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Mario Cannuti

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Mario Cannuti

Non so perchè decise di farlo.
Mario Cannuti era un vecchio di ottantatrè anni. Li portava bene i suoi anni, o così gli dicevano. Abitava in una via tranquilla, a pochi passi dal centro. L’aveva scelta lui stesso, la villa, venticinque anni prima.
Ed era sempre stata una casa tranquilla, una casa tranquilla in una via del tutto tranquilla.
La casa di Mario Cannuti, a pochi passi dal centro.
Fino a quello stramaledettissimo giorno, nel millenovecentonovantatre, quando aprirono un bar, all’angolo della strada. Non era davvero male, ci si poteva andare la sera, prima di dormire, a bere un drink con gli amici.
Gli amici di Mario Cannuti.
E non so perchè decise di farlo.
Solo che il bar non era come ci si poteva aspettare, con i gelati, il frizzantino e tutto il resto, come Mario Cannuti se l’era sempre sognato, come aveva desiderato fin da ragazzo:
“Mi piacerebbe che ce lo mettessero” aveva detto ad un amico, molto vecchio anche lui, “prima di morire, sai com’è.”
E invece non era il solito bar, dove si gioca a carte con amici, dove si ride con qualche vecchietta, ma un bar di ragazzotti, di moto e schiamazzi, di macchine parcheggiate in doppia fila fino all’altro capo della strada, quella strada che da venticinque anni – probabilmente da sempre – era stata tranquilla.
Quelle urla, quelle grida, quelle sciocche risate giovanili, quelle inutili litigate di qualche borghesotto improvvisamente arricchito ferivano profondamente l’animo di Mario Cannuti, che mai, prima di allora, era andato a dormire dopo le dieci e cinquanta – e solo per i supplementari di una partita di coppa.
Aspettava le quattro, adesso, per andare a dormire.
Ma non so perchè decise di farlo.
La cosa che lo infastidiva maggiormente era la cassiera, una troia patentata che, noncurante, esibiva due tette che solo un reggiseno di tre misure più piccolo non faceva cadere pesantemente al suolo per la legge di
Newton, e che aveva tanto di quel rossetto sulle labbra – un rossetto rosso, sudato, perverso – tanto di quel rossetto sulle labbra che la rendeva orribile, brutta, puttana.
Mario Cannuti riuscì a resistere solo centotrentasei giorni, festivi compresi, che almeno quelli lo facevano un po’ rifiatare. Ma poi, in estate, decisero imperdonabilmente di non chiudere, di fare l’orario continuato, e Mario Cannuti, la seconda domenica d’agosto, si convinse per una soluzione definitiva:
“O io o loro” si disse, assolutamente deciso.
Abitava a metà di quella che un tempo era stata una via decisamente tranquilla. Impiegò non più di trentacinque minuti per percorrere i centododici metri che lo separavano dal bar. Le automobili, parcheggiate a casaccio, non lasciavano passare quell’irriducibile vecchio.
Mario Cannuti aprì la porta del bar, e subito, non potè non notare:
1) aria condizionata a 3,5
. Ma Mario Cannuti era tremendamente deciso, non voleva lasciarsi scappare quella grande occasione. Era finalmente arrivato il momento di dimostrare a quei bastardi di cos’era capace.
Ad un tratto, quando ormai nessuno si curava di lui – cioè circa sei decimi di secondo dopo essere entrato -, estrasse una rivoltella, ma non una rivoltella qualunque, bensì una mitica Magnum 86, una pistola con una canna talmente lunga che avrebbe potuto slacciare il reggiseno della cassiera, se solo non gli avesse fatto uno schifo tremendo. Tutti gli sguardi si catapultarono nuovamente su di lui, ed erano sguardi di profondo rispetto. Ora si sentiva importante, era arrivato il suo momento, il momento di Mario Cannuti. Sentiva i diciannove occhi puntati sulla sua rivoltella, e la sua rivoltella puntata contro quello stramaledettissimo bar, che da centotrentasei giorni gli rovinava la vita.
Si sentiva importante.
– Non so perchè decise di farlo, ma d’improvviso (proprio d’improvviso), disse: “Cazzo, ma dov’è che si va a bischerare stanotte?”
Lo trovarono la mattina dopo, in zona stazione, con il cranio perforato da due colpi di rivoltella. I colpevoli non furono mai identificati.
Probabilmente fu qualche puttana, che non era stata pagata.

Raffaele Gambigliani Zoccoli

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