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Se Dio c’è

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Se Dio c’è
(da COMUNICA n.2)

È innegabile: una delle grandi domande che da sempre l’uomo si pone è "Dio esiste?".
E lui, Sergio Zavoli, conosciuto oramai come "il socialista di Dio" di questo quesito ne ha fatto un libro: "Se Dio c’è" (Oscar Mondadori, pp. 329, Euro8,26). Un libro straordinariamente profondo, non solo per l’argomento trattato ma perché lui, Zavoli in persona, confessa ai lettori se stesso, narra l’intero suo percorso alla ricerca di Dio.
E qui a Modena, al Club La Meridiana, nell’incontro organizzato da Roberto Armenia, ci ha donato un pezzetto di queste sue confessioni, facendosi anomalo moderno S. Agostino. "Rileggendo il mio romanzo – ha iniziato – mi sono detto che una persona che scrive queste cose ha una fede abbastanza salda. Ma io non mi ci riconosco, io credo di credere. Sono cresciuto a Rimini, la città di Federico Fellini, e lì la domenica c’era l’abitudine di andare alla Benedizione, la funzione delle 17.
Io ci andavo non per fede, ma solo perché questo dava diritto ad una tessera parrocchiale con la quale si poteva assistere alla proiezione di un film. Poi poco a poco, osservando la chiesa, i fedeli, iniziai a sentire qualcosa; stavo allora scoprendo la vita, anche il sesso e mi chiesi cosa mi sarebbe costato avere fede. In realtà confondevo la fede con la santità; non avevo capito che Dio si accontenta di molto poco e così, allora, Lo pregai di non darmi la fede".
Così inizia il viaggio di Sergio Zavoli, che diede il via al suo lavoro di giornalista in un percorso che però lo vide sempre protagonista di un rapporto con Dio molto combattuto: "Dov’è Dio? Cos’è il regno dei Cieli? Se Dio c’è, perché assistiamo all’azione devastante del male sulla Sua creazione?…".
Fino a che un giorno si ritrovò ricoverato in ospedale e una suora gli diede una terribile notizia: un linfoma alla milza. "In realtà era solo un ematoma che si era coagulato, ma allora non potevo saperlo. Quella sera chiesi di rimanere solo, di lasciare la luce accesa e di non prendere pastiglia alcuna per dormire.
Avevo paura di addormentarmi, volevo capire, rendermi conto da sveglio di quello che avevo. E quella notte vidi per la prima volta sopra la porta un crocifisso, Gesù con le braccia aperte e volli immaginarlo mentre abbracciava me assieme a tutta l’umanità". Così poco a poco trovò la fede, o meglio, una maggiore fede ed oggi può dirci: "Non credo che noi uomini nasciamo con la fede; la fede è un percorso complicato; è un po’ come la speranza: deve diventare tangibile, lasciare un segno. E credo che avere fede significhi anche una buona dose di inquietudine: guardate ai martiri! In principio non sai dov’è la fede, ti sembra di trovarla da qualche parte e poi di perderla, d’improvviso.
È un labirinto all’inizio ed è normale che sia così perché, come insegna Sant’Agostino, bisogna prepararsi a questo atto, in quanto è davvero rivoluzionario".
Cosa accade però? Che molti di noi cercano la fede solo negli ultimi anni di vita, perché credono che il nostro sia solo un passaggio in vista di una vita eterna. "Ma la vita – consiglia l’autore – non va vissuta come un momento di transito. Dio le ha dato grande dignità e ci chiede di salvarci proprio in essa, non in una vita post mortem. Noi uomini siamo gli unici esseri viventi a possedere la consapevolezza che poi si muore e questo ci crea certo grande dolore, ma ci dona anche una grandissima dignità. E allora vivere è trovare tutti i giorni una motivazione nuova per sentire che ne vale la pena. Ho della vita un’idea non penitenziale, anche se so che essa dà e toglie: credo che siamo nati per essere felici e per esserlo qui sulla Terra. Ricordate sempre le parole di Papa Giovanni:
‘Siamo nati per vivere, non per morire’!".

Francesca Orlando

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