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Painkiller

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Una dozzina di anni fa, 4 sconosciuti ragazzotti texani, John Carmack, John Romero, Adrian Carmack e Adrian Smith, crearono Wolfenstein 3D e, di fatto, inventarono il genere degli FPS (First Person Shooter) cambiando per sempre il mondo dei videogiochi. Oggi, dopo oltre 10 anni, molti si sono scordati di cosa erano gli sparattutto in prima persona dei primi anni 90. Niente strategia, niente componenti stealth o rpg, nessuna interazione con l’ambiente, ma solo pura e semplice adrenalina. Orde di mostri si gettavano sul malcapitato protagonista che, armato di tutto punto, con un arsenale da fare invidia all’esercito americano, doveva eliminare tutto quello che gli si parava davanti per poi passare al livello successivo fino all’immancabile scontro con il mega boss finale, in puro stile arcade anni 80.
Sembrano avere la memoria lunga gli uomini della People Can Fly, softwarehouse polacca, che, al loro primo lavoro, escono con uno sparatutto che sa di antico, che riporta alla mente i temibili nazisti di Wolfenstein 3D, i claustrofobici livelli di Doom, il primo, leggendario 3D di Quake, il sapore di giocare per puro divertimento, senza dover utilizzare il cervello, ma solo riflessi e sangue freddo.Tutto questo è

Painkiller

Distribuito da Atari Italia, la trama, del tutto irrilevante ai fini del gioco stesso, viene raccontata mediante intermezzi in computer grafica di pregevole fattura. Daniel Garner, il protagonista, rimane vittima di un pauroso incidente stradale, mentre si appresta a rientrare a casa in compagnia della sua amata. Una distrazione fatale lo catapulta nell’aldilà. Solo che non finisce né in paradiso, né all’inferno, ma in una specie di limbo (nessuno nomina apertamente il purgatorio) nel quale viene costretto, senza che gli sia data una valida giustificazione, a combattere contro le orde di Lucifero, diventando, suo malgrado, il braccio armato del paradiso nella eterna lotta tra bene e male in una guerra che, a suo parere, non gli compete. Nel corso dell’avventura Daniel farà la conoscenza di alcuni personaggi, come una estremamente sexy Eva (proprio l’Eva che state pensando), che lo “aiuteranno” nella sua missione, senza mai intervenire, però, nel combattimento.
Lo stile di gioco consiste nello sparare a ogni cosa si muova su schermo raccogliendo munizioni, armi, armature e medikit come nel più classico degli fps. Ogni locazione è accessibile mediante un check-point, raggiunto il quale viene sigillata, impossibilitando una qualsiasi fuga e costringendo il giocatore a fare a fettine chiunque gli si pari davanti ( e sono molti quelli che gli si parano davanti ). Dopo un determinato numero di mostri uccisi si abiliterà un nuovo check-point e, quindi, una nuova area. Lo stile di gioco è, quindi, estremamente semplice e la trama è decisamente fiacca, ma se si va oltre a queste mancanze ci si troverà davanti ad un ottimo lavoro.
Il motore grafico, interamente sviluppato dalla software house polacca, è probabilmente il migliore attualmente sul mercato (assieme a quello di Far Cry), le texture sono estremamente realistiche e non perdono di definizione avvicinadosi ad esse, il motore particellare è estremamente valido, ottimi anche gli effetti di luci e ombre. Il Pain Engine, così viene chiamato, sfodera un utilizzo pressochè costante di bumb mapping, pixel shader e nebbie volumetriche. Ottime anche le riflessioni su superfici lucide come l’acqua. Il design dei livelli è formidabile (fantastiche le ambientazione del manicomio e della cittadella) sono molto grandi e quasi tutti si sviluppano sia in orizzontale che in verticale. La varietà è estrema, si passa da ambientazioni horror, come cimiteri, catacombe e il già menzionato manicomio, ad altre estremamente originali come un teatro dell’opera o un ponte innevato.I mostri sono originali e ben fatti. Troveremo zombie famelici, scheletri, monaci lancia accette, ninja assassini, samurai demoniaci e, addirittura, delle streghe svolazzanti su scopa. Tutti hanno caratteristiche e stili di combattimento differenti, ci sono quelli che attaccano dalla distanza e quelli che si buttano a testa bassa sul protagonista. Certo, l’IA non è la migliore mai vista, ma funzionale al semplice gameplay non rendendo mai frustrante il gioco.Non si possono non menzionare gli incredibili boss di fine livello anche questi ben caratterizzati e veramente enormi (alcuni di questi, probabilmente, i più grandi mai visti in nessun videogioco) che dovranno essere sconfitti, spesso, più con l’astuzia che con la forza bruta.
Il tutto integrato con una delle migliori implemetazioni dell’ormai onnipresente Havok 2.0, lo stesso motore fisico di Max Payne 2, Deus Ex: Invisible War e Half Life 2, tanto per citarne alcuni. Esplosioni, spari, corpi morti, tutto quanto reagirà perfettamente. Un esempio lampante delle potenzialità della fisica del gioco lo si ha nel livello della cittadella. Incendi divampati in quasi ogni casa causeranno crolli di assi, tetti e balconi estremamente realistici. Più avanti si troveranno corpi appesi a corde, le eventuali esplosioni vicine creeranno onde d’urto che faranno oscillare le corde in maniera estremamente realistica tanto che, gli stessi sviluppatori tedeschi dell’Havok, si sono meravigliati di quanto lo abbiano “spremuto” quelli della People Can Fly. Non solo questo però. L’effetto ragdoll, cioè il comportamento dei corpi dei nemici colpiti, sarà tra i migliori visti negli ultimi tempi. Oltre alla splendida grafica, anche il sonoro contribuisce a creare un’atmosfera horror/gotica come se ne sono viste poche. Le urla dei mostri, le musiche d’atmosfera, tutto sviluppato in maniera egregia. Devo dire però che le musiche metal di contorno agli scontri sono alla lunga decisamente ripetitive e mancano di “carisma” a differenza degli splendidi effetti sonori.
In un gioco come questo una componente fondamentale sono le armi. In Painkiller ne troveremo solamente cinque, ma ognuna con due tipologie di fuoco completamente differenti che, di fatto, portano a dieci il numero di armi disponibili. Tra queste merita una menzione l’impalatore, l’arma simbolo del gioco ( non a caso nella demo la prima arma che si trova è proprio questa), che come sparo primario lancia paletti e come sparo secondario delle granate, due tipologie di fuoco che esaltano ancora una volta il motore fisico.Gli sviluppatori, inoltre, hanno aggiunto la modalità divina : se si raccolgono almeno 66 essenze di mostri uccisi, la vista diviene distorta e in bianco e nero, i mostri evidenziati di rosso e per pochi secondi si è praticamente indistruttibili con una potenza di fuoco schiacciante, tanto da uccidere quasi qualunque nemico con un solo colpo.
Il sistema di controllo è, naturalmente, estremamente semplificato, basti pensare che non ci sono tasti per l’interazione con l’ambiente, non ci si può abbassare, non c’è un inventario. Ci sono i tasti per spostarsi, classici degli fps, i due pulsanti del mouse vengono utilizzati, come ormai è consuetutine, per i due tipi di fuoco e la rotella serve per passare da un’arma alla successiva. Oltre alla barra spaziatrice che serve per saltare non ci sono altri tasti di utilità se non la possibilità di accendere una torcia elettrica per illluminare la zona in cui si guarda, ma è di bassa utilità nel corso del gioco.
Fin qui, a parte la componente tecnica, nulla di nuovo sotto il sole. Ma i designer della People Can Fly hanno deciso di implementare una piacevole aggiunta allo scarno gameplay: E’ possibile conquistare diverse carte dei tarocchi che aggiungono funzionalità varie, come riduzione del danno o maggior potenza di fuoco e aiutano parecchio nelle fasi concitate del gioco. Per ottenere le carte, in primo luogo, è necessario raggiungere, per ogni singolo livello, un determinato obbiettivo visualizzabile mediante il tasto Tab. Questi obbiettivi possono essere i più svariati, come trovare tutte le aree segrete, non raccogliere nessuna essenza dei vari mostri uccisi o utilizzare la stessa arma ( o modalità di fuoco ) per tutto il livello. Dopodichè, le carte, si possono equipaggiare spendendo alcune delle monete collezionabili nel gioco. Queste monete si possono raccogliere in due maniere differenti: distruggendo tutte le casse, bare, contenitori vari, ecc. che si trovano in giro per i vari livelli del gioco, oppure infierendo, utilizzando la Pankiller, la prima arma disponibile, sui corpi dei nemici uccisi. Quest’ultima possibilità sarà decisamente più generosa in termini di monete regalate.
Il gioco è composto da 24 livelli di durata media intorno alla mezz’ora o poco più. Questo porta a una durata totale di circa 15 ore. E indubbio però che, raggiungendo tutti gli obbiettivi assegnati, scoprendo le numerose stanze segrete e provando i 4 livelli di difficoltà, la ore di gioco aumentano sensibilmente. Il titolo poi, per sua stessa natura, è decisamente rigiocabile, anche perché gli scontri sono sempre frenetici e divertenti, ma mai né semplici né frustranti. Questo porta la longevità complessiva a dei livelli decisamente alti per la media dei giochi attuali.
Insomma, siamo al top della tecnica: grafica, audio, motore fisico sono tra i migliori visti fin’ora, ma il gameplay è quanto di più antico si possa immaginare. Per gli appassionati di fps è un acquisto obbligato, per chi cerca, invece, videogiochi più “ragionati”, la ripetitività di tutte le situazioni di gioco potrebbe stancare alla lunga, ma risulta comunque essere un piacevole antipasto in attesa dei blockbuster estivi (si spera) di IdSoftware e Valve.

Alessio Galli

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