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Frontiera

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Frontiera

Stazione di Amman, lì 20.11.1915

Quando la locomotiva Wuerttemberg T5 iniziò a muoversi sui binari a scartamento ridotto, Wirldolf Berger avrebbe voluto scendere dall’ultimo scompartimento di quella carrozza di coda, correre lungo la stretta pensilina in legno e tenerla, Anne, sorriderle; non lasciarla più cadere nel fango dei suoi ricordi speziati di carta indiana. Slittare stridulo di ruote su binari lucidi di brina, le porte chiudersi e con quelli tutto il resto: le sigarette spente in fretta sotto i palazzi alti, le bottiglie sfatte di alcol esplose sull’asfalto quando la notte si fa breve e pesante, il soffitto solcato dalle luci grasse e veloci della strada. Sei certo di dover partire? In fondo sei uno scrittore, non un soldato… Wirldolf il corrispondente di guerra si fissò le mani strette intorno alla sacca da viaggio. Bisogna che io prenda tra le mani il mio destino e intinga la penna nel sangue. Puntò gli occhiali in alto, gli occhi chiusi. Respirò lentamente l’aria nera di lignite. Solo quando fu certo di essere fuori dalla stazione si girò verso il finestrino, riaprì gli occhi. La nebbia si infittiva su tutto, impossibile distinguere nulla. Decise di sistemare la sacca. Volse lo sguardo in alto. Nonostante in quello scompartimento fosse solo, sulle reticelle per bagagli erano stipate tre valigie grigie di media grandezza, adatte a viaggi di lunga tratta. Levatosi in piedi stava riponendo la borsa quando improvvisamente udì un grido che gli parve provenire dal suo stesso vagone. Si sporse oltre il divisorio scorrevole rimasto semiaperto, si guardò intorno: il lungo corridoio era vuoto, talmente silenzioso da poter far credere a Berger di essere l’unico viaggiatore in quella carrozza, se non fosse stato ingombro di larghe valigie disposte disordinatamente. Tornò a sedersi. Notò allora sul sedile prospiciente al suo, di fianco al finestrino, un libro di cui prima non si era accorto. Sulla copertina bianca strisce vivaci di colore si mischiano formando figure che mutano di forma a seconda del punto di osservazione: donne e uomini che emettono sorrisi liberty immersi in un viale traboccante di insegne elettriche e uova; splendidi pesci multicolore sfavillanti di luce tropicale e oceano; mostri meccanici che consumano in terribili amplessi di morte vogliose femmine umane. Berger prese a leggere.

Benvenuti in questo mio inferno. Spero lo troviate ben arredato, confortevole, corrispondente alle vostre aspettative. Centinaia di rotaie stile 1914 mi scorrono dinanzi agli occhi proprio adesso, mentre vi sto parlando. Ho le tempie gonfie di sangue, la lingua mi s’incastra in gola. Sono diretto alla frontiera, la linea ultima che conchiude il mio inferno. E lì attenderò il mio nemico fumando sigarette pakistane. Fuori dal finestrino si accavallano immagini sfocate di campagne distrutte dalla peste, falò di corpi lontani accatastati all’ombra, animali sacri grandissimi di luce e paura. I volti di tutte le donne che mi hanno dato natali e carne, odori di incenso e santi di cenere e zolfo.

D’un tratto un altro grido distolse Wirldolf Berger dalla lettura del libro. Dopo pochi istanti l’uomo si affrettava nel corridoio, col volume stretto nella mano destra. Scansando i bagagli zigzagava tra gli scompartimenti dell’intero vagone e giuntone al termine entrava nel successivo e ancora in quello dopo e poi ancora, fin quando non ebbe traversato tutte le carrozze. Giunto in testa al treno Berger si fermò. Nonostante l’enorme quantità di valigie accatastate ovunque, aveva ormai concluso di essere il solo passeggero presente sul convoglio, dato che lungo il tragitto non aveva incrociato nessuno; il grido proveniva dai campi. Si soffermò a guardare oltre il finestrino provando a cogliere parti di paesaggio oltre la bruma mista di polvere rappresa sul vetro. Distingueva appena la campagna consumata dalla peste, fuochi lontani, ombre grevi di animali. Resosi conto di avere ancora con sé il libro, ricominciò a leggere.

Questo è il mio inferno. Per trovarlo ho vagato nel deserto delle sale addobbate a festa, nelle sagre nere della mattanza. Mi sono piegato ad angolo; ho tinto il mio volto di luce.

Impercettibilmente il treno aveva rallentato fino ad arrestarsi del tutto. Immerso nella lettura, Berger quasi non se n’era reso conto. D’un tratto udì una voce a lui familiare urlare, implorarlo di scendere. Lasciato il libro in terra, aperta la portiera, si gettò in una nebbia che cominciava a diradare. La figura di Anne si spostava tra rovine roventi e sterpi, mura intarsiate di crepe. Lui si gonfiò nella gola urlandone il nome più e più volte, s’inoltrò nella nebbia. Quando lo stridere del metallo sui binari ruppe l’aria, riuscì a distinguere appena la sagoma del treno allontanarsi. E il corrispondente di guerra Wirldolf si incamminò lento lungo le rotaie e chiese a sé e ad Anne se questa fosse la frontiera e poi si accasciò in terra, restò immobile. Quando la nebbia tornò a coprire la terra, il suo corpo si scompose in frasi. Centinaia di rotaie stile 1914 mi scorrono dinanzi agli occhi proprio adesso, mentre vi sto parlando. Ho le tempie gonfie di sangue, la lingua mi s’incastra in gola. Sono diretto alla frontiera, la linea ultima che conchiude il mio inferno.

Del Monte Christian

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