KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

La scala degli Dei

9 min read

La scala degli Dei

Indifferenti alla sua inquietudine, austere, distanti, vagamente indolenti, le stelle perfezionavano il cammino notturno. Alto ed incerto, il profilo dei monti affiorava dall’oscurità. Altrove, bordi indistinti separavano la terra dalla palude e dal lago. Infagottato in una coperta, inerte, immemore del corpo, attento, Tezcatlipoca scrutava il cielo di levante.

Nessuna sentinella ostruiva il passo alla fuga. Il vuoto nutriva di silenzio le strade di Tenochtitlàn nel bagliore esitante delle fiaccole. Alzarsi, camminare. Sarebbe bastato, per allontanarsi dal Tempio, dai Sacerdoti, dal Sacrificio e dalla Morte.

Pure, Tezcatlipoca non ambiva sottrarsi al Destino che aveva forgiato con le sue mani di Guerriero.

Oscuramente intuiva che dal momento in cui le lacrime di Tonatecutli, il Signore della Nostra Carne, depositarono la sua anima nel corpo di sua madre, la sua esistenza aveva un opportuno, perché unico, fine.

Un tempo fu un uomo che rispondeva al nome di Ixchtli; allora, con forza non disgiunta da un segreto orgoglio, aveva disegnato la sua Sorte. Ed il giorno che l’alba traeva con sé, era infine quel Giorno, il Giorno del Sacrificio, il giorno in cui sarebbe morto per far rinascere il Mondo.

Il mondo fu creato dagli Dei, ma deve essere sorretto dagli Uomini. È dovere di ciascun Guerriero impedire che il Sole muoia. Pochi erano stati i codardi d’un sol giorno, miserabili il cui ardimento s’era dissolto all’ultimo istante. Di essi, del loro esilio, del loro errare selvatico, la memoria non aveva custodito orma.

Egli, invece, aveva scelto volontariamente il sacrificio. Aveva combattuto in molte battaglie, e vinto molti nemici. Mai nessun coltello era penetrato nelle sue carni. Mai l’oscura ossidiana d’una freccia avversa l’aveva scalfito. Ixchtli dava corpo al coraggio, muscoli alla bellezza, grazia alla forza, autorevolezza alla solennità.
L’esercito che comandava aveva affrontato i Tenochtas, due Soli fa, sulle rive del lago Michteplan. Non la prestanza e neppure il valore, ma la soverchiante moltitudine del nemico comandò la sconfitta, e la sua cattività.

Il prigioniero Ixchtli fu condotto a Tenochtitlàn. Trascinato nella piazza del Tempio Maggiore, osservò sacrificare al Dio Xipe colui che lo personificava; ne vide il corpo scuoiato , da un giovane sacerdote che sanguinosa rivestì sé stesso, affinché per la madre Terra si compisse di nuovo il miracolo di veder rinascere una nuova epidermide fatta di alberi, fiori, erba.

In omaggio al suo rango, e con il segreto intento di donare la gloria della sua morte ad un Guerriero Aquila, gli fu concessa una rara opportunità.

Ad un disco di pietra legarono la sua gamba destra; la corda tollerava due brevi passi di libertà. Xoxhitl e Mochtlipeth furono i nemici designati ad affrontarlo. Per remota consuetudine, se vincitore sarebbe tornato libero. Se atterrato, i Sacerdoti lo avrebbero legato ad una scala verticale in legno. Ed i Guerrieri tutti lo avrebbero ucciso con le frecce; il suo sangue avrebbe ingravidato la terra; abbondanza e benessere, secondo la rivelazione, ne sarebbero seguiti per tutti i Tenochtas.

Ixchtli sopravvisse. Dopo di ciò, fece un segno di sfida a Xapetl, a colui che, nella battaglia di Mixtitlan, colpendolo quand’era in terra, ne aveva fatto un prigioniero consacrato all’offerta per il Dio.

Xapetl era un guerriero circondato da una fama di invincibilità. Più che la forza, era temibile per destrezza, agilità e astuzia. I Tenochtas lo comandavano in battaglia con avara prudenza. Irrequieto come un puma, la pelle arrossata e bagnata, Ixchtli percorreva il cerchio massimo accordatogli dalla corda legata al piede destro. Xapetl osservava intento, serio, calmo e fiducioso.

Ixchtli lo sconfisse volgendogli contro la sua dote principale: la scaltrezza. Finse di essere meno stanco di quanto avrebbe dovuto essere; finse maggiore aggressività di quanto potesse sostenere; lo sfidò con presuntuosa ostentazione, muro che i vili eleggono a celare la paura.

L’altro si convinse che la finzione fosse tale. Egli rafforzò tale convinzione rallentando impercettibilmente i colpi, dopo i primi. E quando scivolò, vide il sorriso di Xapetl nell’appressarsi per finirlo. Gli bastò alzare il braccio: lo slancio di Xapetl s’arresto sul suo coltello di ossidiana. Stupore e silenzio e poi morte.

Era libero, dunque.

Libero di andare, di sfuggire al sacrificio, di tornarsene a Tlascteplan. Ma non di combattere di nuovo i Tenochtas, di fare altri prigionieri, e poi di mangiare le loro carni, dopo il sacrificio, ingerendo la potenza del Dio al quale venivano offerti.

Era libero di vivere, ma non di morire come un Guerriero. Tutti gli uomini validi della tribù erano prigionieri destinati al sacrificio. Dunque il giogo dei Tenochtas sarebbe durato almeno una generazione.

Senza neppure pulire il coltello del sangue di Xapetl, aveva tagliato la corda che gli cingeva il piede. Nella grande piazza c’era silenzio. Diede un passo, poi un altro. Osservò che due sacerdoti erano ritti sul Tempio Maggiore.

Un riso silenzioso gli scosse il petto.

Rifletteva, si interrogava. Dove si andrà dopo morti non dipende solo da come si vive, ma soprattutto da come si muore. Non v’è morte più onorevole che quella del Guerriero sacrificato.

Come giudicare della vita di un Guerriero che non combatte più, e si limita ad aspettare la morte?

Morire vecchio significa morire della malattia chiamata vita. Nessuna morte per infermità è naturale, è il prodotto invece delle forze oscure, magiche.

Dunque, come ogni mal morto, si disse, errerò nella dimora di Mictlantecutli e di Mictecacihuatl, Signore e Signora del Regno dei Morti. Avrò per compagni i demoni delle tenebre. Per l’eternità intera sarò il solitario abitatore di Mictlan, del mondo velato ai vivi. Il mondo vuoto di sentieri, dove maturano solo vegetali velenosi, dove il passato è avvolto dall’oblio eterno, e da dove a nessuno è concessa la fuga.

All’opposto, un Guerriero Aquila morto per mano di un Sacerdote è una stella in più in cielo.

Dunque rimanere, accettare il sacrificio, significa ascendere al regno della Luce.

Quetzalcoatl è Luce, e dunque io sarò Luce.

Insieme a Lui percorrerò per molti anni, ogni giorno, le Vie del Cielo. E quando questo ciclo di onore sarà compiuto, mi trasformerò in un uccello dalle piume rutilanti, e vivrò nel giardino dell’eterna beatitudine.

Ricordò che le prostitute facevano di tutto per essere sacrificate alla dea Xochiquétzal durante la festa del dio della tribù di Tlaxcala.

Sarebbe Ixchtli stato ricordato intorno ai fuochi come un Guerrierio più vile di una prostituta tlascalana?

V’è una casa in cielo dalla quale si discende in terra. E’ la casa degli innocenti, di coloro che si apprestano ad essere, ma non sono ancora.

E’ giunta l’ora di tornarvi, si disse. Per troppo tempo sono stato solo un tenue riflesso delle stelle, specchi del mondo terreno.

Ancorata alla pietra rotonda, la corda giaceva sul selciato. La prese, la legò alla vita, e gettò il coltello.

Il corpo di Ixchtli era perfetto. Fu dunque scelto per rappresentare il dio Tezcatlipoca, colui che aveva regnato sulla prima età del mondo.

Per un anno era vissuto, con riluttante accettazione, nell’agio e nei piaceri. Riverito, amato da quattro giovani fanciulle mexicas, rivestito di piume e di manti colorati.

Infine, il giorno atteso era giunto, il sole spuntava all’orizzonte, la città sotto di lui si risvegliava nell’eccitazione del sacrificio.

Il Guerriero Ixchtli, era destinato al Sacrificio nell’ora in cui il Sole è a picco sull’altare del Tempio Maggiore.

Meditò che gli Uomini, nati nella prima età, furono Giganti che osarono disconoscere la Regale Maestà del Primo Dio. Nelle tenebre premature, il ruggito inesorabile dei giaguari cinse mandrie d’ombre titaniche. Brevi e frenetici roteare di artigli e denti aguzzi consumarono la sorte dei Titani. Trasformato in tenebre e giaguaro, Tezcatlipoca giustiziava l’insolente umanità primordiale.

Si scosse, perché s’avvide che il corteo era pronto. In brevi minuti tolse i vestiti dell’Ultima Notte. Indossò il mantello con le piume verdi di Quetzal. Vennero i compagni di quell’anno da Dio a salutarlo, lo abbracciarono, qualcuno mormorò brevi parole di auspicio. Uno solo fra essi domandò d’essere raccomandato a Tezcatlipoca. Afferrò i flauti, e si mise alla testa del corteo.

Si era confessato ai sacerdoti di Tlaelcuani, la dea che divora le immondizie, cioè quella capace di distruggere i peccati.

S’arrestò sul primo gradino della piramide. Guardava in alto, ma scorgeva solo il cielo e sentiva il calore del sole sulla pelle.

Spezzò il primo flauto: si accomiatava dai piacere del vita, dalle effimere cose che tanto attraggono l’uomo. Passo dopo passo, su tutti i gradini depositò un pegno.

Sull’ultimo, si tolse il manto di piume di Quetzal.

Cinque sacerdoti lo attendevano, disposti intorno alla pietra sacrificale. I lunghi capelli incrostati di sangue s’agitavano alla brezza di mezzogiorno. Il fetore era terribile, lo sguardo ed il corpo del Primo Sacerdote s’agitavano frenetici.

Una luce febbrile che Ixchtli intese come piacere sordido gli dilatava le pupille.

In quattro si avvicinarono, con le corde di maguey nelle mani. Li respinse con uno sguardo altero. Le gambe gli dolevano per lo sforzo di non farle tremare.

Si girò e guardò verso il basso; gli uomini apparivano piccoli, da dov’era. Il mormorio si acquietò come un’onda che si adagia sulla spiaggia. Si accostò con passo finalmente fermo alla pietra fetida.

La notte stava per venire, l’eternità si approssimava, ma le eterne domande svanivano insieme con le grida della folla, laggiù, in basso.

Stentava a credere che fosse lui, l’uomo ripiegato su quella pietra, che i sacerdoti, nonostante i legacci, costringevano con forza ad arcuarsi. Quel cuore che di lì a poco gli avrebbero strappato dal petto accelerava i battiti quasi fosse desideroso di mostrarsi più vitale che mai.

Sconnessi pensieri vagavano per la sua mente. Tra un mese, dopo le piogge, i prati fioriranno, gli alberi daranno di nuovo frutti, e sarà tempo di intraprendere un’altra campagna di guerra … ma contro chi?…

No, non ci saranno altre campagne, tra poco sarò in compagnia di Huitzilopoctli, ma prima di giungere al suo regno, dovrò affrontare numerosi pericoli. Fiumi impetuosi, rocce che cozzano l’una contro l’altra, venti gelidi, la cupa regione dei maghi.

Può un Guerriero, senza cuore, essere forte abbastanza?

All’inizio dei tempi persino gli Dei si erano sacrificati per libera scelta affinché il Sole potesse instaurare il suo Corso. Che valore poteva avere la vita di un uomo, o fors’anche dell’umanità intera, di fronte a simile traguardo?

Si poteva ben sacrificare il Mondo intero…

…si poteva… si poteva? Che senso ha un universo ai cui Dei si sacrificano tutti gli uomini?

Un brivido freddo si fece strada nel suo petto. Non si accorse della mano che lesta si infilava a sostituire il coltello di ossidiana nera. Né percepì il serrarsi delle mani dei sacerdoti intorno ai piedi, alle braccia ed alla sua testa. Tossì, o così credette, mentre quella mano si sollevava in aria.

Vide pulsare la carne rossastra, ed il sangue che colava sull’avambraccio del Sacerdote, e poi a terra. Quel cuore, il … suo … forse?, no, no, di certo, non poteva essere il suo, perché lui era vivo, percepiva l’urlo della folla che accompagnava l’offerta, e vedeva distintamente quel cuore palpitare. Appariva come un uccellino timoroso o un pulcino appena nato.

Quel cuore si muoveva.

Ma come, come poteva muoversi, un cuore separato dal corpo che lo alberga?

E chi è quest’uomo spogliato del cuore, eppure ancora in vita? Perché ad un altro uomo si accorda il potere, che lo spregevole baratta come diritto, di sradicarglielo per saziare la sudicia fame di un Dio inumano?

Pensava, dunque era vivo.

Trovò necessario rassicurare il pavido Ixchtli. No, non sono io, Ixchtli, colui che accoglieva quel cuore. Quella materia insanguinata non è mia, non mi appartiene, non è mai stata me, dentro di me.

Ed io non muoio. Mi addormento, sì, mi addormento, nell’ora che tramonta il sole, e scende l’oscurità.

Sarà Huitzilopochtli misericordioso, mi accoglierà nonostante m’abbiano privato del cuore?

E sempre più buio, forse è giunto il momento di assopirsi, Ixchtli, di attendere il nuovo giorno…

Quel cuore … ma perché pensare a quel cuore? Un uomo non … è… solo cuore…

Mario Giardini

Altri articoli correlati

7 min read
6 min read
1 min read

Commenta