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Terra rossa (2 parte – 10)

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Terra rossa- parte seconda

10. Qualcosa da qualche altra parte – III

E’ notte – calma notte primaverile senza vento ai piedi del monte Arwok – e tutto è silenzio. L’uomo ha sceso le scale e si trova nei corridoi del castello. Non dev’essere difficile raggiungere le stanze del pazzo, e poi tranquillamente farlo fuori. Poi non sa se riuscirà a scappare, ma non è così importante. Quando Cimaron sarà morto, la più grande minaccia che Biggard abbia ricevuto svanirà nel nulla. E non è detto che nella confusione lui riesca pure a scappare, e una volta fuori dal castello chi può rintracciarlo? Saranno troppo occupati a piangere il loro capo.
Il cuore batte forte per l’emozione quando si è vicini alla vittoria, non ha altro da fare che avvicinarsi in silenzio, è tardi e Cimaron se ne sta sicuramente andando a dormire. Gira un angolo e poi torna frettolosamente sui suoi passi. C’è un uomo che si avvicina cantando. Fatica a camminare dritto. Dev’essere un po’ alticcio. E’ un tipo buffo, con una barba incolta, il viso stanco e gli occhi socchiusi. Al nostro uomo viene un’idea. Si sporge, sorride, e va incontro al tizio con l’aria più innocente che può. Lo saluta e quello risponde al saluto come fossero vecchi amici. L’uomo non vuole parlare troppo, capirebbero dal suo accento che viene da lontano, che è uno straniero, un agnello nella tana dei lupi. Si limita a domandare: "Dov’è Cimaron?" in dialetto di Norfolk, sperando di aver detto bene. Del resto, quel tipo è ubriaco… il tizio lo guarda per alcuni secondi in cerca di ispirazione. L’uomo, sempre a bassa voce, ripete la domanda. Quello lentamente si gira verso il fondo del corridoio dal quale è arrivato, e da cui si sentono arrivare voci. L’ubriaco si gira su se stesso e dice all’altro di seguirlo; e siccome fatica a reggersi in piedi, al nostro uomo tocca sostenerlo. Ma non gli dispiace: se è in corso una festa, sarà un ottimo alibi. Arrivano alla porta. C’è un salone dove la festa pare finita. Pochi conversano negli angoli, alcune coppie si baciano, diversi dormono o sonnecchiano sulle sedie o sui tavoli, molti si stanno vestendo e se ne stanno andando.
L’ubriaco indica un uomo seduto proprio al centro della grossa tavolata, dicendo che quello è Cimaron. Indossa un bel cappello rosso con piuma, calato sugli occhi. Si vede spuntare un pizzetto e un grosso orecchino appeso all’orecchio. Sembra addormentato, e tiene le braccia incrociate sulla pancia ben nutrita. Il nostro uomo esulta in cuor suo. E’ indifeso. Saluta l’ubriaco e gli fa un cenno di ringraziamento, poi lentamente si avvicina a Cimaron con il sorriso sulle labbra, come volesse fargli una sorpresa da vecchio amico. Be’, effettivamente sta per ricevere una grossa sorpresa, una sorpresa dolorosa in forma di un pugnale da 40 centimetri conficcato nel petto. Dunque quando è ormai al tavolo ci salta sopra, estrae il pugnale e lo pianta con tutta la forza nel petto della sua vittima addormentata.

Non c’è niente di più che un grido soffocato, niente altro che una morte silenziosa. Passano pochi infiniti attimi di silenzio e poi una signora lì vicino schiude gli occhi e vede un coltello insanguinato nelle mani di un uomo, e un altro uomo immobile con le mani sul petto. Vede un rivolo di sangue cadere dalla bocca dell’uomo. E’ lenta la sua mente, è lenta per nascita ed è rallentata dal vino che ha bevuto. Gli ci vogliono molti secondi per capire. Sussurra "Che succede?". Il nostro uomo si gira verso di lei, e le fa cenno di fare silenzio, sorridendo. Non c’è davvero problema. Non importa quel che gli succederà ora. Cimaron è morto.
Ma la signora chiede ancora che è successo, e stavolta a tono più alto. Ancora una volta, e sta quasi gridando piena di paura. Finchè la sua domanda diventa un verso sconnesso che richiama l’attenzione di tutti quanti.
Il nostro uomo si allontana, ma senza fretta. Alcuni uomini vedono il suo pugnale e gli gridano qualcosa, finchè uno di loro più intraprendente gli blocca le braccia, imitato da altri, e poco dopo è immobilizzato.
Lo tempestano di domande e di insulti mentre la donna piange sulla spalla del cadavere.
"Chi sei? Cosa ti ha fatto quest’uomo?"
"Quest’uomo era malvagio. Io sono venuto dal Sud per ucciderlo, e ora la mia missione è compiuta."
"Tu sarai giudicato e impiccato, uomo. Hai assassinato un nostro amico."
"Potete farmi quello che volete. Ho ucciso Cimaron. Questo è sufficiente."
Ci sono degli attimi di silenzio e dei mormorii che corrono per la sala.
Finchè uno degli uomini si volta verso un lato della sala e chiede: "Cimaron Di Leent, nostro Signore. Quest’uomo asserisce di averti assassinato. Che ne pensi?"
Qualcuno si avvicina. Il nostro uomo sente i suoi passi e guarda in quella direzione, riconoscendo l’ubriacone al quale ha chiesto informazioni poco prima.
"Non so, sinceramente non mi ero accorto di essere morto", dice.
Panico.
"Mettetelo in prigione. Dovrà rispondere dell’assassino del nostro amico Tobias Nerioh."
Ha sbagliato uomo.
"Agli ordini, Cimaron."
Il nostro uomo ha lo sguardo perso di un disperato che ha buttato all’aria una fortuna.
Cimaron ha il sorriso sollevato di chi ha utilizzato quella fortuna per sopravvivere alla morte.
"C’eri andato vicino, ragazzo. Non averne a male."
Ma il nostro uomo non ha più parole, non ha più speranza. Gli uomini di Cimaron lo trascinano nelle prigioni del castello.

Lo torturarono a lungo, dopo averlo mutilato delle dita, una ad una, e di un orecchio. Lo fecero soffrire finchè non si spense. Non era morto: ma non reagiva più nè al dolore nè alle parole. Si lasciò morire di fame e trascorse le ultime ore della sua vita passando da un sonno pieno di atroci incubi a una realtà piena di atroci incubi. E poi morì, e gli incubi finirono, forse.

Alessandro Zanardi (continua)

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