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Depeche Mode – Exciter

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Depeche Mode
Exciter
(Mute, 2001)

Incuranti del tempo che passa, ed attenti a non eccedere nelle uscite per mantenere viva l’aspettativa, i Depeche Mode sono impazienti di mostrare che anche il terzo millennio può riservare loro un posto: il presente Exciter rappresenta, a qualche anno di distanza dal bellissimo Ultra, il ritorno della band con un album interamente nuovo, dopo che la raccolta di singoli 86-98 era stata arricchita di un solo inedito (Only When I Lose Myself). Vediamo allora cos’hanno combinato di bello i tre…
L’album si apre con Dream On, il brano scelto come singolo di lancio ed accompagnato da un video denso di suggestioni notturne ed oniriche che sottolinea opportunamente il carattere eminentemente crepuscolare della composizione: una sorta di cavalcata semi-allucinogena immersa in una tranquillità quasi irreale, che si dipana senza scossoni lungo il tema principale.
Shine, aperta da vaghi accenti psichedelici, è rarefatta, un po’ in distonia però con il vocale un po’ banale di Dave, e si apre poi su un inserto carico di maggior urgenza freddamente ritmico-elettronica. L’effettistica si mantiene robusta per quasi tutta la durata della traccia, impostata su paesaggi sonori moderni ma dai suoni squisitamente retrò se analizzati singolarmente.
The Sweetest Condition risulta sorprendentemente vicina a certo gothic-country: come riferimento immediato mi sentirei di indicare i 16 Horsepower, tanto per fare un nome. Solo in parte corretta dal consueto sfondo elettronico, si configura allora come ipotesi di ballata aperta alle contaminazioni del calderone sonoro del tutto antipodico della rozza musica degli Appalachi, forte di un motivo insidioso e malato e di appuntiti interventi strumentali pesantemente filtrati e sottoposti a distorcenti effetti d’eco.
When The Body Speaks si disegna lungo una traccia musicale minimalista ed è una ballata suadente, molto inglese nella sua relativa vicinanza a certa psichedelia anglosassone anni ’90 immersa in salsa melodica. Interpretata con estrema, financo eccessiva leggerezza, può ricordare certi esiti meno commerciali dei Verve pre-Urban Hymns.
The Dead Of Night suona come i Depeche Mode che rifanno gli Smashing Pumpkins mentre sono a loro volta intenti a rifare gli stessi Depeche, e la cosa è così assurda che finisce addirittura per funzionare! Si immagini, giusto per divertimento, di sostituire infatti alla voce di Dave quella dell’ultimo Billy Corgan tutto preso a trafficare con l’elettronica di studio nel disperato tentativo di rinnovarsi e, voilà!, il gioco è fatto e The Dead Of Night a quel punto potrebbe tranquillamente trovare spazio in un ipotetico Machina III dei chicagoani…
Lovetheme è il consueto inserto strumentale che dobbiamo a Martin, il quale si ingegna a creare qualche secondo di piacevole atmosfera prima di lasciarci rituffare nel percorso musicale di Exciter.
Freelove, aperta e chiusa da pagine effettistiche fin troppo scopertamente demodè, quasi da modernariato di seconda schiera, combina con più di un impaccio una melodia carina ma un po’ tiepida con il solito battage sintetizzato. Gli ulteriori orpelli sonori qui mettono a disagio più di quanto non riescano ad arricchire la scena, e rischiano di riportare alla mente perfino certi momenti ultra-patinati di George Michael.
Comatose strizza l’occhio a certo trip-hop, ma sotto sotto è un brano come i Depeche Mode ne hanno già scritti molti: cambia la forma, ovvero la velocità e le dinamiche interne, ma la sostanza è più o meno invariata. A tratti si ha la spiacevole sensazione di ascoltare un brano dal quale, per qualche disguido in fase di montaggio, siano rimasti escluse parte delle tracce strumentali, creando un certo qual senso di vuoto.
I Feel Loved è il secondo brano prettamente ritmico dell’album dopo The Dead Of Night: quasi tribale nel suo svolgersi, tambureggiante e primitivo fino a quando si apre su un assolo vagamente sulfureo di Martin che viene riproposto anche poco più avanti. Non eccezionale, ma più coinvolgente di quanto si sia forse disposti ad ammettere…
Breathe ci porta dalle parti di Condemnation nel suo dispiegarsi sostanzialmente vocale, che lascia affiorare qua e là una base musicale tentennante e non così lontana, dal mio punto di vista, da certe colonne sonore di film francesi ambientati in qualche arrondissement parigino bagnato dalla pioggia o, se vogliamo, dalla produzione recente di un gruppo effettivamente di matrice francofona come gli atmosferici Hooverphonic.
Easy Tiger è il secondo ed ultimo intervento strumentale di Martin, ammantato stavolta di un velo quasi religioso, da musica sacra.
I Am You si colloca nuovamente a due passi dal trip-hop: buona parte della comunque limitata caratterizzazione melodica è affidata al solo Dave, solo sporadicamente supportato da mirati interventi del reparto strumentale che solo nel segmento finale prende il sopravvento e conduce il brano all’improvviso e secco epilogo.
Goodnight Lovers mantiene quello che il titolo promette: all’apertura di sapore quasi cinematografico segue infatti una ballata sussurata ed acquarellata da gentili voci corali d’accompagnamento. Un commiato a mezza voce.
Complessivamente devo dire che Exciter non mi ha colpito come aveva saputo fare Ultra, e sono curioso di vedere se i Depeche riusciranno ad estrarre da questo nuovo lavoro lo stesso elevato numero di singoli che avevano tratto con ottimo successo dall’illustre predecessore. L’album ha sicuramente un impatto minore, gioca su equilibri sonori più instabili ed è privo della buona compattezza che non faceva difetto ad Ultra. Forse qui si è puntato più su un certo tipo di atmosfera eterea ed elettronica che però non sempre va a bersaglio, e sicuramente non fa di Exciter un’esperienza d’ascolto immediata e coinvolgente come ci si sarebbe potuti attendere. Anche la voce di Dave, che in Ultra risplendeva di accecante luce propria, qui non pare affatto valorizzata e talvolta suona addirittura tarpata, appiattita su schemi poco originali e spersonalizzata, al servizio di brani che non le rendono giustizia.
Un passo indietro? Da un certo punto di vista sì, senza dubbio, almeno per chi aveva visto in Ultra l’inatteso ritorno a livelli eccelsi e l’approdo ad una nuova e più attuale dimensione sonora da parte di un gruppo che pareva aver vissuto i suoi momenti d’oro negli ormai lontani anni ’80; ma non si tratta di una caduta libera, perché Exciter non è privo di istanze innovative che meritano una seconda chance e che potranno offrire, se opportunamente sviluppate in futuro, la base per un’ennesima risurrezione del gruppo inglese.

Fabrizio Claudio Marcon

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