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Diritto e Procedura penale

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(all’italiana…)[1]
 
L’Italia è la culla del diritto…
e il diritto sta così comodo…
che si è addormentato
Ennio Flaiano
 
Si parte da una domanda molto comune tra i cittadini italiani, a cui il magistrato[2], curatore della pubblicazione citata, cerca di rispondere innanzitutto dal punto di vista tecnico/processuale: perché, in Italia, tanti reati comuni (e molto gravi)[3] sono commessi spesso da chi è già stato condannato per gli stessi, o altri reati ed è ancora “a piede libero”, o tutt’al più sottoposto a misure di “controllo” del tutto inadeguate? In altri termini, perché la pena non è effettiva?
E lo fa articolando una “storiella”, per tanti aspetti “estrema” ma particolarmente istruttiva sullo stato delle nostre leggi[4].
Innanzitutto si deve compiere un delitto decisamente grave (l’omicidio del coniuge ad es.), indi ci si reca dalla Polizia Giudiziaria ad effettuare dichiarazioni spontanee sull’accaduto, in compagnia del proprio Avvocato (la cui presenza rende utilizzabile processualmente la confessione), dichiarando la propria assoluta responsabilità personale, il luogo in cui si trova il cadavere con gli strumenti usati per compiere il delitto, il fatto che la scena è stata accuratamente “chiusa a chiave” per evitare la contaminazione dei luoghi; in questo modo la P.G. può accedere al luogo del delitto, verificare la veridicità delle circostanze, effettuare i rilievi, gli accertamenti di Polizia scientifica, i prelievi e i sequestri di materiale, ecc.
Il colpevole/indagato (reo confesso), non viene arrestato: non sussistono, infatti, le specifiche esigenze cautelari previste dall’art.274 del C.P.P.[5], avendo il marito avvertito subito la Polizia, avendo confessato e impedito così ogni inquinamento di prove (art.274 comma1, lett.a), non essendosi dato alla fuga (né potendosi desumere la volontà di rendersi irreperibile, art.274 comma1, lett.b), e non essendovi nemmeno il pericolo di ripetizione del reato (o dei reati previsti dall’art.274 comma1, lett.c)[6]; se anche il Pubblico Ministero, una volta iniziate le indagini, chiedesse l’applicazione di una misura cautelare, il Giudice per le Indagini Preliminari non la potrebbe concedere. L’assassino rimane in libertà.
In ogni caso, le indagini sono brevissime, e si arriva all’Udienza Preliminare per il reato di omicidio aggravato[7] dal fatto che l’omicida ha impiegato modi particolarmente efferati nell’esecuzione e, precedentemente, ha derubato di ogni sua ricchezza la vittima: la pena prevista è/sarebbe l’ergastolo[8].
A ben vedere, infatti, al momento dell’applicazione della pena prevista dal Codice Penale per un determinato reato (cosiddetta pena “edittale”), questa può risultare in concreto notevolmente diminuita, laddove ricorrano le “circostanze attenuanti” previste dall’art.62 C.P[9].
L’uxoricida riesce a dimostrare di aver ucciso la moglie perché questa lo tradiva con un altro uomo[10]; inoltre lo stesso offrirà spontaneamente ai parenti della defunta una congrua somma di denaro[11] a risarcimento del danno.
Ancora intervengono le “attenuanti generiche”, previste dall’art.62 bis C.P.[12], circostanze senza contenuto preciso, concesse “immancabilmente” dai giudici, quasi per “prassi” e per i motivi più diversi[13].
Così, attraverso il meccanismo delle circostanze del reato[14], che il Giudice italiano “governa” secondo l’art.69[15] C.P., dovendo in pratica stabilire se pesano più le attenuanti o le aggravanti, si possono determinare significativi “sconti di pena[16]“, proprio perché il caso di “soccombenza delle attenuanti”, non esiste quasi nella giurisprudenza italiana… ed è questo l’indubbio limite di impostazione “culturale[17]” che si può attribuire ai magistrati italiani, limite che trova la sua origine, probabilmente, nell’applicazione esasperata all’eccesso del principio interpretativo del “favor rei“, teso ad individuare il trattamento giuridico, in concreto, più favorevole al colpevole[18].
Ma ritorniamo al caso concreto: una volta venute meno le aggravanti, la pena per l’omicidio di cui parliamo non è più quella dell’ergastolo ma quella della reclusione da ventiquattro a trenta anni[19]. Successivamente i 24 anni, pena “base” stante la rarità con cui viene inflitto il massimo edittale, scendono ulteriormente fino ai 10 anni[20] per le diverse attenuanti ricordate.
Prima di infliggere la pena occorre, però, celebrare il processo, dopo i “tradizionali” tre “gradi” di giudizio[21]; spessissimo, tuttavia, per lo svolgimento completo di questo iter, si tengono un numero imprecisato di riti e udienze[22], dovendo anche comprendere l’Udienza Preliminare, nella quale un Giudice deve valutare, innanzitutto, se vi sono prove sufficienti per sostenere il processo.
Infatti, dopo che la Polizia Giudiziaria e il Pubblico Ministero hanno compiuto indagini anche molto lunghe e complesse[23], il Codice italiano prevede che un Giudice (questa volta dell’Udienza Preliminare, GUP), decida se un altro Giudice (del dibattimento), debba sovraintendere il Processo vero e proprio, valutando nuovamente tutte le prove[24]; l’aspetto forse più apparentemente irrazionale di questo meccanismo sta nel fatto che questi diversi Giudici devono essere persone fisiche diverse[25]; tale principio della “garanzia della terzietà del giudice del dibattimento” è stato notevolmente rafforzato da numerose sentenze della Corte Costituzionale, che nel corso degli anni ’90, ha ribadito all’inverosimile[26], che la persona/Giudice che ha giudicato su uno stesso fatto, in una certa fase del procedimento, non può assolutamente essere di nuovo giudice degli stessi fatti e sulle stesse persone in una fase successiva[27].
Dunque, la celebrazione del processo finalizzata all’irrogazione di una pena, passa attraverso numerose difficoltà, ritardi, limiti amministrativi ed organizzativi della macchina giudiziaria, ricorsi agli organi superiori “di garanzia[28]“, cioè il passaggio di molto tempo;
il fattore tempo dipende anche dall’impegno della difesa che “tira alla prescrizione”[29]… in altre parole, mentre il cittadino/parte offesa e l’imputato innocente hanno interesse a che il processo finisca presto e bene (per l’uno c’è il risarcimento del danno e per l’altro fine di un incubo e la riabilitazione), l’imputato colpevole ha tutto l’interesse a fare trascorrere il tempo necessario perché il reato venga considerato prescritto, e la sua punizione resa impossibile[30]. Il termine di prescrizione è stabilito dall’art.157 del Codice Penale e dipende dalla pena massima prevista per il reato[31]. In realtà, però, il termine può essere assai più corto, dato che la prescrizione decorre fin dal momento in cui il reato è stato commesso e può essere interrotta (dal momento in cui il reato viene scoperto ovviamente[32]), solo da specifici atti processuali[33], ma riprende a decorrere nuovamente dallo stesso istante.
Con un processo che dura un minimo di dieci anni, tutti i reati che si prescrivono in cinque anni (o in sette) sono di fatto annullati prima della conclusione[34]. In altri Paesi occidentali, la prescrizione si interrompe “definitivamente” all’apertura del processo. In questo modo lo Stato ha tutto il tempo di celebrare il processo. Questo in Italia appare, evidentemente, impensabile per il legislatore, tenendo conto che la durata media dei nostri processi, condannerebbe il sistema a tenere in piedi il rito per decenni…
Volendo concludere la “storiella” del “nostro” assassino della moglie, e quindi lasciando sullo sfondo l’argomento dei “riti speciali[35]“, introdotti nel Codice di Procedura Penale del 1988/89[36], ammettiamo pure che il processo, dopo tutte le lungaggini possibili e i ricorsi, impugnazioni, riesami, cassazioni, rinvii, ecc., arrivi a sentenza definitiva prima della prescrizione, e il colpevole sia condannato.
A questo punto, trova applicazione (automatica) la (famigerata) legge “Gozzini”[37], la quale ha modificato in più punti l’ordinamento penitenziario[38]; l’art.54 (intitolato significativamente “Liberazione anticipata“), prevede che “Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata“; così sei anni di galera non sono sei ma sono quattro e mezzo, dieci anni sono in realtà sette e mezzo e così di seguito. L’aspetto direi più “inquietante” di questa situazione è che i Giudici interpretano l’espressione “partecipazione all’opera di rieducazione” nel senso che, semplicemente, il condannato non deve avere fatto niente di negativo durante la detenzione[39].
Successivamente trova applicazione l’art. 48 del citato ordinamento penitenziario (Regime di semilibertà), “Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale[40]“; il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l’espiazione di almeno metà della pena ovvero, se si tratta di condannato per reati molto gravi (mafia, terrorismo internazionale, ecc.), di almeno due terzi di essa.
Quindi se uno è stato condannato a dieci anni (per aver ucciso la moglie), dopo averne scontati cinque “formali” (in realtà 3 anni e nove mesi per la legge Gozzini…), se ben si è comportato, può andare libero salvo rientrare in carcere per dormire.
Citiamo solo per completezza altri istituti previsti dalle norme in vigore[41], come la”Sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria”, “Sostituzione della pena detentiva con la libertà controllata”, “Sostituzione della pena detentiva con la semidetenzione”, “L’affidamento in prova al servizio sociale”, “gli Arresti domiciliari” (art. 47 ter ord. pen.), caratterizzati tutti dalla finalità, evidente, di tenere lontano dal carcere il colpevole di un reato.
A questo riguardo, occorre ammettere che la situazione di critico sovraffollamento del sistema penitenziario italiano, a cui il Parlamento, recentemente, ha saputo far fronte, solo, mediante la legge sull’indulto[42], ennesimo provvedimento di clemenza generalizzata che in questa sede non è il caso trattare, pone, di fatto, a carico della Magistratura (e dei suoi provvedimenti) il compito di non provocare un aumento incontrollabile della popolazione carceraria, già di molto superiore ai limiti della capienza prevista.
Per concludere una analisi che potrebbe essere molto più lunga e complessa, la responsabilità per tale stato di cose, principalmente e in apparenza, solo della magistratura, andrebbe per lo meno condivisa (se non attribuita in larga parte) al legislatore, che mantiene questo assetto normativo sovrabbondante di “incrostazioni” garantiste[43] e premiali per chi delinque, tipiche di una precisa fase storica del nostro Paese, ma oggi assolutamente improponibili ad una opinione pubblica che, al contrario, invoca sempre più spesso la via del rispetto rigoroso della legge e della effettività delle sanzioni inflitte.
Non ci vogliamo privare della speranza che il legislatore, una volta per tutte consapevole dei serissimi rischi sociali, culturali ed economici che questa situazione comporta per il nostro paese, ponga subito mano a quella riforma radicale della giustizia che ci riporti nel novero delle nazioni pienamente civili e democratiche, in uno Stato di Diritto in cui leggi severe non prevedano più sconti generalizzati e premi pressoché automatici, e non lascino più alibi a nessuno, legislatori o magistrati[44].
 
In Italia l’unica vera rivoluzione sarebbe
una legge uguale per tutti
Ennio Flaiano


[1] Cfr. “Toghe Rotte, la giustizia raccontata da chi la fa” a cura di Bruno Tinti, edizioni Chiare Lettere, Milano settembre 2007.
 
[2] Bruno Tinti, Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Torino.
 
[3] Rapina, estorsione, sequestro di persona, traffico di droga e armi, corruzione, responsabilità per infortunio sul lavoro, ma anche omicidio, ecc.
 
[4] “Come ammazzare la moglie e vivere felici”…pag.97 e ss.
 
[5] Art.274. Codice Procedura Penale, Libro IV, Titolo I, misure cautelari personali
(Esigenze cautelari).
1. Le misure cautelari sono disposte:
a) quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova…
b) quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione;
c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.
 
[6] Il presunto colpevole una moglie aveva, e ormai l’ha uccisa…
 
[7] Art.575 Codice Penale (Omicidio).
Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.
Art.61 Codice Penale (Circostanze aggravanti comuni).
Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti:
2) l’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato
4) l’avere adoperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone;
Art.577 Codice Penale. (Altre circostanze aggravanti. Ergastolo).
Si applica la pena dell’ergastolo se il fatto preveduto dall’articolo 575 è commesso:
4) col concorso di taluna delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell’articolo 61.
 
[8] Vedi KultUnderground/Diritto n.144-LUGLIO 2007: “Ergastolo… ovvero, fine pena: mai”
 
[9] Art.62 Codice Penale Circostanze attenuanti comuni, LIBRO I DEI REATI IN GENERALE – TITOLO III DEL REATO – CAPO II DELLE CIRCOSTANZE DEL REATO.
Attenuano il reato … le circostanze seguenti:
 
[10] Art.62 C.P.: n.2) l’aver reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui
 
[11] Art.62 C.P.: n.6) l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio … adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
 
[12] Art.62 bis C.P. (Attenuanti generiche).
Il giudice, indipendentemente dalle circostanze prevedute nell’art. 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell’applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62.
 
[13] Fra le motivazioni adottate dai giudici si va dalla giovane età, che ha impedito di comprendere a pieno il disvalore del fatto, o perché al contrario il reo è troppo anziano, o perché lo stesso è stato un cittadino onesto fino a quel momento (come nel caso del nostro uxoricida), o perché ha condotto una vita difficile, vittima di un sistema sociale iniquo, ecc.
 
[14] Sono elementi accidentali od accessori del reato, non necessari per la sua esistenza, ma che o incidono sulla sua gravità, ovvero vengono assunti come indici della capacità a delinquere del soggetto, acquistando rilievo, quindi ai fini della determinazione della pena. La loro presenza rende il reato da semplice a “circostanziato”.
 
[15] Art.69 C.P. (Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti).
Quando concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, e le prime sono dal giudice ritenute prevalenti, non si tien conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti.
Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, non si tien conto degli aumenti di pena stabiliti per queste ultime, e si fa luogo soltanto alle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti.
Se fra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze
[16] Il ricorrere di ogni circostanza può comportare un aumento o una diminuzione della pena fino a un terzo.
 
[17] Certamente “coltivata” da un modo di legiferare dei nostri parlamentari nei decenni passati, unicamente rivolto ad avvantaggiare il delinquente, considerato a priori quasi una vittima “del sistema”, un soggetto la cui punizione passa in secondo piano, rispetto all’esigenza del suo recupero, rieducazione e reintegrazione sociale.
 
[18] “…Forse i giudici sono convinti che perdonare sia una cosa buona, e quindi sono portati a infliggere pene miti, giocando un po’ a fare il Dio misericordioso; forse pensano che l’assunzione di responsabilità di chi perdona o assolve sia inferiore a quella di chi condanna o comunque infligge pene severe; forse sono semplicemente figli del loro tempo e pensano che evadere le tasse e pagare qualche bustarella non sia in fondo così grave: non si sa…” Bruno Tinti, op. cit, pag.119.
 
[19] Art.577 C.P.: (omicidio, altre circostanti aggravanti).
…La pena è della reclusione da ventiquattro a trenta anni, se il fatto è commesso contro il coniuge…
 
[20] Art.67. (Limiti delle diminuzioni di pena nel caso di concorso di più circostanze attenuanti).
Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore:
2) a dieci anni di reclusione, se per il delitto la legge stabilisce la pena dell’ergastolo.
Dunque per i delitti puniti originariamente con l’ergastolo, “per ora” la pena “diminuita con le attenuanti” non può essere comunque inferiore ai 10 anni.
 
[21] Tribunale, Corte d’Appello e Corte Suprema di Cassazione, e perché la pena possa essere eseguita occorre che tutti questi diversi organi abbiano prodotto una sentenza univoca di condanna, ovvero sia trascorso il termine per proporre Appello o ricorso in Cassazione. In Paesi come Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti questi “apparati processuali garantistici” non esistono; in alcuni casi esiste la possibilità di un ricorso simile alla nostra Cassazione, qualora emergano problemi di “legittimità”, in presenza di vizi/abusi/errori  procedurali relativi allo svolgimento del processo di primo grado.
 
[22] Se la Cassazione ravvisa una nullità procedurale nel processo di primo grado (Tribunale), o in quello di secondo grado (Appello), il processo deve essere ricominciato dal punto in cui è stata commessa la nullità, e, in seguito, nuovamente riesaminato nei gradi successivi. Il caso di “Adriano Sofri” (Vedi KultUnderground/Diritto n.107-APRILE 2004, “Troppa grazia…(e poca Costituzione…)”), è emblematico ma frequente in Italia.
 
[23] Attività comunque svolte sotto il controllo di un Giudice per le Indagini Preliminari, Codice Procedura Penale, Codice Procedura Penale, Libro V, Indagini preliminari e udienza preliminare, Artt.326 e seguenti.
 
[24] Deve ripetere con l’assistenza della Polizia Giudiziaria, interrogatori, perizie, riconoscimenti di persona, accertamenti vari ecc.
 
[25] Art.34 C.P.P.
(Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento). 1. Il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento o al giudizio per revisione.
2. Non può partecipare al giudizio il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna o ha deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere.
2 bis. Il giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari non può emettere il decreto penale di condanna, né tenere l’udienza preliminare; inoltre, anche fuori dei casi previsti dal comma 2, non può partecipare al giudizio.
[26] Con numerose sentenze che vanno ad interpretare “alla luce dei principi costituzionali” (interpretative), il citato art.34 C.P.P.
 
[27] Il nuovo Giudice non deve sapere nulla di quello su cui gli viene chiesto di decidere, per non essere influenzato; deciderà in base alle prove nuovamente assunte davanti a lui. Nei piccoli Tribunali, dove i magistrati sono pochi, questo può essere un problema che fa perdere tempo prezioso in quanto occorrerà “prelevare” un GUP supplente da un altro tribunale…
 
[28] Appello, Cassazione, per non tacere della ulteriore Garanzia del ricorso al Tribunale del riesame (o “Tribunale della libertà”), art.309 C.P.P., nei confronti delle ordinanze dei G.I.P., che su richiesta del Pubblico Ministero, hanno concesso una misura coercitiva personale nei confronti dell’imputato (Divieto di espatrio art.281 C.P.P., obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria art.282 C.P.P., allontanamento dalla casa famigliare art.282 bis C.P.P., divieto e obbligo di dimora art.283 C.P.P., arresti domiciliari art.284 C.P.P., custodia cautelare in carcere art.285 C.P.P., custodia cautelare in luogo di cura art.286 C.P.P.).
 
[29] Un processo banale (es. furto d’auto), oggi richiede, dall’indagine del PM alla Cassazione, minimo 6 anni… un processo difficile, importante, con molti imputati, può richiedere anche tre volte tanto.
 
[30] Anche se il reato è prescritto, il Giudice deve in ogni caso dichiarare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato. Di conseguenza una sentenza o dichiara l’innocenza del reo, o dichiara la prescrizione del reato, quindi la responsabilità dell’imputato ma la sua non punibilità in concreto.
 
[31] Art.157 C.P. (Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere).
La prescrizione estingue il reato:
1) in venti anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni;
2) in quindici anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni;
3) in dieci anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni;
4) in cinque anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione inferiore a cinque anni, o la pena della multa;
5) in tre anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’arresto;
6) in due anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’ammenda.
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell’aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti.
 
[32] Ci riferisce qui, in generale, anche ai reati non immediatamente evidenti, come per esempio i reati finanziari (es: falso in bilancio), che possono essere scoperti indirettamente o fortuitamente, dopo molto tempo dalla loro commissione.
 
[33] Art.160 C.P. (Interruzione del corso della prescrizione).
Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna.
Interrompono pure la prescrizione l’ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell’arresto, l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice, l’invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l’interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione dell’udienza preliminare, l’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione dell’udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio.
La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre la metà.
 
[34] Si calcola che il 95% dei reati commessi nel nostro Paese prevedono un termine di prescrizione tra i 5 e i 7 anni.
 
[35] Si tratta del “Giudizio Abbreviato” (Artt.438-443 C.P.P.) e “Applicazione della Pena su Richiesta delle parti” (Artt.444-448 C.P.P.), cosiddetto “patteggiamento”, ipotesi di trattamento premiale riservate ad alcune categorie di reati.
 
[36] Al fine di incentivare l’uso di forme di giudizio semplificate e più veloci (e in teoria meno garantiste per il presunto colpevole), contro la concessione (ancora) di uno “sconto di pena” di un terzo…,
 
[37] Dal nome del parlamentare primo firmatario: L. 10-10-1986 n. 663,
Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.
Pubblicata nel Suppl. Ord. Gazz. Uff. 16 ottobre 1986, n. 241.
 
[38] L. 26-7-1975 n. 354
Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.
Pubblicata nel Suppl. Ord. Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212.
[39] Non gli viene richiesto di aver svolto attività particolarmente meritevoli (assistenza a malati o anziani, lavoro gratuito per l’amministrazione ecc.), è sufficiente che non abbia creato problemi. E ogni semestre la valutazione parte ex novo, senza considerare i semestri passati…
 
[40] Art.48 ord.pen secondo comma: “I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili.”
 
[41] L. 24-11-1981 n. 689
Modifiche al sistema penale. (c.d. legge di “Depenalizzazione”)
Pubblicata nel Supp. Ord. Gazz. Uff. 30 novembre 1981, n. 329, in particolare l’art.53.
 
[42] L. 31-7-2006 n. 241
Concessione di indulto.
Pubblicata nella Gazz. Uff. 31 luglio 2006, n. 176.
 
[43] Laddove le garanzie servono a poco, dimostrandosi o fine a se stesse, o, di fatto, funzionali all’impunità dei colpevoli.
 
[44] “Deve cambiare la cultura etica del nostro paese. Debbono cambiare quelli che fanno politica e debbono cambiare i giudici italiani.” Da “Toghe Rotte”, op. cit, pag. 155 e ss.

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