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I misteri del BUON DEMONE…

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I misteri del BUON DEMONE
che porta in dono la felicità


Roberta de Monticelli, docente di filosofia moderna e contemporanea all’Università di Ginevra, sarà grande protagonista sabato alle 16.00 a Carpi, dove terrà la sua "lezione magistrale" su "Il buon demone. Ontologia della felicità". E di felicità, ma non solo, parla anche il suo ultimo libro, l’oramai noto "Lettere a mio figlio sulla vita e sulla felicità". Ne abbiamo parlato con lei.
Di cosa tratta questo libro?
"E’ una raccolta di meditazioni, sotto forma di epistole intermezzate da versi, dedicate ad un bambino; io ho scritto figlio, ma non si tratta necessariamente di mio figlio, l’importante era che fosse una figura in età fanciulla, un bambino. Si medita sulla vita, sull’esistenza, sul mondo, sui sentimenti. Sono immagini di quello che io chiamo il vivo, che altro non è che il vento che ogni tanto accende le cose di valore. E queste immagini del vivo sono legate anche ad una riflessione sul ‘buon demone’, sulla felicità appunto, su che cosa significhi essere felici. Terrei a ricordare l’immagine iniziale perché è molto significativa. Il libro si apre su una notte d’estate, una notte d’agosto, su una visione del cielo alla rovescia. È una sorta di tendone bucato da cui trapassa una luce ed è un’immagine autobiografica, un’immagine della mia infanzia. Quella luce dà un senso e un valore a tutto quanto fa parte di noi, della nostra vita, del mondo intero".
Lei parla della felicità come del "buon demone"? Cosa significa?
"Felicità in greco si dice ‘eudaimonìa’ e il ‘buon demone’ richiama appunto il senso greco della parola".
Ma cosa è la felicità oggi?
"La felicità non è più oggi qualcosa di soggettivo, ma è una condizione reale, è l’aver trovato se stessi, è l’autorealizzazione, la pienezza di vita. Non è più solamente un’emozione, un sentimento, anche se poi è perfettamente compatibile con i sentimenti, ad esempio nutre l’amore. Direi che anzi è l’attivazione degli stati emotivi e il suo contrario non è dunque la tristezza, bensì l’apatia, perché la felicità non fa altro che risvegliare la vita affettiva. La felicità insomma oggi corrisponde alla pienezza dell’essere. Si è alzata di livello, perché l’uomo stesso si è elevato, perché ricerca qualcosa d’altro del semplice momentaneo appagamento, sente il bisogno di trovare il senso di sé".
Ma è proprio vero che tutti gli uomini ricercano questa felicità come autorealizzazione? Una felicità più dozzinale, l’emozione, il piacere, non esiste e non si ricerca più?
"La realtà è che tutti in qualche modo ricerchiamo noi stessi e sappiamo che i momenti più forti dell’esistenza sono quelli in cui siamo messi in contatto con noi stessi. Purtroppo però non è quello che oggi ci insegnano a cercare. Pochi credono infatti alla realtà individuale profonda. La felicità, intesa come pienezza di vita, come il trovare sé, è sommamente individuale, mentre l’infelicità, al contrario, è sommamente impersonale. Il guaio è che pochi credono all’individualità e così va a finire che tutti ricerchimoo le stesse cose. Ed ecco la felicità come lei la intendeva, quella corrispondente all’emozione del momento".

Francesca Orlando

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