KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Travis Meeks

4 min read

Travis Meeks
Live Bootleg
(2004)

Nel maggio 1997 usciva per l’etichetta Outpost, una consociata della Geffen, l’omonimo debutto di una band chiamata Days of the New. Trainato in particolare dal singolo Touch, Peel, and Stand, che rimase diciassette settimane in vetta alla Billboard Rock Chart, il full-length vendette oltre un milione e mezzo di copie nel mondo. Fin qui, nulla di inaudito: solo la cronaca di un successo improvviso, non il primo ne’ l’ultimo di una lunga serie. Già più inusuale, invece, il fatto che la firma in calce ai brani del gruppo fosse quella di un ragazzo di appena diciassette anni: Travis Meeks, appunto.
La vicenda dei Days of the New meriterebbe una trattazione separata: qui c’è giusto il tempo di riportare che il gruppo in pratica si sciolse in seguito al tour che lo aveva portato, nel 1998, ad esibirsi insieme ad artisti del calibro di Metallica e Jerry Cantrell. Riformatisi con una differente line-up, sempre incentrata sulla figura dell’unico superstite Meeks, i Days of the New hanno pubblicato fin qui complessivamente tre album che, in mancanza di titoli veri e propri, si è soliti distinguere per la tonalità dominante della copertina: rispettivamente Orange (1997), Green (1999) e Red (2001). Con il quarto capitolo della serie (identificato come Purple) ormai in dirittura d’arrivo, ma senza alcun contratto discografico firmato, la band era in un certo senso in stand-by; sicchè Travis ne ha approfittato per imbracciare la propria chitarra e rendere omaggio ai fans con una serie di esibizioni, rigorosamente acustiche, nel corso delle quali ripercorrere con generosità le tappe più importanti di una carriera già importante. Una di queste serate ha fornito il materiale per Live Bootleg: più precisamente si tratta di quella del 24 settembre 2003, che lo vide protagonista a Flint, nel Michigan.
Per chi non abbia familirità con i Days of the New, e di conseguenza nemmeno con Travis Meeks, è doveroso spendere qualche parola introduttiva su questo indiscutibile talento del rock a stelle e strisce. Vocalmente lo si può idealmente collocare al crocevia fra Chris Cornell, al quale trovo sia molto vicino in particolare nella capacità di oscillare fra momenti melodici ed improvvise impennate di aggressività, e Jim Morrison, che non a caso finì per impersonare quando contribuì con The End (eseguita con gli altri membri originali del gruppo californiano) ad un tribute-album dei Doors. L’abbinamento di questa voce ruvida ed espressiva con la sola chitarra acustica garantisce momenti di grande intensità ed un clima piacevolmente malinconico, in particolare nei numerosissimi passaggi di picking. In effetti, alle doti vocali ed alle indubbie capacità di song-writing Travis abbina una notevole padronanza strumentale: qui se ne può avere un saggio soprattutto nell’inedito strumentale Orch Of The Medium, che richiama a tratti le divagazioni acustiche di Jimmy Page sulle orme dei maestri Bert Jansch e John Renbourn. Nel complesso, prevalgono i tempi medio-lenti: lo scarno supporto strumentale restringe la gamma della tonalità a disposizione (un problema che qualcuno riscontrava già all’uscita di Orange: album bellissimo, però obiettivamente un po’ monocorde), ma l’intensità espressiva di Travis vi pone ampiamente rimedio.
Autoprodotto e venduto direttamente dal fan club dei Days of the New (
http://www.daysofthenew.com), Live Bootleg si situa effettivamente a metà strada fa una produzione ufficiale ed un bootleg: alla prima lo riconducono il patrocinio dell’autore, alla seconda il packaging piuttosto spartano. L’album, comunque, non presta il fianco a critiche: la qualità audio è assolutamente soddisfacente. Altrettanto, se non di più, lo è il repertorio che sfila in rassegna tra questi solchi. Travis ha pescato soprattutto dal primo disco, di cui interpreta ben sei brani; gli altri due album contribuiscono con due tracce ciascuno, ed a completare il quadro troviamo il già citato Orch Of The Medium. La scelta può essere giustificata dal fatto che il debut album fosse già in origine un lavoro esclusivamente acustico, di cui Travis si trova quindi ora a pieno agio nel riprodurre le atmosfere. Brani come Shelf In The Room e Solitude vengono resi in versione non propriamente calligrafica, ma senza dubbio fedele; la più animata Touch, Peel, and Stand, al contrario, riceve una nuova introduzione e si estende fino a nove minuti di durata.
Il fatto che un’artista di questo livello sia attualmente senza contratto la dice lunga sui paradossi del rock contemporaneo. Il valore di Travis, che peraltro pur essendo sulla scena ormai da sette anni non ha ancora tagliato il traguardo del quarto di secolo, non si discute: sfortunatamente, escludendo il colpaccio realizzato con Orange, la sua musica non sembra in grado di procurargli grandi attenzioni mediatiche. Per colpa di, o forse grazie a questo, Live Bootleg non farà capolino su alcuno scaffale: gli intenditori se lo procureranno comunque, gli ascoltatori più distratti probabilmente non verranno mai a conoscenza neppure della sua esistenza.

Fabrizio Claudio Marcon

Commenta