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Notturno (I)

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Notturno (I)

Anche oggi il lavoro volgeva al termine, si trattava più che altro di far passare una mezz’ora e metter via gli attrezzi, dopodichè il viaggio fino a Delia, la cena al Torrentino, forse una di quelle bistecche alla fiorentina come solo li si trovavano, appena scottate con un po’ di sangue che trasuda dalla carne morbida. Sangue, mi pareva quasi di vedere il rivolo rosso farsi largo fra il sugo, espandersi e riempire il piatto.
– Buonasera – disse lo sconosciuto, perso nei miei sogni e non mi ero accorto di lui, distinto, era entrato quasi senza far rumore, come se non volesse disturbare.
– Buonasera – ripetè – avrei bisogno di conoscere il prezzo di quell’oggetto laggiù, sa devo fare un regalo e quello mi pareva una buona idea …-
– Quello? – Trasalii, il tizio aveva appena preso in mano una mezza sega da falegname arrugginita, io stesso mi ricordavo a malapena di averla, mi era arrivata per sbaglio anni addietro e non vi avevo mai visto nulla di più che un aggeggio con cui tagliarsi e beccarsi il tetano. Tagliarsi, probabilmente sarebbe uscito del sangue.
– Non è mia usanza intromettermi nelle scelte dei miei clienti, ma se vuole posso avere di meglio, un vaso del ‘800 o se ama il rustico quello splendido piatto da torte è più adatto per una signora. – Ma come facevo a essere così certo che volesse qualcosa per una donna?
– Forse ha ragione, ma vede la mia signora ha gusti particolari, ama, come dire, i residuati, le cose che ancora pulsano di vita, usate e poi abbandonate, pronte per tornare a vivere, come se si risvegliassero da un lungo sonno. Quanto? –
Buttai lì una cifra a caso, follemente alta, lui prese il portafoglio e la pagò senza esitare, convinto di aver fatto un affare, dov’era il trucco?
– Arrivederci – dissi più per cortesia che per vero desiderio di rivedere quel tipo, non erano passati più di due minuti da quando era entrato, ma erano stati sufficienti a mettermi a disagio, quasi fosse entrato Napoleone e mi avesse chiesto indietro il suo cappello (ebbene sì nella mia cassaforte conservo anche quello).
Uscì e non attesi a lungo per chiudere, avevo fame e fretta, novembre
è un mese strano, soleggiato fino alle quattro, poi, improvvisamente diviene scuro come la pece senza alcun apparente motivo.
Nella nebbiolina che già si formava si muovevano ombre, le luci delle macchine passavano senza sosta, nessuno per fare due chiacchiere, forse era meglio fermarsi ad un bar.
Nulla è più schifoso di un caffè a stomaco vuoto alle sette di sera, ma lo gustai con gioia, l’ansia era completamente svanita e mi sentivo quasi ridicolo per quella mia fretta. L’incasso! L’avevo dimenticato in negozio, non potevo lasciare quella cifra per due giorni incustodita, corsi, aprii la saracinesca e raccolsi i soldi, in quel mentre due tipi entrarono correndo come se fossero stati inseguiti dalla notte stessa che avanzava.
– Grazie a Dio è ancora aperto, speriamo che non sia troppo tardi –
Disse uno, alto sui trent’anni , nonostante la corsa e la voce rotta dal fiatone, si distinguevano in lui i modi signorili di chi ha una educazione superiore.
– Si ma facciamo presto – disse il secondo – non mi rimane molto tempo ancora – mi parve di notare una sfumatura di rabbia e, forse, terrore in queste parole, allora non ci avrei giurato, ma quello che stava parlando non aveva l’iride, eppure non si muoveva come fosse cieco, anzi, si guardava intorno e osservava ansiosamente gli oggetti esposti.
– La sega – ero convinto di averlo pensato, ma dal volto stupito dei due mi resi conto di aver parlato ad alta voce, o così credevo, e capii che quella era il motivo di tanta fretta.
Improvvisamente il secondo, senz’occhi, si avventò su di me – Dov’è dove l’hai messa, ridammela – urlava come un forsennato e mi pareva di percepire il sangue che si iniettava nella pupilla bianca deformandogli il volto…

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Il sangue, ancora lui che mi chiamava, come in una sequenza al rallentatore vedevo le vene gonfiarsi e contorcersi mentre altro liquido vitale arrivava in quegli occhi senza vita.
– Smettila Armand – L’ordine perentorio giunse da dentro il negozio, nella colluttazione eravamo finiti in strada e vi erano un paio di passanti che ci guardavano quasi ipnotizzati. A quelle parole fuggirono come topi che scappano all’arrivo dell’acqua.
– Non è qui, ho già controllato, probabilmente siamo arrivati tardi, ma non troppo, sento ancora il suo odore, ma è misto ad un altro che non ti piacerà: quello di Seymor.
Ero sempre più perso a cercare di capire quello che stava accadendo, l’energumeno, Armand, ora pareva un bambino, quella notizia, così strana a capirsi, lo aveva completamente privato di ogni forza, svenne.
Lo caricammo in macchina, per tutto il tragitto non parlai molto con il mio interlocutore, l’unica cosa che sapevo era che si chiamava
Riccardo e che mi aveva dato una cifra ragguardevole per portare al sicuro Armand.
Arrivammo a casa mia, una piccola villetta sulle colline preappenniniche, Riccardo mi disse di chiudere Armand in cantina al fine di evitargli una crisi quando si fosse risvegliato. Più lo guardavo e più Riccardo mi appariva strano, non pareva mai fermo, sembrava come se fosse attorniato da un tremolio assolutamente incontrollato, ma che in modo alcuno lo disturbasse. Improvvisamente vi fu un latrato e Riccardo non era più lì, ma a cinque, sei metri di distanza senza che avesse fatto nulla per muoversi, con noncuranza, ma terrorizzato dentro di me, chiamai Laika, la mia dobermann che arrivò con il suo trofeo quotidiano: un fagiano di notevoli dimensioni.
Mentre osservavo quella bestia straziata mi voltai verso Riccardo e lo vidi: non era più il ragazzo dai modi gentili di pochi istanti prima, ma un centenario con la pelle raggrinzita e curvo dagli anni, immobile, senza il suo tremolio controllato, mi osservava; mi osservava come si osserva la cavia che prende il formaggio dal labirinto o la scimmia che sbuccia la banana.
– Così tu vedi – non era una domanda, una constatazione di un fatto eccezionale che assumeva i contorni della banalità,
– Tu vedi e non te ne sei accorto? – il tono saliva e prendeva i connotati tipici dell’accusa frammista all’ira
– Come è possibile che tu veda e non te ne renda conto, certo tutti i tuoi affari sono sempre andati bene, non hai mai preso un bidone, se per caso qualcuno ti chiedeva qualcosa il giorno dopo tu la trovavi, non ti sei mai chiesto il perchè ?
Hai sempre pensato alla fortuna, alla tua abilità e, perchè no, alla idiozia della gente, ti servivano i soldi per partire con la tua attività e hai vinto alla lotteria o semplicemente un qualche benefattore ha creduto in te? –
Rimasi stupito non tanto delle chiacchiere senza senso che stava dicendo, ero il migliore a vendere e questo lo sapevo, ma nessuno era a conoscenza del fatto che per iniziare la mia attività avevo chiesto un prestito in banca, prestito che il direttore mi aveva garantito personalmente senza impegno alcuno tranne quello dell’anonimato.
– Povero piccolo stupido – ora sembrava quasi compassionevole – tanti anni persi così ad arricchirti e, quando hai la vera ricchezza a portata di mano, la vendi al primo mago da quattro soldi che passa –
OK, ero fuori di testa, non mi ero accorto di aver bevuto del caffè corretto e ora non ero totalmente padrone di me, tanto più che
Riccardo tornava ad apparirmi come un giovanotto nel fiore degli anni.

Lo seguii in casa, Laika lo seguiva scodinzolando e solo quando entrai mi resi conto di avere le chiavi ancora nella tasca del giubbotto.
– Mi chiamo Riccardo Giovanni Dei Colonnese Conte di Castelfranco e
Signore delle Marche Inferiori – si sedette e versò il the che era rimasto dalla mattina, ancora fumante ne bevve un sorso e proseguì – sono rimasto tale fino al quindici giugno dell’anno del signore milleduecentosettantacinque, giorno in cui, dopo lunghe meditazioni e riti preparatori entrai a far parte del sacro ordine di San Carlo
Liberatore. Partii verso la Terrasanta con duemila uomini al seguito; sarei giunto alla meta se un vecchio non si fosse interposto a noi, comparve dal nulla al centro della strada e parlò con voce del cielo –
Tornate a casa – disse – qui non vi è posto per voi, le vostre mogli vi attendono – tutti i miei uomini fecero dietrofront e io rimasi solo a fronteggiare quel vecchio – Torna anche tu – egli mi disse, ma in me qualcosa cresceva, non sapevo come ma gli stavo resistendo. Tre volte mi ripetè quell’ordine ma io rimanevo fermo al mio posto.
– Allora seguimi – disse infine, così feci.
– Cinque anni dopo al solstizio d’estate fui presentato agli altri membri della setta di ôKash Tanô, una delle tre forze della Cabala e il mio nome divenne Riccardo Colonna dell’Occidente, unico membro non ebreo di quella setta.
Mi fu affidato il compito di tenere vivo lo spirito dell’occidente, che si incarnava ogni cinquant’anni in un uomo, quando ciò non accadeva parte dello spirito si disperdeva e, nell’incarnazione successiva, la magia occidentale veniva ridotta a favore delle leggi dell’ordine, vedi molti parlano del caos come di una forza malvagia, ma per ordine e caos, bene e male sono due concetti assenti, in questo mondo l’ordine stava avanzando a passi da gigante, tuttavia il caos resisteva e, grazie anche a me ha preso nuova vita, non era più possibile tornare ai tempi ellenici della magia pura, era il momento di agire con la fantasia, impiegai molti anni ma alla fine, nel tardo ottocento, vinsi la mia battaglia: i fratelli Lumière inventarono il cinema, e nulla può più bloccare la fantasia dell’uomo, ora, come avrai notato, sono vecchio e stanco, forse è per me arrivata l’ora di riposare, di trovare un luogo ove appoggiare la mia anima fino a quando un nuovo corpo non sarà pronto per me.-
– La sega…- improvvisamente mi tornarono in mente le parole dello sconosciuto “le cose che ancora pulsano di vita, usate e poi abbandonate, pronte per tornare a vivere, come se si risvegliassero da un lungo sonno”
– è li dove volete riposare?-

Dopo aver pronunciato queste parole mi resi conto di come, per quanto folle, la storia di Riccardo poteva essere vera.
– Già la sega, ha circa seicento anni e il mio fido compare Armand vi ha lavorato per circa trecento per renderla in grado di ricevere un’anima umana e lasciarvela riposare, vent’anni fa vi fu il risveglio dello spirito e dovetti abbandonarla in un caseggiato, pensavo di averla protetta bene, ma alcuni sono in grado di vedere gli oggetti più nascosti e così passò di mano, prima in un magazzino di utensili, poi su una nave diretta per l’Italia, tre anni fa un antiquario telefonò ad un suo agente di fiducia e gli chiese se aveva qualcosa di particolare, l’agente gli mandò un tavolo e della sedie, poi decise che l’antiquario avrebbe gradito anche quella vecchia sega e la spedì come omaggio, il resto lo sai.
– Una donna, l’acquirente mi ha detto che era per una donna e, lo so, non mentiva – la faccia di Riccardo divenne paonazza e, per un breve istante, riprese il suo tremolio – Angela, sicuramente l’ha presa per quella sgualdrina, in tutta la sua esistenza non ha mai pensato a nulla se non a divertirsi, ora si sta bruciando in fretta e vorrebbe una pausa dentro la mia cripta, tu mi aiuterai ad impedirlo -.
Non era una domanda, ne tanto meno un imperativo, era una semplice affermazione che non prevedeva alcun tipo di scelta per me, l’aveva già attuata lui. Non rimaneva molto da dire – OK, lo farò, ma prima devi aiutarmi a capire – dissi. – Il tempo scarseggia, ma mi rendo conto che lasciare andare in giro uno con le tue potenzialità senza alcun addestramento significherebbe creare più guai che altro, vieni mio discepolo, andiamo da Armand- .
Il poveretto si era risvegliato da poco e, probabilmente ancora non connetteva appieno, subito quando vide Riccardo si rizzò in piedi e, con apprensione, gli domandò degli ultimi eventi, quando fu informato delle mie ‘abilità’ apparve titubante e, senza preavviso, si tramutò in un essere umanoide, con la pelle azzurrastra, due piccoli corni sulla fronte e un ghigno con un non so che di satanico, non odorava di sangue.
– Premetti che ti presenti Ar” Mnd, – disse Riccardo, non era umano, questo si vedeva, ma non era neppure di questa terra, altrove i suoi tratti sarebbero apparsi demoniaci, in quel luogo apparivano maliziosi quasi fossero a conoscenza di qualcosa che Riccardo ignorava – mio fido compagno sin da quando lasciai la terrasanta…

Fine primo capitolo

Ciuffo

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