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Movimento nascente

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Movimento nascente
primo classificato

Ottobre. Fine dell’estate, fine di una vita che valga lo sforzo di chiamare tale. Piano in finto legno e luce pigra, sporco e sparso di mosche stecchite. Stavo lì, le guardavo, un ragno avvelenava pian piano una formica alata, sempre più a fondo, e quel corpuscolo nero si dibatteva sempre più lentamente tra la bava essiccata, e smetteva di muoversi. Spettacolo interessante. Devo pulire questo buco di appartamento, mi dicevo…

La mia coscienza era burro fragile spalmato su centinaia di chilometri. Ferro. La mia esistenza si era pian piano spenta nella continua guerra contro l’autodistruzione, rimaneva solo il telefono bordò in ufficio, l’odore di smog freddo e deodorante la mattina, e i sette caffè quotidiani. Ricordi vaghi ed inconfutabili che non ero l’unico essere umano rimasto.
Avevo permesso all’ottusa ostilità del mondo di mangiarsi tutti i miei lati migliori e le mie utopie adolescenziali, era il prezzo da pagare per il bonifico a fine mese. I mesi passavano e il mio corpo non mi ringraziava, si sfaceva e si smolliva come gelatina. Ai piedi di un mostro di cemento e cavi coassiali bevevo una birra cieca con un mio ex amico e la puttana che si era rimorchiato.
– Non è così che dev’essere, non è questo che ci avevano promesso…-, lui aveva spalancato quegli occhi stravolti dall’acido e aveva infilato la mano tra le cosce della puttana. Ripeteva, piegato su di lei, qualcosa a proposito di una malattia che ci stava mangiando tutti quanti. Ricordo confusamente di avere ordinato una bottiglia di whiskey, ricordo i riflessi rossastri scuri e magnetici. Li ricordo sul bicchierino, sul tavolo. Li ricordo anche dopo, quando avevo vomitato l’anima nel cesso del bar, con l’odore di piscio e vomito nelle narici e il mio ex amico che mi chiedeva se andava tutto bene e si sbatteva la ragazza, chiuso nella stanzetta accanto.

Lisa era piovuta nel mezzo della mia prigione quotidiana, in un giorno di sole freddo, i suoi occhi di miele mi avevano sorriso dall’altro tavolo mentre io consideravo i possibili vantaggi di una corda appesa alle travi del mio appartamento. Lisa è una ragazza affascinante, fragile e forte al contempo, tanto profonda da riuscire a essere superficiale ma non banale. Lisa è un filo di vetro teso su questa città ventosa. Lisa era una promessa.
Prima di lei i miei rapporti con la mia sessualità avvenivano in auto sulla statale, o in bagno per addolcirmi il risveglio. Prima di lei il mio specchio era un anellide che si contorceva alla luce del mattino.
Due settimane più tardi ero tornato un liceale, curioso, felice di vivere, andavo in palestra, avevo rispolverato il mio non indifferente talento artistico e musicale, cantavo sotto la doccia. Mi accorgevo che il sole scaldava ancora, e che l’inverno dava tregua come fosse bloccato il mezzo al traffico. Ho ancora un futuro!, mi dicevo, e il tempo era solo un dettaglio prima che il sole ci illuminasse, entrambi. Aveva l’aspetto di un’amicizia, sia chiaro, perchè, per quanto follemente fossi innamorato di lei, Lisa diceva di volere aspettare. E sia. Aspettare con lei e per lei era una sofferenza dolce e sopportabile. Lisa, con quegli occhi nocciola e i capelli neri sempre un po’ in disordine. Quegli occhiali spessi da intellettuale delle masse, quelle forme gentili e discrete, sempre coperte con eleganza. Lisa era più o meno l’unico essere vivente che capisse e condividesse i miei discorsi, era l’unica donna di cui mi interessasse sapere la storia, i pensieri, le abitudini.
In ufficio guardavo quegli automi stressati ed insoddisfatti, quegli agenti dell’alienazione che, anagraficamente, avevano una fica tra le gambe. Ma non erano donne, non mi sembrava. Erano carta da manifesto.

D’improvviso, Lisa aveva iniziato a non venire agli appuntamenti, si era fatta ringoiare dal carrozzone produttivo. La vedevo poco, spesso di sfuggita, spesso non mi salutava neanche. Io ero a terra, passavo le ore a farmi divorare da qualche verme nascosto nelle mie interiora. Il Tempo si era dimenticato di farmi visita, ero cupo e disorientato. Rabbia, disperazione…

Steso sul lettino.
– Quanto è durata la proiezione?
– La proiezione? – chiedo.
– Sì, quanto a lungo ha frequentato questa Lisa?

Lo psicologo del dipartimento aveva chiesto di parlarmi e di potermi analizzare. Profumo di legno antico, vestiti firmati e sigari. Detesto i sigari. Detesto gli psicologi.

– Due mesi circa, Doc. Proiezione? Di che cazz…
– Le devo prescrivere una droga più pesante, le sue allucinazioni non sono durate abbastanza a lungo. Devo concluderne una conferma del fatto che la medicina è arte e non scienza, come molti si illudono che sia. – abbaia il cane, e si liscia la barbetta.
– Allucinazioni? Ma di che cazzo sta parlando?!
– A quanto sembra, lei sa tollerare molto bene le nostre droghe psicoattive. Solitamente l’effetto prosegue per 12-14 mesi, lei se l’è cavata con due. Signor Achtzehn, lei ha prodotto in questi due mesi il 37,8 e il 42,4% in più del solito. E’ stato innamorato, e quindi si è curato di più, é stato più cortese con i clienti e con i colleghi, è stato più ottimista. L’azienda favorisce l’innamoramento in personalità come la sua, normalmente predisposte alla depressione. Grazie ad alcune sostanze di nuova concezione riusciamo a far credere qualsiasi cosa al soggetto-bersaglio. Sfruttiamo le sue fantasie, i suoi desideri più profondi per aumentare l’efficienza del Dipartimento. Ora dovrò aumentarle il quantitativo di queste sostanze. Non si preoccupi, le saranno somministrate con il cibo della mensa, non se ne accorgerà nemmeno. Spero che capisca, Signor Achtzehn: se le permettessimo di disinnamorarsi, l’azienda ne soffrirebbe. Spero che capisca.
– Sì, certo…
(Vaghi pensieri. Io che mi scaglio nudo contro la vetrata. Rumore vetri rotti, e mi rotolo tra i vetri rotti finchè tutto il mio sangue rimane a decorare la moquette e io smetto di muovermi. Brandelli di pelle e carne tumefatta.)
Mi alzo e me ne vado, il professore non mi saluta nemmeno. Ripenso alla vetrata, forse trarrei più piacere dallo scagliarci lui. Vado in mensa.

Laura è piovuta nella mia vita in un marzo fresco e umido. Le sue guance raffreddate mi hanno sorriso arrossite dall’altro tavolo, mentre spegnevo i ricordi di Lisa come una sigaretta sull’avambraccio. Dopo due settimane dal mio incontro con Laura sono tornato in palestra, ho rispolverato il mio non indifferente talento artistico e musicale, sono tornato un essere curioso e felice di vivere. Canto, la mattina, sotto la doccia. Di colpo mi sono accorto che il sole scalda ancora, e che l’inverno se ne sta andando come un tir sull’autostrada. Ho ancora un futuro!, penso, e il tempo è ora solo un dettaglio prima che il sole mi illumini, e Laura con me… Ah, dimenticavo, mi hanno appena alzato lo stipendio.

Diego Schiavon

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