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…ma gli uomini grandi…

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“…ma gli uomini grandi

non saranno cresciuti mai”

(E.RUGGERI)

“Ti ama! Me l’ha detto Roberta, la sua amica, però ho dovuto giurare di non dirlo a nessuno: oh, non dire che te l’ho detto io”.
Faceva un caldo terribile quel giorno, e i jeans tagliati a bermuda da mia madre mi si erano appiccicati alle cosce in maniera definitiva.
Prima o poi li avrei rotti crescendo, come succedeva a HULK quando si trasformava. Io e il mio amico per la pelle Fabio stavamo mangiando la mezza banana che ci spettava come merenda in cortile. Ogni volta si faceva a gara per avere le metà col gambo, l’altra era difficilissima da gestire e ritrovarsi tra le mani quella specie di purea era veramente disdicevole per dei grandi di 8 anni che facevano il centro estivo.
Naturalmente dovetti accogliere la notizia con calma inglese, come se fosse normale routine. Ma non era così: era la prima volta che una mi amava, o almeno che lo venivo a sapere. Chissà perchè le notizie “io te lo dico ma giura di non dirlo a nessuno” si diffondevano sempre come il morbillo o i pidocchi a scuola.
Non si andava a spifferare tutto per dispetto, ma per vanteria. Essere in possesso di un segreto non era da tutti, ci volevano giorni di frequentazione per diventare amico per la pelle di uno. Bisognava tenergli il posto sul pulmino, dargli la mano nelle file e inventarsi un sacco di balle insieme, tipo “siamo cugini” o “giochiamo nell’Inter”. Poi, farsi dire un segreto e rivenderlo per mezzo panino era tutt’uno.
“A me fa schifo!” fu la prima frase che pronunciai. Non era ammissibile che piacesse una che ti veniva dietro, se ci si amava tutti e due era un casino: bisognava fidanzarsi! E nessuno in realtà aveva la più pallida idea di quali dovessero essere le mosse successive. Non feci in tempo a finire di parlare che lei ci passò davanti, circondata dalle sue amiche. Io e Fabio improvvisammo una risata dirompente, come ci stessimo raccontando chissà cosa, ma il colore della mia faccia, simile al rosso della maglietta di FURIA che portavo con tanto orgoglio, ci tradì; le risatine sceme di quelle lì, poi, rivelarono che avevano capito tutto: lei sapeva che io sapevo.
Cominciò un periodo difficilissimo: non potevo fare nulla che la portasse a pensare che ricambiavo i suoi sentimenti (quali fossero i miei non aveva nessuna importanza, non mi ponevo neanche il problema), ma avvertivo anche l’esigenza di mettermi in mostra, di non fare spegnere il suo interesse. Scelsi la strada migliore: prese in giro, scherzi e dispetti, il tutto intervallato da giorni in cui facevo finta di non conoscerla neanche.
Una mattina mi presentai al centro estivo particolarmente in forma e con l’aiuto del fedele Fabio (sempre partecipe, sembrava lui il corteggiato) diedi il meglio di me.
“Hai un bel vestito oggi: sembra la tovaglia che usa mia madre per i pic-nic”. L’espressione che le lessi sul viso mi fece capire che avevo colpito: era capace di esserselo messo per me…!
In piscina, poi, le tenni la testa sotto finchè la maestra non minacciò di farmi uscire. A pranzo, con un abile mossa, le scambiai il bicchiere con una di acqua gassata e al primo sorso sputò tutto nel piatto: il refettorio esplose. Ero grande, stava diventando sempre più la mia giornata. Nel pomeriggio decisi di tenermi più leggero: prima guardavo dov’era, poi con Fabio le passavo davanti senza neanche guardarla.
Era il suo modo di reagire, però, che non riuscivo a capire: subiva le mie attenzioni senza cercare di vendicarsi, quasi da femmina! Le sue amiche mi gridavano contro, mi insultavano… lei mi guardava.
Quel giorno, comunque, riuscii a farmi notare ancora: mentre giocavamo a cow-boy e indiani mi chiese di salvarla: “Non posso, devo andare a caccia di bisonti con Gringo!”, girai il cavallo e sparii al galoppo.
Fu poco prima di andare a casa: mi rallegravo con Fabio per la giornata, e ci accorgemmo che le stavamo incrociando. Noi indifferenti, cercammo di non vederle, ma non fu possibile: ci stavano guardando, fissando, puntavano su di noi. Aurora si fermò a un metro da me e con un’espressione sofferta, che riconobbi solo molti anni dopo sul viso della ragazza che stavo lasciando, mi ferì: “Oggi non ti ho amato…”
Fabio fu il più pronto: “E a noi che cosa ce ne frega?!”
A casa, quel pomeriggio, l’alabarda spaziale di GOLDRAKE mi sembrò meno eccitante del solito.

Stefano Cipriani

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