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Il paese delle meraviglie

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Il paese delle meraviglie
(Giuseppe Culicchia – Garzanti 2004)

L’ultimo romanzo di Giuseppe Culicchia è talmente bello che ti riconcilia con la narrativa italiana contemporanea e all’improvviso ti accorgi che pure da noi non ci sono soltanto sterili sperimentalismi e libri come La più grande balena morta della Lombardia. No, c’è ancora la narrativa vera, quella che racconta storie importanti e che fa pensare. Per dirla con Hemingway esiste ancora la narrativa capace di far sentire il racconto come parte dell’esperienza personale del lettore.
Il vero protagonista del libro è il 1977, un anno importante della vita italiana, che ci viene presentato attraverso la profonda amicizia di due compagni di scuola. L’autore costruisce una storia fatta di rapporti personali ma soprattutto di politica e ricordi, innamoramenti da liceali e passioni di ragazzini. Il lettore ripercorre tutti i miti del 1977: gli Abba, gli Emerson Lake e Palmer, "Playboy", trasmissioni televisive come "L’altra domenica" e "Odeon", le prime radio libere. Ma ci sono pure i professori che hanno fatto il Sessantotto e ci tengono a dirlo ogni volta che aprono bocca, quasi fosse un titolo, gli scontri di piazza, la Democrazia Cristiana con gli scheletri nell’armadio e gli scandali, Emmanuelle di Silvia Kristel ed Emanuelle di Joe D’Amato, "Supergulp", "Bontà Loro", "Mistero Buffo", "Happy Days" e Fonzie.
I personaggi principali non sono molti ma sono tutti ben caratterizzati e il lettore si affeziona al protagonista Attila che è un apolitico totale, come parteggia per l’amico che è un fascista idealista. Da ricordare la stupenda figura del nonno, un uomo disincatato dalla vita che in gioventù ha pubblicato un libro di successo e adesso scrive ancora ma non vuol più pubblicare niente. Il nonno ricorda le stragi di stato, l’Italicus, Piazza Fontana, è la coscienza storica del libro, ed è fondamentale la sua considerazione: "Come fa uno stato terrorista ad accusare chi si ribella di terrorismo?". Da meditare a fondo, credo.
Il 1977 è un anno importante e delicato, nasce il movimento punk e ci sono i Sex Pistols che insultano la regina durante i concerti, Berlusconi comincia a parlare di politica e Cicciolina eccita gli italiani da Radio Luna. Nel 1977 c’è "Happy Days" con il suo ruolo normalizzatore (ma quanto ci piaceva, allora…), e c’è pure Andy Luotto che in modo manicheo a "L’altra domenica" divide le cose del mondo in "buono" e "no buono". Il 1977 è un anno di scontri di piazza e le Brigate Rosse si materializzano come un reale pericolo per la democrazia. Nel libro di Culicchia ci sono alcune analogie con il film La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, però l’autore usa un tono meno serioso e meno drammatico. E poi tra le righe ci vuol dire che sono troppe le analogie tra la storia di ieri e il nostro vissuto quotidiano (Genova, Napoli, gli attuali scontri di piazza).
Nel 1977 la polizia sparava sui manifestanti e ammazzava, poi magari si parlava di suicidio, oppure si diffondeva la notizia che in uno scontro a fuoco era stato ucciso un pericoloso terrorista. Tutto questo nel libro lo trovate, ma non espresso in modo didascalico, bensì narrativo, attraverso la vita dei personaggi. I protagonisti di Culicchia non hanno niente dei personaggi di Due di due di Decarliana memoria, sono due ragazzini che non si occupano di politica vera, pure se uno dice di essere fascista. Il ragazzino fascista è di un’ingenuità disarmante, è un utopista che condivide le idee della sinistra estrema e che prende le sue conoscenze politiche su riviste come "Le Ore" e "Playboy". Non c’è una visione politica schematica, gli eventi sono mostrati come accadono, senza filtro, attraverso la vita scolastica di due adolescenti. I personaggi di Culicchia subiscono la vita e osservano il mondo da fuori, si fanno assorbire e colpire al cuore, vorrebbero cambiare ma non ci riescono. Molto bella la considerazione sui giovani che quando diventano adulti fanno la vita dei padri e il protagonista che dice a se stesso: "Non mi farò fregare anche se non so ancora come".
Il romanzo presenta anche parti molto delicate che riguardano la sorella del protagonista che scrive da Milano e lo incoraggia nei suoi primi contatti con il mondo femminile. Troviamo il primo amore del protagonista che pare la ragazzina dai capelli rossi di Charlie Browne, tanto è irraggiungibile ed eterea. Leggiamo i modi di dire dell’epoca: "Rubare è umano, perseverare democristiano", entriamo nel mondo a colori della nuova televisione, ci facciamo le prime canne e conosciamo il mondo della droga, rivediamo film come Taxi Driver e La febbre del sabato sera. Ci tengo a dire che l’autore sottolinea tutti i crimini democristiani che è bene non dimenticare, soprattutto adesso che si sta diffondendo una stupida nostalgia per il buon governo di una volta. Non è così, pure se con Berlusconi ci pare di stare peggio. E allora ben vengano libri come questo dove si ricorda che Giorgiana Masi è stata uccisa dalla polizia quando Ministro degli Interni era un certo Francesco Cossiga. Culicchia fa molto bene a mettere in ridicolo la balla del colpo vagante sparato dai dimostranti e a denunciare la presenza di poliziotti infiltrati tra coloro che festeggiavano la vittoria del referendum sul divorzio. Fa bene soprattutto perché quello che Culicchia denuncia è storia che viviamo ancora oggi negli odierni scontri di piazza in occasione dei G8 e delle manifestazioni pacifiste. Niente di nuovo sotto il sole.
Il libro ha pure uno stupendo finale che fa gridare di rabbia insieme al protagonista quando scopre che sua sorella è stata uccisa dalla polizia. La sorella muore come l’anarchico Pinelli (andatevi a riascoltare il capolavoro di Claudio Lolli), accusata di terrorismo e precipitata dalla finestra della questura. Il fratello lo viene a sapere solo dal telegiornale mentre un anno di scuola finisce e all’improvviso niente ha più senso. "Io odio tutti", come dicevano i punk, si trova a gridare il ragazzo e non ce la fa più a pensare niente di positivo. Neppure l’amore lo può salvare.
Giuseppe Culicchia ci consegna un romanzo capolavoro, uno spaccato della società italiana del 1977, un libro da leggere e meditare scritto con uno stile leggero e piano che nasconde anni di verità da non dimenticare. Leggetelo. Non ve ne pentirete.


Gordiano Lupi

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