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Incontro Con Valerio Evangelisti…

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…Padre Letterario Di Eymerich

Non è facile scrivere best seller che diventano long seller. Valerio Evangelisti, padre letterario dell’inquisitore spagnolo Nicolas Eymerich, è uno di quelli che ci riesce.

In verità Eymerich è realmente esistito (nato nel 1320 a Gerona, in Catalogna, e morto nel 1339). Evangelisti lo riprende, lo rimodella, e crea un personaggio duro, crudele, spietato, tormentato. Un uomo che agisce al servizio della Chiesa operando nel contesto tormentato del Medioevo. E che lo fa incrociando, talvolta influenzandoli, i grandi avvenimenti storici dell’epoca. Un personaggio vivo, che esce dalla storia e si presenta al lettore con tutto il carico fascinoso della sua paradossale attualità.
È possibile incontrare Eymerich nelle pagine de  “La luce di Orione” (Mondadori), il più recente romanzo di Evangelisti.
 
Valerio Evangelisti, parliamo di  Eymerich. Come è nato?
Eymerich nacque con la prima versione del romanzo che si sarebbe più tardi intitolato “Cherudek”, scritta senza intento di pubblicazione, per divertimento mio e di pochi amici. Però in quel momento non aveva una personalità precisa, era poco più di un fantasma.
Le sua caratteristiche psicologiche vennero più tardi, nei primi anni ‘90, quando aiutai uno psicoterapeuta a scrivere un manuale e mi imbattei in un capitolo intitolato “La sub-personalità schizoide”. Eymerich è l’esemplificazione di quel tipo di personalità.
Quando vinsi il premio Urania pensai che il mio personaggio potesse piacere ai lettori; quello che non immaginavo era che trovasse un suo pubblico anche al di fuori della ristretta cerchia della fantascienza.
 
Un successo inatteso, dunque…
“Successo”, sì… ma il termine va precisato. E’ molto raro che i miei romanzi finiscano nelle classifiche dei libri più venduti. Piuttosto si vendono nel tempo e vengono continuamente ristampati.
D’altra parte, il solo “successo” che mi interessi è quello delle cose durature. Troppi bestseller finiscono presto nel dimenticatoio, dopo una gloria tanto folgorante quanto effimera.
 
Eymerich si riaffaccia dopo un periodo di “assenza”. Cos’è che caratterizza questo ritorno?
Eymerich non lo avevo mai abbandonato del tutto. A un certo punto ho avvertito l’esigenza di dedicarmi ad altro senza per questo dimenticare il personaggio a cui devo le mie “fortune”.
“La luce di Orione” vede il ritorno di un Eymerich forse meno crudele che nelle sue prime storie, per quanto altrettanto coriaceo. La sua progressiva e parziale umanizzazione era un processo secondo me inevitabile, dopo “Il castello”. Comunque, non si può dire che sia più debole, anzi…
Il romanzo punta più di altri all’intrattenimento, attraverso una certa suspense, spero riuscita. Tuttavia non mancano rimandi alla (drammatica) realtà contemporanea, ai pericoli del fanatismo e dell’integralismo, ecc.
Per me è gratificante scrivere di Eymerich o di altro, in egual misura, e dimostrare soprattutto a me stesso di essere versatile. Certo che Eymerich, in quanto parte negativa di me stesso, è il personaggio con cui passo meglio il mio tempo…

Eymerich l’inquisitore è un uomo di Chiesa. E Valerio Evangelisti? In cosa credi? Qual è il tuo rapporto con la fede?
Non sono religioso, però sono abbastanza convinto dell’esistenza di un’anima universale – che qualcuno chiamerà Dio, altri inconscio collettivo, altri ancora in diverso modo – simile a quella ipotizzata da vari pensatori, a partire da Plotino per arrivare a Teilhard de Chardin (o a George Lucas: “Che la Forza sia con te”!!!). Però non si chiedano a me certezze. Non ne ho. Aggiungo che, senza essere per nulla anticlericale, diffido delle Chiese organizzate, quando cercano di modellare la società civile.
 
Che rapporto hai con la “vita pubblica”?
Circa la mia “vita pubblica” di scrittore, penso di essere personalmente pochissimo interessante, e che la parte migliore di me stia in ciò che scrivo, piaccia o meno. Faccio un numero limitato di presentazioni, a ogni nuova uscita, perché lo devo al mio editore, e ovviamente rispondo alle interviste, come cortesia comanda. Per il resto, il mio ideale supremo è starmene per mio conto, il più possibile tranquillo. Ecco uno dei motivi per cui, quando posso, scappo lontano.

Il tuo ideale supremo è startene per tuo conto, dici… ma è una questione di carattere o di scelta?
È soprattutto una questione di carattere. E non perché io sia un tipo poco affabile o uno snob: tutt’altro, direi.
Ma c’è un altro fattore, a parte l’indole. Scrivo molto (poco al giorno, però tutti i giorni). Non potrei farlo se fossi continuamente in giro. Faccio a volte lunghi viaggi, però sono un “viaggiatore sedentario”: vado in un posto magari lontanissimo e lì mi sistemo e organizzo la mia vita.
Il fatto è che scrivere significa per me trasferirmi in altri mondi, sperimentare altre esistenze: una droga irresistibile.
Su un piano più generale, non credo che uno scrittore debba atteggiarsi a “vedette” e alimentare, o lasciare alimentare, il culto della propria personalità. Non amo – pur senza condannare le scelte altrui – i colleghi che si prestano a questo, o che vi aspirano. Uno scrittore, incluso un semplice artigiano come me, dovrebbe, a mio avviso, essere partecipe dell’esistenza della gente comune, per poterla poi descrivere con cognizione di causa (anche quando si narrano fatti eccezionali, la base dei sentimenti, degli umori, delle passioni nasce dal contesto in cui si vive).
 
Sei il fondatore di “Carmilla On Line” una delle più belle (e credo delle più longeve) riviste letterario-culturali del web. Come nasce Carmilla? Da quali esigenze? E con quali aspettative? E queste aspettative sono poi state soddisfatte?
“Carmilla”, che si ispira al racconto di Sheridan LeFanu (a mio avviso la più bella storia di vampiri mai scritta), nasce come rivista cartacea. Ne escono quattro numeri in forma di fanzine, altri cinque con editore regolare (ogni volta, ahimé, diverso). Il problema è stato la distribuzione. Vendevamo quasi tutte le copie distribuite, ma queste erano pochissime!
L’assunto, dietro Carmilla, derivava da Manchette. Il ‘68 è finito male, vediamo se possiamo portarlo avanti comunicando in altra maniera. Rivalutiamo la narrativa di genere, e le sue potenzialità critiche.
Carmilla cartacea è morta, però resta Carmilla On Line, che in effetti ha tantissimi lettori. Vive per miracolo: i redattori (io, Giuseppe Genna, Girolamo De Michele, Wu Ming 1, ecc.) ci sentiamo molto di rado. Io sono l’ultimo ad andare a dormire, e se non vedo articoli già pubblicati, ne posto uno tra i tanti pervenuti.
L’assunto resta assai radicale, la pratica si affida alle circostanze. Comunque Carmilla resiste, forse perché pretende sangue attraverso il fascino e la dolcezza.
 
Il ’68, quest’anno, ha compiuto quarant’anni. Dici che è finito male. Perché, a tuo avviso?
Perché ha prodotto una delle classi dirigenti – al di là di singole biografie – tra le più scarse che l’Italia abbia mai conosciuto, intellettualmente e moralmente.
Più positive le ricadute in altri ambiti, dal mondo del lavoro alla cultura (cinema in primo luogo).
Però devo dire che, pur “essendoci” più o meno nel ‘68, ancora adolescente, mi considero principalmente settantasettino. Lo so, ne abbiamo combinate di tutti i colori – incluse cose orrende – però non abbiamo mai aspirato a posizioni dominanti. E in effetti non ne abbiamo, per fortuna.
 

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