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Sotto al braccio

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Sotto al braccio

Solo in quel momento, si rese conto in cosa consisteva quel pensiero che lo aveva accompagnato per tutta la giornata. Sabato, ultimi giorni di giugno. Si era svegliato male quella mattina, stonato, stordito, i residui dell’alcol della sera prima lo avrebbero accompagnato per il resto della giornata, proprio come quel pensiero. Cos’era stato il venerdì sera era ininfluente in quel momento, la solita serata, un drink tira l’altro, sbornia, leggera ma non troppo.
Era curioso come in quel momento, avesse tutto il tempo per ricordare, cercare quantomeno. I ricordi erano sbiaditi, confusi da uno strato di nebbia, ma quel pensiero – ENTITA’ – era presente in ogni istante della giornata, lì, una presenza scura, celata, sotto al braccio sinistro. Aveva girato in macchina quel pomeriggio – CALDO – SUDORE – e quella cosa era sempre stata lì, sotto al braccio, ad accompagnarlo in tutti i suoi giri stonati – COL CALDO.
Eppure in quel momento non riusciva a ricordare in che modo era apparsa. Come materializzata dal nulla sotto al braccio, scura –
OPPRIMENTE – liberatoria. Sapeva fin dalla sera prima il programma del
Sabato notte, forse dalla settimana precedente. Quella sera ci sarebbe stata la consueta festa – GIRONE INFERNALE – estiva di beneficenza –
LADROCINIO – organizzata dalla sezione giovani della Loggia del
Leopardo. Si era trovato con gli altri della compagnia nel solitopostoallasolitaora e l’entità oscura era sempre lì sotto al braccio ma nessuno si era accorto di nulla. Avevano preso la sua macchina e si erano diretti alla prima sosta carburante – ALCOOL – per non arrivare alla festa non ancora carburati. Sin dalla prima sosta – ne seguirono altre due, tre… – i ricordi erano diventati sempre più ovattati, smerigliati, e l’unica sensazione precisa proveniva da sotto al suo braccio. Si erano poi diretti alla festa, all’ora giusta, in un posto in campagna, non troppo distante dal quotidiano vivere.
Ecco, solo ora capiva che la cosa sotto al braccio era stata nascosta per tutto il tempo dalla sua giacca chiara – JEANS SCURI – stile svaccato.
Fin dal parcheggio aveva incontrato facce conosciute, persino tra gli organizzatori – GIOVANI LEOPARDI – ma non c’era stato verso di entrare agratis. 20, 25, 30 mila, non ricordava di quanto si era alleggerito, era comunque troppo, ma era per beneficenza – NON CI CREDEVA NESSUNO.
In quel momento, tornava indietro col pensiero, per rendersi conto di quello che stava facendo.
Una volta dentro, iniziarono il solito giro perlustrativo del campo di battaglia, un po’ per rendersi conto del nemico. Un salto al bar per un giro di alcool – BIBITE=FURTO – e poi di nuovo sul percorso di guerra. Le solite facce che si incontrano alle feste d’estate, i soliti saluti, sorrisi – PRECONFEZIONATI – , due parole e via di nuovo nel vorticoso GIRO accompagnato dalla cosa sotto al braccio. Non ne poteva più di quelle – SOLITE – feste, dei – SOLITI – splendidi, delle
– SOLITE – fighe che ti cagagano solo di striscio come se avessi la lebbra, la rabbia o forse l’A I D S.
NON NE POSSO PIU’ – continuava a ripetersi mentalmente, come un mantra per entrare in sintonia con la cosa che portava sotto al braccio. E così qualche minuto prima – GLI SEMBRAVANO MESI – mentre si trovava nella pista da ballo circondato – ESTRANIATO – dai soliti volti, aveva allungato la mano – DESTRA – sotto alla giacca e aveva realizzato di cosa si trattava.
Aveva passato per alcuni istanti le sue dita sul freddo metallo – DURO
– come affascinato da un oggetto mistico, sacro.
Poi tutto si era fermato, o meglio l’universo aveva rallentato il suo corso come per sottolineare gli eventi che stavano per rovesciarsi sul quel sabato sera. Egli poteva vedere il mondo evolvere fotogramma per fotogramma, uno dietro l’altro in una lenta ma inesorabile successione. I suoni gli arrivavano attutiti, ma la sua mente era in quell’istante pervasa da una strana – CORROTTA – lucidità. Aveva impugnato la cosa, e si accingeva ad estrarla dalla giacca per compiere quello che le stelle, in quella calda sera d’estate, avrebbero assistito immobili.
Nel momento in cui portò alla vista dei presenti lo strumento della purificazione, le reazioni furono svariate. C’era chi sorrideva pensando ad uno scherzo – STOLTI – c’era chi, intuendo il proprio destino – MORTE -, sbiancava e tentava inutilmente di allontanarsi dal raggio d’azione della canna della mitraglietta UZI nuova di pacca.

Premette il grilletto.

In pochissimi istanti vennero vomitati dall’arma migliaia di colpi che raggiunsero, senza preferenza alcuna, gli astanti. Poteva sentire le migliaia di proiettili uscire uno ad uno, poteva avvertire i colpi straziare i corpi delle vittime, farsi strada nelle carni lacerate, le ossa spezzarsi nell’urto coi proiettili. Catturava maggiormente la sua attenzione la fiamma purificatrice che usciva dalla mitraglietta ad ogni raffica; e il rumore che i singoli bossoli producevano nell’impatto con il terreno, era per lui estremamente rassicurante.
Avvertiva il terrore delle vittime, era la sua forza, era lo stimolo che teneva premuto il dito sul grilletto. E le ragazze cadevano e i ragazzi pure, senza distinzioni, buttafuori, cubiste, lesbiche, frocetti, machi, Leopardi giovani e non. Gocce di sangue avevano macchiato la sua faccia, la sua anima, poteva sentirne il calore mentre scendevano lungo le gote giù fino al mento. Il pavimento era ormai un lago di sangue ricoperto da una risacca di corpi vuoti –
PIENI NON LO ERANO MAI STATI. Cominciava forse a rendersi conto di quello che aveva fatto, aveva purificato col sangue la merda del suo mondo, della sua vita – E’ UNA COSA SBAGLIATA FIGLIOLO – ma non poteva smettere ora, non era possibile tornare indietro una volta varcata la soglia. Cosa avrebbe seguito a quel momento? La cattura – TERRORE – l’espiazione delle sue colpe – QUALI COLPE – non poteva concludersi miseramente quel momento grandioso nell’esistenza del mondo, doveva trovare una degna conclusione per quella notte d’estate.
Smise di sparare, intorno a lui solo involucri – INUTILI – i pensieri si accavallavano, la lucidità che lo aveva accompagnato in quei momenti lo aveva improvvisamente abbandonato e non riusciva a trovare il da farsi. Era lì fermo, in piedi al centro della pista, accarezzava la canna rovente della mitraglietta che si era portato al petto, godeva del calore del metallo e di quell’odore di polvere da sparo misto sangue che riempiva l’aria. Nessuno avrebbe mai potuto capire il suo gesto, nessuno lo avrebbe mai ringraziato per quel lavoro di pulizia. Ma forse – SPERANZA – qualcuno avrebbe raccolto il messaggio che lui per primo aveva lanciato, e avrebbe continuato la sua opera per il bene del mondo.
Poteva avvertire in lontananza le sirene delle forze dell’ordine avvicinarsi al luogo della festa – MASSACRO – era giunto il momento di concludere la serata. Volse la canna dell’UZI verso il suo torace e… click.
Una raffica di proiettili lo trapassò da parte a parte, colpendo i centri vitali e donandogli un lampo di estasi, mentre frammenti irregolari del suo cervello, volavano disordinatamente lontani dal suo corpo che si riversò a terra sulle migliaia di bossoli sparati in quei pochi minuti.
Lo spettacolo che si presentò agli occhi delle forze dell’ordine, della croce rossa, dei giornalisti fu agghiacciante; un massacro in piena regola, per opera di un folle, avrebbero tuonato giornali e notiziari il giorno dopo.
Ma un dettaglio in particolare sarebbe giunto all’attenzione di tutti, l’arma della strage non fu mai ritrovata…

Il seme gettato aveva attecchito.

Fabrizio Guicciardi

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