KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Intervista a Nicola Lagioia

5 min read

Intervista a Nicola Lagioia

Ciao Nicola. Noi ci siamo incontrati durante la presentazione del tuo libro il 23 febbraio e quindi molte delle domande che ti sto per fare saranno un riprendere quello che tu (o il tuo editore) avete detto allora. Spero che comunque non ti dispiaccia presentarti in modo che i nostri lettori possano sapere qualcosa di te e di quello che ti fai.
Ma partiamo con ordine: come descriveresti Nicola Lagioia?

Come uno che a quindici anni giocava a pallone, a sedici ascoltava molta musica, a diciassette violava quotidianamente la Jervolino-Vassalli, a ventitré si liberava dell’università ed iniziava a scrivere sul serio.

Durante la presentazione hai detto che scrivi da tempo, anche se questo è il tuo primo testo pubblicato… come hai iniziato? Che rapporto hai con lo scrivere?
Come ho iniziato? Frequentavo l’università (tempo sprecato, che successivamente ho cercato di recuperare attraverso una sana autodidassi) e le lezioni perdevano progressivamente di significato man mano che, ripiegata sulle ginocchia, si dispiegava in tutta la sua bellezza la Waste Land di Eliot.
Con lo scrivere ho un rapporto maniacale, faticoso, e dunque sono mio malgrado costretto a fare mie le parole di Fenoglio quando diceva: "la più semplice, la più elementare delle mie pagine è il frutto di infinite penose correzioni, revisioni, riscritture".

Come è nato "
Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi)1"? Puoi descriverne brevemente il contenuto?
Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj è una macchina per la distruzione di cliché letterari, un libro che riprende gli insegnamenti delle avanguardie storiche (Tristan Tzara in primis…), un antiromanzo, un tributo al Beckett della Trilogia, una storia d’amore scritta tutta al condizionale, la prova su strada delle teorie di Harold Bloom sul Canone Occidentale, un tentativo di violazione delle grandi icone estetiche che dominano il nostro immaginario (un esempio su tutti: il mito dell’eroina).

Quanto tempo ha richiesto la stesura, e quanto la revisione?
In tutto poco meno di due anni. Numerose le riscritture. Files e files pieni di pagine di cui mi sono liberato con estrema gioia.

Sempre secondo quanto è stato detto il 23 tu hai spedito direttamente il tuo romanzo a Minimum Fax, senza tentare (in alternativa o in simultanea) altri nomi più o meno grandi dell’editoria italiana. Cosa ti ha fatto scegliere questa casa editrice?
Una piccola casa editrice, se vuole sopravvivere, ha l’obbligo di non sbagliare un colpo e, di conseguenza, la necessità di "spingere" al meglio ogni uscita. Nella casa editrice c’era del vero entusiasmo intorno al mio progetto letterario: condizione più che sufficiente per affidare alle cure di minimum fax i miei Tre sistemi…

Il tuo rapporto con Minimum Fax tra le altre cose non si è fermato all’essere autore, ma è proseguito in un modo piuttosto interessante. Puoi raccontare come è andata?
A minimum fax serviva un redattore part time. Io (che all’epoca lavoravo a tempo pieno presso un’altra casa editrice) avevo bisogno di ritagliarmi almeno una mezza giornata di tempo per continuare a scrivere. Le condizioni per un matrimonio che non si fermasse al rapporto autore-editore c’erano tutte.

Com’è il confrontarsi con un pubblico curioso leggendo ad alta voce dei pezzi di quanto si ha scritto?
Parlare dei propri libri non so quanto possa essere utile (spesso il testo ne sa molto più dell’autore). Ma leggere… ecco sì, leggere è una cosa che ha decisamente senso in una presentazione.

Come hai vissuto nello specifico l’esperienza modenese?
Ottima l’acoglienza e ottimo pure il cibo. Belle le sonorità. Invitatemi ancora.

Hai qualche consiglio per chi vuole intraprendere la carriera di scrittore?
Diventare consapevoli dei propri mezzi (e dunque, sufficientemente spietati con se stessi) e frequentare la letteratura, contemporanea e non, attraverso la migliore scuola di creative writing concepibile su questo pianeta: la lettura.
Cosa ne pensi dell’editoria elettronica? Noi (come del resto altri) stiamo cercando di offrire spazi per chi, anche senza nessuna esperienza, vuole provare ad inventarsi autore. Tra i tanti che sono passati sulle nostre pagine molti rimarranno probabilmente dei semplici appassionati dello scrivere, ma alcuni (e secondo noi non sono pochi) dimostrano parecchi talento e stanno trovando una interessante strada espressiva. Ma quello che pensiamo noi si scontra con l’opinione di alcune grosse case editrici, e quindi ti chiedo un parere da "addetto ai lavori": hai mai dato una occhiata nel dettaglio ad una iniziativa come la nostra (KULT Underground / e-paperback) o a uno qualunque dei tantissimi siti per esordienti? Se sì come reputi il livello di chi pubblica in questo modo? Tu hai mai pubblicato o pubblicheresti on-line?
La pubblicazione on-line ha senso a una sola condizione: che ci siano dei filtri, anche molto selettivi, grazie ai quali far "passare" (e dunque pubblicare) solo le cose veramente buone lasciando fuori non solo le ‘patacche’ ma anche i numerosissimi inni alla mediocrità che invadono sia il web che le redazioni delle case editrici. In caso contrario, si rischia di trasformare Internet – dal punto di vista letterario – in una grande pattumiera a cielo aperto, dove la c.d. "comunicazione orizzontale" è destinata a trasformarsi in un piatto orizzonte di noia.

Grazie per la disponibilità e in bocca al lupo per la tua carriera.

Grazie a voi ragazzi, e buon lavoro.

Marco Giorgini

1
Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj
(senza risparmiare se stessi)
(estratto pubblicato con il consenso dell’autore)

La parola droga ha un suono troppo forte. Si dovrebbe piuttosto parlare di un pomeriggio molle. Tredici agosto: vascelli supersonici nel cielo. Ero rimasto a Roma. Chiudevo gli occhi, chiudevo. E aspettavo una ragazza.

La prima volta fu in un parcheggio incustodito. Era domenica. Un giorno di settembre in un’ora che ritorna sempre uguale. Finiscono le partite e non e’ ancora buio. Il cielo si trattiene su sequenze troppo fragili di luci per non vederselo crollare addosso ogni momento. Lo conosci bene: questo crollo improvviso della domenica sera. In qualche modo te lo aspetti. Lo senti all’autoradio: "Qui e’ San Siro, non c’e’ piu’ niente da fare". Capisci che la domenica e’ andata. L’estate lontana. I collegamenti vengono meno uno a uno. Il senso di tristezza gia’ ti stringe. Tu lo ami. Sei in un parcheggio incustodito e non sei solo. Qualcuno al tuo fianco: cessa improvvisamente di parlare. Per quanto ti riguarda: non stai dicendo una parola da almeno mezz’ora. Apri il cruscotto.

La prima volta fu in un parcheggio di domenica. L’urbanistica ha avuto la sua parte. La citta’ si interrompeva ai margini degli ultimi posti auto. L’asfalto, dopo essersi sgranato fino alla polvere, si tuffava in un mare di erbacce. Gli scheletri dei rovi si dividevano lo spazio con le bottiglie vuote, i materassi abbandonati, le carcasse delle vecchie biciclette.

[…]

La prima volta fu perche’ nessuno riusciva ad evitarlo. L’urbanistica, nella questione della droga, e’ quasi tutto.

Commenta