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La sentenza Bosman

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La sentenza Bosman

Come si sente dire spesso in questi giorni nei Tg sportivi, nella prossima stagione calcistica le società avranno la possibilità di schierare un numero illimitato di giocatori stranieri (si ricorda che ora il limite è di tre).
Vediamo però da cosa è nata questa svolta storica per lo sport in generale oltre che per il calcio di tutta Europa. Tutto nasce dall’iniziativa di un calciatore belga pressoché sconosciuto, Jean
Marc Bosman. Egli nel 1990 era tesserato per il Royal Club di Liegi e, scadutogli il contratto, trovò un ingaggio alla società francese del
Dunkerque. Il Liegi a questo punto pretese il pagamento da parte del club francese dell’indennizzo calcolato secondo i parametri stabiliti dalla UEFA bloccando il trasferimento. Bosman reagì adendo le vie legali sostenendo l’illegalità della presenza di questi indennizzi da versare per i trasferimenti di giocatori senza contratto e il contrasto con il diritto comunitario delle norme che limitavano l’utilizzo di calciatori stranieri.
Dal 1990 ad oggi si è passati attraverso varie Corti e sentenze fino ad arrivare alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee la cui sentenza, emessa di recente (dicembre 1995) dava ragione al giocatore in ogni punto del contendere cambiando così una parte fondamentale delle norme che regolano le competizioni nazionali e internazionali.
Dal giorno dell’emissione della sentenza ci sono state tante discussioni sulla sua opportunità, sulle conseguenze che essa avrebbe portato.
Per quanto riguarda l’abolizione dei parametri risulta evidente che chi sarà maggiormente avvantaggiato saranno quelle società che dispongono delle maggiori risorse economiche. Poco cambierà quindi rispetto alla precedente situazione.
Cambia qualcosa invece con l’abbattimento dei limiti di utilizzo di atleti stranieri. Le obiezioni maggiori a questo provvedimento riguardano i pericoli che potrebbe correre la nazionale perché la grande invasione di stranieri toglierebbe posti nei club per i giocatori italiani. Questo sembra sia il problema principale.
Vorrei sottolineare la superficialità di queste osservazioni: fino ai primi anni ottanta non era possibile per le società italiane schierare giocatori stranieri ed è evidente che il periodo più buio per la nazionale è coinciso proprio con il periodo di chiusura verso l’estero. Credo che la nazionale di calcio non sia mai stata competitiva come lo è adesso.
A parte poi ragioni di carattere sportivo, l’apertura totale delle frontiere nello sport è naturale conseguenza del mercato comune che coinvolge tutti i professionisti europei permettendone la libera circolazione all’interno dei quindici Paesi dell’Unione. Visto che si parla di atleti professionisti non vedo perché ci debba essere discriminazione nei loro confronti ponendo loro limitazioni anacronistiche.
E’ chiaro che dalla prossima stagione potrà succedere che una squadra di club italiana schieri undici elementi non italiani. Allo stesso modo una squadra inglese, per esempio, potrà schierare undici italiani. Ci si dovrà abituare ma secondo me sarà più interessante.
Potrebbe capitare di assistere ad una finale di Coppa dei Campioni tra
Juventus e Ajax in cui vi sia un maggior numero di giocatori italiani nella formazione olandese.
Però, come si tifa Ferrari, che tradizionalmente preferisce piloti stranieri, si potrà tifare una società italiana anche senza connazionali.

Francesco Gavioli

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