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Voci che sussurrano

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Voci che sussurrano

Un caloroso saluto a tutti i lettori abituali della rubrica SUSSURRI, ed un cordiale invito a tutti gli altri affinchè dedichino qualche istante a queste righe introduttive, superflue per la fruizione dei testi che seguiranno, ma utili perchè l’angolo dedicato a racconti e poesie mantenga l’ottimo stato attuale, e possa anzi migliorare ancora.
In vena di revival, inutile dirlo, questo febbraio, probabilmente sotto l’effetto fiera che riempie la mente di tutti noi redattori di ricordi relativi agli inizi della nostra storia, è il caso di ripetere rapidamente le “regole del gioco”.
Le “regole”, cioè, che fanno riempire le pagine non solo di questa rubrica, ma di tutto quanto KULT Underground.
Questo è il vostro spazio, e se il vostro spazio compenetra con il nostro non è per forzare gli eventi, ma perchè qualcuno, di qua del muro, ci deve essere a raccogliere, catalogare e pubblicare.
E questo vuole soprattutto dire che chiunque di voi ha la possibilità di aggiungere un mattone a questa o ad altre sezioni della rivista, contribuendo come crede a mostrare la cultura o il modo di pensare di questo particolare momento. Ogni mese quello che vedete è un spaccato di questo periodo storico, è la campionatura di tanti volontari che offrono la loro “arte”, il loro modo di esprimersi per rendere voi coscienti che loro ci sono, e vogliono fare qualcosa.
Perciò pensateci, durante la lettura dell’ottimo e vario materiale seguente. Pensate che anche voi potreste avere firmato uno di questi testi, presentandovi così al folto pubblico come autori anzichè lettori. Non si vince nulla a farlo. Nessuno vi pagherà per questo. E facendolo implicitamente darete ad altri la possibilità di pubblicare i vostri scritti (a nome vostro) su altri giornali, senza bisogno di avvertirvi. Non perderete i copyright dei vostri testi, ma il loro controllo, la loro capacità di diffusione, come se li gettaste in un fiume, dopo averli chiusi in una bottiglia.
Se questo vi trattiene, non c’è problema. Continuate a seguirci e leggete ciò che altri offrono voi.
Ma se decidete che il passo è fattibile, che il gioco, in fondo, vale la candela, datevi da fare e contattateci. Difficilmente ve ne pentirete, e altri, come voi in questo momento, sapranno di stare per leggere materiale originale ed interessante.

E chi ha già dato del suo, anche questo mese, c’è.
Dalla ben nota Asia 68, che ci invia dopo qualche mese di assenza, altre due poesie, a nomi più nuovi, passando per autori che hanno reso intrigante ogni mese con i loro scritti, come IGNATZ e Raffaele
Gambigliani Zoccoli.
Ma partiamo con ordine.

Il mese di febbraio è aperto, come appena accennato, da Asia 68 con due opere chiamate rispettivamente 6 Febbraio 1987 e Giacche scure.
Poesie apparentemente in contrasto l’una con l’altra, ma sicuramente assimilabili al discorso che si intravede nella maggior parte delle opere di questa autrice. La prima tratta infatti della contrapposizione tra immaginazione, tra desiderio di fuga, almeno mentale, e la realtà; realtà in cui i colori non sono brillanti come si vorrebbe, nè l’aria sufficentemente pura e rinfrancante.
La seconda, invece, dell’ambiguo rapporto con gli altri che molte persone si trovano ad avere. Volere usare il termine di “ribelle”, forse è eccessivo, ma dentro “Giacche scure” si sente quel sordo rumore che sale impetuoso dentro chi si sente diverso, escluso, per motivi differenti, dalla categoria della “gente seria”, che fa dei propri simboli muro per tenere a distanza chi “serio” non vuole o può essere.
Come al solito entrambe le poesie sono estremamente vivide e sentite, con quello stile semplice e immediato che tanto ha fatto apprezzare
Asia 68 dai lettori che ci hanno contattato.

Let’s fly together di Marco Giorgini, poesia double-face in inglese con traduzione in italiano è ispirata dallo stato di guerra permanente di molti paesi, in cui la lotta continua non può non alterare i valori per noi comuni.

Monica Orsini, dopo l’esploit del mese scorso ritorna questo febbraio con tre brani in linea tra di loro, nei quali, come in quelli di Asia
68, si scorge chiaramente la difficoltà di molti giovani dalla sensibilità particolarmente sviluppata di accettarsi, di riuscire a ritrovarsi negli altri, e di essere in grado di confrontarsi con il mondo riuscendone vincitori. Nell’anima il mostro è una poesia dal ritmo particolarmente caratteristico: l’uso di termini non comunissimi, e la presenza di strofe ripetute fa si che ricordi qualcosa di classico come forma, ma non così classico a livello di contenuti. Il soggetto, lo specchio che riflette ciò che noi siamo in realtà, ha precedenti illustri, ma non per questo il testo è meno valido o incisivo nel suo negare la nostra capacità di superare un certo stato di coscienza e di “nullità”, per usare un termine proposto dall’autrice stessa.
Il riflesso è una sorta di rielaborazione sul tema. Lo specchio, elemento fondamentale del corto dialogo che compone lo scritto è nello stesso tempo quello che nella precedente poesia mostra le nostre brutture, sia quello più mite che in fondo, come in un nastro di
Moebius, ci raggiunge all’improvviso da dove non ci aspetteremmo, per sconvolgere il nostro credo, e la nostra stabilità.

Thomas Serafini, oltre ad essere un valente programmatore e un buon compositore, come dimostra all’interno di KULT Underground, si rivela essere anche un bravo scrittore satirico. Nella seconda parte di
Birra, Prigione e Computer continua nella metamorfosi che ha compiuto sui dietro le quinte della rivista, per presentare nuovi personaggi e per finire di coinvolgere quelli già presenti.
Il finale a sorpresa che mi vede coinvolto in una non piacevole situazione farà sicuramente sorridere chi di voi ha già apprezzato la prima parte, ricca di elementi divertenti e di “colpi di scena”.

Ne sai una più del diavolo è un racconto breve composto da Gatto
(Lambrusco per chi frequenta la BBS LLABBRA), che già si era fatto conoscere in gennaio con un articolo sui CB (aprendo fra l’altro un fenomeno che sembra avere molti appassionati). Definire questo testo mi è un po’ difficile: un racconto con il finale ad effetto è sempre qualcosa di molto singolare, soprattutto quando viene mischiato l’elemento computer con il soprannaturale canonico. Il risultato? Beh, non si può negare l’ottima struttura, e, se si vuole ricordare la giovane età dell’autore non si può negare neppure l’efficacia delle immagini proposte e il fatto che la storia è abbastanza intrigante da forzare una lettura tutta d’un fiato.

Monica Orsini, oltre alle due “poesie”, o comunque componimenti, di cui abbiamo parlato all’inizio, si è anche cimentata con un “racconto” dal titolo La paura della finestra aperta. Il fatto che io abbia usato le virgolette sia per indicare le poesie, che per descrivere come racconto questo testo, non è casuale. La similitudine ad un dialogo interiore, ad una sorta di pagina di diario di tutti questi scritti
(forse ad eccezione del secondo) è tale da chiedersi se la mia classificazione sia in effetti esatta. Ritornando al discorso fatto precedentemente, la forza letteraria di questi pezzi è forse maggiore per la loro immediatezza, che per lo stile o la scelta della struttura dei brani. Si sente anche in questo articolo, in cui si parla dell’apatia dovuta alla paura del confrontarsi con ciò che va al di là di noi stessi, vinta alla fine con la gioia di sentirsi più vivi, tutta l’agonia, volendo usare un termine appositamente forte, di chi, giovane, non sa ancora contro cosa sta lottando.

IGNATZ, al secolo Doriano Rabotti, ci presenta il secondo scritto di questo nuovo anno, La macchina del tempo, riproponendo, notevolemente arricchito e sviluppato, il tema dell’invenzione impossibile. Fra l’altro, caratteristica particolarmente simpatica, l’assonanza con il racconto di Wells, finisce dove inizia il racconto: la macchina del tempo, acquistata per posta, come le lezioni di magia in “Pomi d’ottone e manici di scopa” della Walt Disney, è più una macchina della realtà, che un mezzo per scorrazzare tra le epoche. Non volendo rovinare il sapore unico di questo racconto di media lunghezza, eviterò di descrivere quei particolari che hanno colpito me, durante la lettura, ma la trama, singolare e coinvolgente, è notevolmente arricchita dalla descrizione dei personaggi e delle situazioni: il suono “americano” dei nomi dei protagonisti, l’inizio stesso del racconto, che mi ha in qualche modo ricordato un passo di Pavese, e lo svilupparsi della trama verso un finale “strano”, senza veri vincitori nè vinti, vi aiuterà a cogliere qualcosa che mi sembra essere mutato nello stile di uno dei più fedeli autori di KULT Underground…

E quando si parla di fedeli autori è inevitabile ricordare un altro di quei personaggi che hanno, con la loro forte e complessa personalità,
“piegato” SUSSURRI, plasmando l’idea di chi legge questa rubrica, in base ai loro scritti. Sto ovviamente parlando di Raffaele Gambigliani
Zoccoli che propone un’altra perla della sua produzione sotto le armi:
2dx. Lungi da me l’aver capito il titolo, che forse sarà invece ovvio a molti di voi, non mi è invece sfuggita la straordinaria efficacia dell'”istantanea” scattata dall’autore alla sua camerata. Reale o fittizia che sia, non c’è un particolare inverosimile, o mal proposto, nè un solo elemento che non suoni come l’alza bandiera delle otto, o come l’odore carico del cibo della mensa truppa, o come il colore delle piastrelle del bagno, per quanto diverse possano queste cose essere di caserma in caserma. Lo stile, affinato rispetto a quello già ottimo dei racconti kafkiani di qualche tempo fa, ondeggia verso scrittori più americani, e contemporanei, e l’elemento visivo, per così dire, cinematografico delle situazioni, è stato rivalutato, messo ad un piano diverso, rispetto a prima.
So di non essere l’unico ad attendere con ansia, mese dopo mese, i suoi scritti e quelli di IGNATZ, e forse, con il passare del tempo, la mia obiettività nei loro confronti sta scemando. Oppure, cosa che credo egualmente possibile, ci sarà qualche nome che conoscerò tra le nuove leve della letteratura italiana del secolo che viene…

In chiusura un nuovo collaboratore che ha deciso di firmarsi con una sigla anzichè un nome: VDS. Anche nostra è la curiosità di scoprire cosa si nasconda dietro queste tre lettere maiuscole, soprattutto dopo la lettura del notevole Con qualche indecisione. Racconto pieno di allusioni a qualcosa che si intravede più o meno chiaramente, ma che mai si riesce a cogliere nel complesso, è sicuramente un altro di quei testi che si leggono senza fermarsi, cercando di capire cosa sta succedendo, perchè, e chi è l’io narrante, mentre tutto scorre, ed il racconto, come d’incanto finisce, lasciando senza risposta molte delle domande che vorremmo porre all’autore.
Non resta che augurarci che VDS non voglia interrompere senza un seguito la sua collaborazione con noi…

Sicuro di avervi rubato troppo tempo, e di non avere reso giustizia completamente agli autori di questo mese, vi saluto, e vi auguro una buona lettura.
(Lo sapete, no, che adesso dovete premere F5, vero? Eh, sì, certo che lo sapete…)

Marco Giorgini

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