposito sono moltissime, e spaziano da orchestrazioni di ampio respiro su canzoni d’impianto assai tranquillo e di facile ascolto, fino a brani tirati allo spasimo, giostrati su un paio di accordi e schemi ripetitivi pur se brevi: questo è qualcosa che chiunque ascolti musica sa. Tra i due estremi si possono individuare gradazioni pressoché infinite, che rappresentano a conti fatti la bellezza di questo genere musicale chiamato rock, capace di riunire sotto la stessa definizione, per quanto un po’ forzata, gruppi dal background e dalle sonorità diversissime.
Non sono però molti i gruppi che nella loro produzione siano riusciti a coniugare in modo efficace e continuativo l’aspetto melodico e quello ritmico: non penso di sostenere nulla di sconvolgente indicando i Led Zeppelin tra coloro che meglio hanno interpretato con i loro pezzi il ruolo di trait d’union tra avvolgenti melodie e ritmica implacabile.
Nel loro repertorio infatti non solo trovano spazio sia brani prettamente melodici (di cui mi sembra perfino impossibile offrire un pur rapido compendio e tra i quali mi limito a citare, solo perché sono i primi che mi vengono in mente in questo momento, The Battle Of Evermore oppure All My Love) che altri tesi e serrati (qualcuno ricorda il riff di una certa Whole Lotta Love?…): ciò che maggiormente caratterizza gli Zep è a mio avviso la naturalezza con la quale si spostano senza requie tra i due estremi, fornendo sempre e comunque interpretazioni personali ed ineccepibili di tale connubio. Page e soci hanno saputo esprimersi mirabilmente tanto quando la necessità o l’ispirazione del momento fosse quella di tirare in pista una folla di giovani urlanti e farli dimenare, tanto quando invece fosse quella di ammaliare un uditorio più composto (a dire il vero non sempre, se l’aneddotica ricorda un Robert Plant impegnato a richiedere silenzio alla platea prima dell’esecuzione dell’attesissima Stairway To Heaven!) con quadretti sonori di intangibile armonia.
Che effetto fa sentire le corde vocali di Plant tendersi allo spasimo nelle invocazioni di guerra di una Immigrant Song e poco dopo dipingere melodie estatiche in una acustica Going To California! Che gioia per le orecchie ascoltare Page mentre passa dall’implacabile ossessività di una Custard Pie alla fine cesellatura di un’assolo come Bron-Y-Aur! Per non parlare poi di John Paul Jones, nel cui stesso ruolo di polistrumentista si concretano le due anime della band: trascinante e ritmica quando imbraccia il fido basso, sognante e sperimentale quando si produce in ardite evoluzioni alla tastiera. E che dire infine di Bonzo, a torto accusato talvolta di non saper variare di una virgola il proprio approccio allo strumento? Basta seguirlo dal drumming a tappeto di Rock And Roll al divertente ritmo pseudo-caraibico di D’Yer Mak’Er per rendersi conto di quanto altro ci fosse in lui al di là della devastante potenza che è facile riconoscergli.
A differenza di altre band, tendenzialmente ritmiche o tendenzialmente melodiche, le cui incursioni verso l’altra sponda sono state sporadiche o non hanno saputo convincere ne’ gli ammiratori ne’ i critici, i Led Zeppelin hanno stabilito nuovi parametri di giudizio sia in un settore che nell’altro. L’iniziale diffidenza dei fans di fronte alle sonorità impreviste di III non era in fin dei conti altro che la momentanea delusione nel non trovare ripetuti gli schemi che gli Zep avevano però già elaborato al massimo grado di perfezione nell’album precedente: fu sufficiente infatti un solo altro album perché vincessero anche la nuova sfida nella quale si erano lanciati, riscuotendo ancora unanimi consensi dal pubblico tutto.
Resta difficile stabilire, a bocce ferme, se la band britannica abbia ottenuto risultati più eclatanti con i brani più propriamente ritmici o con quelli maggiormente melodici. La questione, che passa inevitabilmente attraverso l’ingiusto scontro diretto fra singoli brani (scegliere la migliore tra Whole Lotta Love e Stairway To Heaven però è come disputare del sesso degli angeli…), è destinata a rimanere irrisolta ed ogni opinione in proposito ha lo stesso valore. E’ però completamente condivisibile l’idea, già espressa da alcune autorità nel campo, che sulla scorta dei soli brani ritmici i Led Zeppelin avrebbero ugualmente primeggiato senza fatica quando erano ancora in attività, ma non si sarebbero forse garantiti quella fama imperitura nei decenni a venire che a tutt’oggi non sembra destinata a calare.


Fabrizio Claudio Marcon

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