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Tre sentieri per il lago

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Tre sentieri per il lago:

l’impossibilità di amare in

Ingeborg Bachmann

Uscito in Germania per i tipi della Piper & Co. Verlag Munchen nel
1972, Tre sentieri per il lago è un racconto scritto da Ingeborg
Bachmann, scrittrice austriaca protagonista della letteratura in lingua tedesca degli anni ’50 e ’60 e che dà il titolo alla raccolta pubblicata in Italia da Adelphi (1980).
L’autrice, nonchè voce narrante, pone al centro del racconto le riflessioni e i ricordi di Elisabeth Matrei, una donna cinquantenne, giornalista e fotografa di successo, che ha lasciato la sua terra, la
Carinzia, ed ora vive divisa fra le metropoli parigina e newyorkese, viaggiando continuamente per lavoro.
Siamo in estate, in Carinzia, dove vive il vecchio signor Matrei e dove Elisabeth è solita trascorrere le sue vacanze insieme con il genitore. Ma questo viaggio, che sarà presumibilmente anche l’ultimo, diventa ora per lei, donna matura e professionalmente affermata, occasione per ripercorrere la sua vita passata, ricordare i suoi amori e riconciliarsi, infine, con la figura paterna e con l’Austria da cui la protagonista, come la sua autrice, si era allontanata.
Le riflessioni di Elisabeth, su cui è costruito questo lungo racconto, si sviluppano in due direzioni principali: il desiderio di ritornare al lago, ripercorrendo i tre sentieri che passano per il bosco e il bisogno di fare chiarezza sui suoi rapporti sentimentali del passato e del presente.
Il lago è una immagine ricorrente nella produzione letteraria della
Bachmann, sempre ricca di metafore e immagini che rinviano a significati più profondi e nascosti. In particolare, l’acqua è l’elemento simbolo dell’universo materno primordiale, della spiritualità del femmineo, come pure della natura, vista come un regno senza confini, silenzioso ma pure con un suo linguaggio fatto di parole “altre”, un mondo nel quale è possibile immergersi e abbandonarsi nell’annullamento del Sè.
E’ in questo elemento che vive la protagonista di un altro racconto della Bachmann, intitolato Undine geht (nella traduzione italiana
Ondina se ne va, pubblicato nella raccolta Il trentesimo anno).
Ondina è una creatura mitologica, metà donna e metà pesce, che, per amore di un uomo, Hans, decide di lasciare il suo elemento per cercare di vivere nel mondo degli esseri umani. Al primo seguiranno tanti altri Hans, che Ondina amerà sperando di trovare in loro il vero Hans
– cifra dell'”Uomo Nuovo” a cui anche Elisabeth aspira – finchè, infine, non arriverà a constatare che tutti questi uomini non saranno mai in grado di condividere la solitudine, poichè la loro non
è eterna come la sua, che è la solitudine della natura.
Da qui la sua decisione di lasciare il mondo degli umani per ridivenire puro spirito della natura e ritornare al suo elemento, l’acqua, nel quale può annientarsi, rinunciare al proprio Io per confondersi con il Tutto.
Il lago a cui Elisabeth cerca di arrivare percorrendo i tre sentieri nel bosco è anch’esso cifra dell’universo materno, della natura, delle origini della vita, delle proprie radici.
Ma non è facile ritornare ad esso ed immergersi nelle sue acque: i tre sentieri sono interrotti dal cantiere di una moderna autostrada. In questa opera si può vedere l’immagine della società e del mondo moderno, nati dalle rovine dell’ultima guerra e caratterizzati dalla perdita di valori e dalla vocazione all’autodistruzione. Nelle sue opere liriche e in prosa Ingeborg Bachmann non manca infatti di criticare il mondo contemporaneo, impegnato in una guerra fredda e in una assurda corsa al riarmo che generano caos e disorientamento fra gli uomini e li condannano all’autoannientamento.
Solo percorrendo le strade di una città ormai cambiata e irriconoscibile, ella raggiunge, insieme al padre, il lago, anch’esso diverso da quello conosciuto nella sua infanzia. Eppure, anche se solo per alcuni istanti, immersa in queste fredde acque, Elisabeth sente di avere ritrovato le sue radici e prende coscienza dell’amore che la lega alla sua terra e al padre.
Ora non ha più senso per lei rimanere ancora in Carinzia. Dato che il momento della riconciliazione con ciò che aveva lasciato si è compiuto, non le resta che dare l’addio al padre e al suo paese, l’Austria.
Il soggiorno nella casa paterna offre, inoltre, alla protagonista l’occasione per rievocare i momenti più importanti della sua vita e ricordare gli incontri e i rapporti che l’hanno segnata .
Fra i tanti uomini che ha conosciuto solo uno, ora, lei riconosce come il vero amore della sua vita: il conte Franz Joseph von Trotta, un nobile di origine austriaca senza più radici, la cui disperazione per il suo stato di esiliato lo porterà al suicidio.
Era lui che le aveva fatto crollare quel muro di false certezze che
Elisabeth aveva eretto intorno alla sua vita e al suo lavoro. Le aveva fatto capire che non esiste un futuro, che ognuno ha un proprio destino e il suo era quello della “estraneità”, ovvero, per dirla con le parole dell’autrice, “aveva trasformato lei, un’avventuriera che si aspettava dal mondo Dio sa che cosa per la sua vita, in un’esiliata”.

Oltre a Trotta, Elisabeth aveva avuto altri uomini, alcuni dei quali aveva creduto di averli amati davvero. Ma ora, rievocando e rivivendo nella sua mente i momenti vissuti con loro, ella non può fare a meno di giungere a questa conclusione: che nessuna relazione era stata in grado di realizzare una comunione fra la sua solitudine e quella dell’altro, che non esisteva ancora l'”Uomo Nuovo”, un uomo “che potesse significare tutto per lei, che le fosse diventato indispensabile, una persona che aveva in sè la forza e il mistero che aveva sempre atteso, qualcuno che fosse veramente un uomo, e non un qualche essere bizzarro, sperduto, un debole o uno di quelli che hanno bisogno di aiuto”.
Ondina, Elisabeth e, con loro, tutte le altre figure femminili create dalla Bachmann, dopo aver a lungo e invano cercato questo “Uomo
Nuovo”, rinunciano dunque ad ogni rapporto con gli uomini. Anzi, la protagonista di Tre sentieri per il lago si spinge ad affermare che
“le donne e gli uomini avrebbero fatto meglio a tenersi a distanza, a non avere molto a che fare le une con gli altri fino a quando non fossero usciti da quel profondo disordine, dai turbamenti e dagli sfasamenti presenti in tutti i rapporti”, nell’attesa del giorno in cui saranno in grado di condividere i loro sentimenti e la loro solitudine senza “sfasamenti”, vivendo in un’unica dimensione, in un unico tempo.
Il finale del racconto non è che una conferma di questa convinzione a cui è approdata la protagonista: un incontro casuale all’aeroporto con un uomo visto solo poche volte, cugino di Trotta, il quale le rivela, soltanto ora, dopo che si è da poco sposato, di averla sempre amata.
Un amore vissuto solo dall’uomo, senza che Elisabeth ne sapesse nulla, un amore che avrebbe potuto essere e non è stato, come tanti.
In tutte le sue opere in prosa la Bachmann pone in primo piano la solitudine delle protagoniste, la loro incapacità di fondare un rapporto profondo con l’altro. Le sue sono tutte donne senza figli, per sottolineare in tal modo la loro estraneità a un mondo che non possono sentire loro, un mondo lontano dalla natura, e la volontà di non essere complici e compartecipi di tale realtà.
Le figure femminili della prosa e della lirica bachmanniana sono tante immagini o proiezioni della loro stessa autrice, attraverso di loro la
Bachmann ci ha rivelato sè stessa, i suoi dubbi, le sue pene, i suoi desideri, la sua duplicità di donna bisognosa di amore e viandante senza patria condannata a combattere sempre.
Quella della scrittrice austriaca è un’opera complessa, che lascia ampio spazio alla speculazione teoretica e che si presta a molteplici letture e interpretazioni. Io ne ho indicate solo alcune, non certo le più importanti, ma quelle a mio avviso più interessanti.
Lascio a voi, se vi va, di cercare altri spunti di riflessione, altri significati.

Sandra Ansaloni

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